N.03
Maggio/Giugno 2022

Una solitudine fraterna

Una vita nascosta in Dio

 

Chi si presenta alla porta di una Certosa può rimanere sorpreso di non poter entrare. Una stretta clausura regola severamente le entrate e le uscite, allo scopo di preservare quel silenzio e quella solitudine che costituiscono il deserto dove vive il monaco certosino che, come i primi monaci, si propone di imitare la vita nascosta di Gesù di Nazaret.

La parte più caratteristica del monastero è il grande chiostro, lungo il quale sono disposte le celle: veri eremi dove i monaci trascorrono in solitudine la giornata, occupandosi nella preghiera, nello studio e nel lavoro, come i primi padri del deserto, di cui continuano l’esperienza. Infatti, da sempre, l’unica vera occupazione del monaco nella solitudine è solo il Signore. La nostra vocazione – dicono gli Statuti dell’Ordine certosino – è di stare incessantemente alla presenza di Dio… Il nostro impegno consiste principalmente nel trovare Dio nel silenzio e nella solitudine. Qui infatti il Signore e il suo servo conversano spesso insieme come un amico col suo amico.

La perseveranza in cella, che è essenziale per ogni certosino, è vissuta con modalità diverse secondo il dono ricevuto da ciascuno. Così, nella comunità certosina sono presenti, fin dall’inizio, due modi diversi e complementari di vivere l’unica vocazione: quella dei monaci del chiostro e quella dei monaci fratelli. I primi, chiamati ad una solitudine più intensa, lasciano il proprio eremo solo per le riunioni comunitarie in chiesa, i fratelli invece trascorrono fuori di cella alcune ore per dedicarsi, generalmente in solitudine, ai lavori indispensabili alla vita concreta della comunità.

Gli uni e gli altri manifestano in modo differente le ricchezze della nostra vita, totalmente consacrata a Dio nella solitudine. L’amore del Signore, la preghiera, lo zelo per la solitudine e la medesima vocazione al servizio, riuniscono tutti i monaci in un’unica famiglia, che forma un cuor solo e un’anima sola.

 

Una vita fraterna

 

Quando San Bruno entrò nel deserto di Chartreuse, in Francia, e poi fondò l’eremo di Santa Maria del Bosco, nelle Serre di Calabria (l’attuale Serra San Bruno), aveva sempre con sé alcuni compagni, i quali cercavano la solitudine per vivere in profonda comunione con Dio nella preghiera, ma erano anche decisi a rimanere insieme in fraternità attorno a Bruno. Ecco dunque il carisma della vita certosina: una piccola comunità di solitari, o meglio: una solitudine condivisa fraternamente.

La dimensione fraterna della vocazione certosina si manifesta, in modo particolare, nella celebrazione quotidiana della liturgia e nei giorni festivi, in cui prevale la vita di famiglia.

In Certosa la liturgia occupa un posto importante, è la parte più nobile della vita di comunità e viene celebrata con modalità proprie dell’Ordine, articolandosi attorno a tre momenti principali: la lunga veglia nel cuore della notte, l’Eucaristia celebrata al mattino e il canto dei Vespri al declinare del giorno. Per queste celebrazioni il monaco lascia la sua solitudine e si riunisce con i tutti i fratelli in chiesa.

Nelle domeniche e nei giorni di festa, i momenti comuni sono più frequenti: l’intero Ufficio, incluse le Ore minori, viene cantato in chiesa; si pranza insieme nel refettorio; i monaci si incontrano per un colloquio fraterno. Inoltre, una volta alla settimana, una passeggiata fuori dal monastero contribuisce alla contemplazione della bellezza del creato e nello stesso tempo favorisce l’amore reciproco, nella gioia di stare insieme.

 

Separati da tutti, ma uniti a tutti

 

Se il monaco lascia la sua famiglia e il mondo, non è per egoismo o per disprezzo dei valori umani, ma per il desiderio di entrare il più possibile nell’intimità di Dio, amato più di ogni cosa. Certamente il certosino resta legato alla terra dov’è nato, di cui ha ereditato le ricchezze, di cui ha cercato di assumere le preoccupazioni e le aspirazioni, ma si ritira dal mondo per raccogliersi più intensamente presso quella divina sorgente da cui trae origine la forza e la bellezza di ogni cosa, quella sorgente che genera ogni comunione.

All’uomo è possibile raggiungere Dio al di là delle parole e delle idee. Infatti, il Signore ci chiama, attraverso un cammino di purificazione, a vedere il suo Volto cioè ad incontrare il suo Amore, quello vero, quello che non può essere descritto, ma di cui si può fare esperienza. Quest’intima esperienza di Dio, che il monaco fa nella solitudine, non lo rinchiude in se stesso, ma in realtà lo apre ancora di più alla comunione con la Chiesa e con tutta l’umanità.

Comunicando profondamente all’infinito amore di Dio, il cuore si dilata, considera come proprio il bene di ogni creatura, abbraccia le aspirazioni e i problemi del mondo, entra in comunione con le sofferenze degli uomini, offrendo per tutti il sacrificio di ogni giorno, sempre ricolmo di gioia per la bontà e la misericordia del Signore. È questa la testimonianza di quella Bonitas che era sempre sulle labbra di San Bruno: lui esaltava continuamente la bontà di Dio che, alla luce della vittoria di Cristo sulla morte, si manifesta come bontà del mondo in quanto creato da Dio e della storia in quanto affidata alla sua provvidenza.