N.05
Settembre/Ottobre 2022

Tornare a Napoli

Mario Martone rilegge il romanzo di Ermanno Rea e realizza un film sul contrasto tra le radici di un uomo e il cambiamento di prospettiva

“Incredibilmente è rimasto tutto come una volta”. Lo stupore di Felice Lasco (Pierfrancesco Favino) è quello di un uomo che, 40 anni dopo, torna lì dov’è nato, il rione Sanità, nel ventre di Napoli.

Andato via poco più che adolescente, trascorre la vita dapprima in Libano, poi in Sudafrica per stabilirsi infine in Egitto, al Cairo, dove ad aspettarlo (o ad aspettare di raggiungerlo) è rimasta la sua compagna.

È rimasto tutto come una volta, insomma, a Napoli. Ad essere cambiato è lui che torna sull’uscio di casa sua per scoprire che l’anziana madre (Aurora Quattrocchi) è andata a vivere giù, abbasc, al pianterreno. La accudisce, la lava, riesce insomma a rivederla prima che sia troppo tardi, Felice. 

E, al funerale della donna, incontra per la prima volta don Luigi (Francesco Di Leva, che sempre per Martone è stato “Il sindaco del Rione Sanità”, mentre stavolta cambia casacca), prete combattivo e in prima linea per togliere i ragazzini dalla strada e dalla camorra. 

Era ragazzo anche Felice, 40 anni prima, e inizia a ricordare la Gilera rossa su cui scorrazzava insieme all’amico fraterno, Oreste, che oggi però è diventato un boss senza scrupoli, conosciuto nel quartiere come O’ Malommo (Tommaso Ragno).

Felice lo sa, come sa perché allora fu costretto ad abbandonare la città. Ma, nonostante questo, sente la necessità di rivederlo, di ristabilire un contatto con quell’uomo, non più ragazzo, non più amico, che ha preso un’altra strada. Quella da cui Felice è fuggito.

Martone ancora una volta realizza un film capace di dialogare con il passato (l’ambientazione è contemporanea, certo, ma è un continuo andirivieni di ricordi, di immagini), elemento che da sempre caratterizza la sua filmografia: l’evoluzione del personaggio di Favino è data dal suo incedere, soprattutto dal suo linguaggio. 

Dapprima “straniero” che parla un italiano compassato, poco a poco, Felice riacquista la parlata napoletana: sono attimi, situazioni, in cui la riscoperta dei luoghi, dei codici del quartiere, riallineano quel passato divorante (e per certi versi malinconico) ad un presente che finisce per sfiorare le derive notturne di un finale noir, dove il dramma ha la meglio sulla riconciliazione. 

In concorso al 75mo Festival di Cannes, con Martone tornato in gara 27 anni dopo “L’amore molesto” (anche lì, un film tratto da un romanzo, anche lì una protagonista che tornava a Napoli dopo anni di lontananza…), “Nostalgia” finisce per sedimentarsi, proprio come accade al suo protagonista, uomo diviso tra le proprie radici e la consapevolezza di esserne venuto via.

 

Schermi paralleli: Come Martone anche Paolo Sorrentino racconta Napoli, con uno sguardo che fonde bellezza, malinconia e struggimento. Con “È stata la mano di Dio” (2021) rilegge la propria storia e la intreccia a quella della città, componendo inoltre un poetico omaggio al cinema – via di espressione e di salvezza –  dai rimandi felliniani (di Sergio Perugini).