N.01
Gennaio/Febbraio 2023

Pierina Betrone

Pulcino, non formica!

Il 17 aprile 1929, la ventiseienne Pierina Betrone entra nel Monastero delle Clarisse Cappuccine di Borgo Po a Torino. Figlia di un panettiere che ha fatto strada e le ha potuto dare una buona educazione, Pierina in quel monastero arriva per obbedienza: «Nulla» – scrive – «mi attira tra le Cappuccine». Aveva alle spalle tentativi di vita religiosa non riusciti: tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, nel 1925, dove era rimasta meno di un anno; nella realtà del Cottolengo (prima tra le “Taidine” e poi nella famiglia di “santa Marta”). Anche dalla Piccola Casa però era uscita, «col rammarico dei superiori» e sempre lasciando in chi aveva incontrato un ottimo ricordo, pur cercando altrove il proprio posto, dentro un intenso patire. Non le era semplice concretizzare in forma stabile quel “sì per sempre” che aveva già marchiato a fuoco la sua vita ed era in lei segno di predilezione incancellabile nonostante le fatiche del vivere e il fallimento dei primi tentativi: nel 1916, per le vie di Airasca, dove allora viveva, d’un tratto e «con un’intensità mai conosciuta prima» le era risalita dalle labbra al cuore la giaculatoria «Mio Dio, Ti amo!». Amore di Dio che è tutto, colma la vita, chiede di “spenderla…”. Sempre nel 1916, l’8 dicembre, ricevendo la Comunione, nel giorno dell’Immacolata, ecco l’appello di Gesù, la Sua Voce riconosciuta una prima volta tra le molte che ne avrebbero poi trapuntato l’esistere: «Vuoi essere tutta mia?». «Gesù, sì».

Temperamento volitivo e pratico che sapeva farsi amare e riusciva bene in mezzo agli altri, Pierina tuttavia non era fatta per la vita attiva: quell’anticipo di Voce di Gesù che l’aveva raggiunta ragazzina, quello spazio interiore dove Dio è all’opera e l’Opera è di Dio, sono in lei segno di ciò cui è chiamata.

Entrata da poco in Monastero, l’8 maggio, due grazie – una della Madonna di Pompei e l’altra di Teresa di Lisieux – la liberano dagli scrupoli e le ridonano la percezione viva di un ardente desiderio di perfezione: Dio che fa cose nuove, ma soprattutto “fa nuove tutte le cose” le regala così un inizio stabile dopo i tentati inizi, proprio in quel monastero dove nulla l’attirava. La lega a Teresina voler amare tanto il Signore, come nessuno lo aveva mai amato, e la consapevolezza – lei dice – che «quella santa avrei potuto imitarla».

Novizia nel 1930 e professa semplice nel 1931, Pierina diventa suor Maria Consolata in onore alla Vergine, venerata sotto questo titolo patrona di Torino. Alla professione solenne inviterà tanti giovani e «quelli che sa più lontani da Dio», chiedendo come dono Confessione e Comunione.

Tra le Cappuccine di Borgo Po è cuoca, portinaia e ciabattina; a Moriondo di Moncalieri sarà anche segretaria e infermiera. La sua vita però è “dentro”, in una clausura definita entro lo spazio di un cuore abitato e custodito, prima ancora che dalle grate del monastero.

Sono il Padre… Gesù… Maria… che attraverso le concretissime obbedienze del quotidiano la lavorano e preparano, la guidano e ammaestrano. Consolata che era certo diventata Cappuccina per amare Dio, approfondisce ora che da amare è sempre più il suo prossimo: le consorelle vicine, con la presenza; i fratelli lontani, caduti e peccatori, i sacerdoti che si sono allontanati dal ministero, chi non ha ancora conosciuto l’amore di Dio, con l’offerta e la preghiera. Allora, la sua vita si struttura attorno al dono: durante il ritiro per la professione solenne «aderisce con slancio» all’invito a «offrirsi vittima per i suoi “Fratelli e Sorelle”». Dal monastero ora Consolata si trova d’un tratto proiettata nella storia delle anime e delle famiglie e persino dell’Italia, in modo sorprendente.

Nel giugno 1935, Gesù le suggerisce il voto di incessante amore, un «atto incessante d’amore verginale unito al “sì!” a tutti col sorriso e al “sì” a tutto col ringraziamento». Esso sostanzia un nuovo cammino nella Chiesa: quello delle [anime] «Piccolissime», chiamate ad esistere istante per istante dentro un atto di amore oblativo, facendo tutto con amore, a nulla sottraendosi. Dice Gesù: «Vivi amando, minuto per minuto: un’intera giornata è troppo lunga per te».

Lo stile tutto francescano della «minorità» scolpisce così una vita umile e forte, pronta al servizio.

Quando dentro al cammino quotidiano offerto per amore Consolata è alla scuola della piccolezza e chiede al Signore se «da agnella a pulcino, […] ora mi trasformerai in formica?», Gesù le risponde: «No, perché le formiche non si possono stringere al Cuore!». Così la piccolezza non consiste nello scomparire, ma nel ricevere una nuova misura dentro un rapporto d’amore. E se Teresa di Lisieux voleva, nel cuore della Chiesa sua Madre, essere l’Amore, a Consolata si prospetta annunciare la strada della fiducia, della confidenza: «In grembo della Chiesa, tu sarai la confidenza». «Sii la personificazione della Mia bontà e della Mia misericordia».

Quando arriva la guerra, quando più tardi le Cappuccine di Borgo Po sfollano a Moriondo, Maria Consolata Betrone vive l’amore grande dentro le cose piccole, il «“sì!” a tutti col sorriso» e si inventa l’«ascetica dell’appetito» e l’«apostolato della fame», privandosi del poco per le consorelle più fragili.

Nel 194,3 un medico comincia però ad allertare circa le sue condizioni di salute: «Questa suora ha un cuore che soffia, soffia…». Nel 1944, la sentenza: «Questa Suora non ha mali, è distrutta».

Sviluppa la tisi e, nonostante si facesse di tutto per curarla, Consolata può essere solo accompagnata, ma al Cielo. Un anno prima della morte aveva rinnovato – con i suoi voti privati di confidenza e di vittima – anche quello di abbandono. Il suo sorriso era meraviglioso e tutte volevano vederla. Riceve le «commissioni per il Paradiso» e vi entra il 18 luglio 1946 a 43 anni. Sulla tomba, il nome e l’atto d’amore continuo: «Gesù, Maria, vi amo, salvate anime!».

L’8 febbraio 1995, l’Arcivescovo di Torino Card. Giovanni Saldarini, avviando le Inchieste diocesane per cinque Cause di Beatificazione e Canonizzazione (tra cui quella di suor Consolata, oggi Venerabile) diceva: «La vita dei Santi è per gli altri norma di vita».

 

 

“Che io sia santo, tutti lo sanno,
ma buono, non tutti!”

 

“Amami tu per tutti
e per ciascun cuore umano che esiste.
Ho tanta sete di amore.
Dissetami tu.
Coraggio e avanti!

 

“Appena mi sveglio al mattino,
comincio subito l’atto di amore
e non lo interrompo mai!”

 

Parole a sr. Consolata

 

 

Suor Maria Consolata Betrone (Pierina Betrone) nasce il 6 aprile 1903 a Saluzzo (Cuneo): la cittadina ricca di storia che ha come sfondo il “Re di Pietra”, il Monviso. La famiglia, molto numerosa (Pierina è la secondogenita delle sei figlie di Giuseppina Nirino e Pietro Betrone, che in prime nozze di figli ne aveva già avuti 18) si trasferisce dapprima a Torino, poi ad Airasca, quindi di nuovo a Torino. Ad Airasca, giovanissima, Pierina avverte una domanda di Gesù che cambia per sempre la sua vita. Attraverso tappe travagliate, cerca una casa dove servire il Signore, trovandola infine tra le Clarisse Cappuccine prima a Torino e poi in una nuova fondazione a Moriondo (Moncalieri). Consegnata e consumata per amore, mistica che intesse la quotidianità monastica nell’intimo dialogare con il Cielo, Consolata muore il 18 luglio 1946, a 43 anni. Lascia una grande eredità, condensata in quel «Gesù, Maria, vi amo, salvate anime!» che è giaculatoria e cammino di offerta. Per conoscerla leggi qui; per approfondire, a Suor Maria Consolata Betrone, Appunti in Coro. Diari, LEV, Città del Vaticano 2006.