N.06
Novembre/Dicembre 2023

Il consumo d’emozioni

All’origine della comunicazione audiovisiva che sostanzia e struttura buona parte della comunicazione digitale sta il cinema. All’origine del cinema sta una doppia emozione: lo stupore e la meraviglia della scoperta della possibilità di spiare il movimento del mondo dentro lo spazio onirico di una “riserva oscura”, e il confortante ed euforizzante sentimento d’onnipotenza prodotto dalla facoltà di controllarlo attraverso la manipolazione della sua immagine e dello scorrere del suo tempo. 

Le emozioni sono il perno centrale implicito, il motore silenzioso, l’oggetto dell’ossessione intorno ai quali e grazie ai quali la comunicazione digitale si muove e seguita a girare. 

Se all’origine della nascita dei social network c’è stata, almeno ufficialmente, la promessa di un gioco sociale fondato sullo scambio, il confronto, la messa in contatto, la costruzione di reti e la diffusione di informazioni, ben presto un fuoco divampante ha fagocitato e come incenerito molti dei pur numerosi e consistenti altri elementi strutturali; questo fuoco è l’emozione, considerata nella sua versione più elementare e primordiale. Da palinsesto, scacchiera, pagina tridimensionale sulla quale disporre i pezzi di una partita comunicativa transmediale giocata al margine del mondo analogico, del mondo concreto, il social network è ben presto diventato schermo opaco sul quale rincorrere emozioni, nello scorrimento perpetuo di un universo virtuale sempre più alternativo e sovrapposto a quello non digitale. 

 

Sostanza dell’atto comunicativo e emozione

Così da esperienza virtuale complementare e facoltativa rispetto al piano delle interazioni, delle relazioni, degli interscambi nel mondo analogico, la comunicazione attraverso i social network si è rapidamente trasformata in un universo sostanzialmente sostitutivo, dal quale è sempre meno possibile prescindere. Come conseguenza coerente e diretta anche i modi e la natura di questa comunicazione hanno subito una radicale mutazione: da consapevole gioco comunicativo costituito di elementi estranei alla rete e disomogenei tra loro, mosso da una forza centrifuga in un tempo discreto, è diventato, rapidamente e implicitamente, iterativo e compulsivo consumo d’emozioni nel flusso senza fine degli algoritmi e della story. 

Al punto che – ed è questo forse il più rilevante degli slittamenti – in questa nuova fase centripeta, confinata sempre più in un piccolo mondo digitale autoriferito che rimescola e rimastica se stesso senza mai fermarsi, l’emozione è divenuta essa stessa codice e materiale con il quale sostanziare atti comunicativi. 

 

La promessa di un’emozione

Se un tempo, riferendosi all’informazione sulla carta stampata e in televisione che trivialmente puntava a colpire l’immaginario collettivo, si parlava di “sensazionalismo”, intendendo così una comunicazione volta ad allettare, conquistare e impressionare il pubblico attraverso una rappresentazione eclatante, inusitata, talvolta indecente o grottesca del mondo, la nuova comunicazione digitale, che si tratti dell’informazione giornalistica, della propaganda politica, della pubblicità (influencer in primis) o più comunemente dell’interazione tra privati cittadini, quel che conta, la chiave universale, la moneta di scambio è la promessa di un’emozione. 

La cronaca di un cataclisma o di un incidente vende se si sa tramutare nel racconto di una tragedia; una lezione di storia accumula visualizzazioni (ed eventualmente re-post) se assume la forma di un monologo comico, il registro di una sapida commedia; il diario di viaggio di un adolescente, la spiegazione di un passo delle Sacre Scritture, il resoconto di un esperimento di chimica o di meccanica applicata, perfino la semplice registrazione audiovisiva di un pasto o di una gita al mare trovano un loro pubblico se espongono in modo sufficientemente chiaro e appariscente la promessa di un’esperienza emotiva. 

Che si tratti di apprendere qualcosa che non si conosce ancora, o di rilassarsi davanti a un contenuto d’intrattenimento, che si cerchi approfondimento culturale o crescita spirituale, la scelta cadrà quasi certamente sul canale, il profilo, il singolo contenuto (foto, video, streaming, ecc.) che implichi e in qualche misura garantisca una più cospicua offerta emotiva. Al contempo, nel momento della partecipazione attiva al gioco comunicativo, della produzione e condivisione di contenuti, quasi automaticamente e spesso inconsapevolmente, si opterà per forme e formule che più o meno esplicitamente, ma sempre in modo vistoso ed evidente, offrano un menù d’emozioni elementari pronte al consumo e dalla facile elaborazione. La vasta gamma delle liturgie e dei codici della comunicazione digitale sembra convergere e appiattirsi sulla modulazione di un canone limitato di emozioni elementari, ripetute, combinate tra loro, in alcuni casi sapientemente ordinate in una partitura efficiente. 

 

Educare per cogliere le opportunità

E come per altri consumi di massa – e per altri consumismi – anche quello d’emozioni crea dipendenza: una dipendenza che, come in altri casi, soprattutto nel caso delle giovani generazioni, approfondisce e intensifica il sopravvenire di anedonia, squilibri psicologici, difficoltà relazionali. 

Basterebbe un diffuso e non episodico intervento educativo che fornisse strumenti e conoscenze utili e sufficienti non solo all’uso critico e consapevole dei media ma anche e soprattutto alla  gestione della dimensione psicologica e delle dinamiche di relazione, e qualsiasi gioco comunicativo potrebbe essere praticato come opportunità di esercizio e apprendimento.

 

 

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