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Parte di una storia

Nella sua Lettera Apostolica Orientale Lumen, Giovanni Paolo II sottolinea come spesso oggi ci sentiamo prigionieri del presente –  come se l’uomo avesse smarrito la percezione di far parte di una storia che lo precede e lo segue – e mette in evidenza come le Chiese dell’Oriente offrano uno spiccato senso della continuità tra Tradizione e attesa escatologica, rispondendo alla fatica di collocarsi tra passato e futuro con animo grato per i benefici ricevuti e per quelli attesi (Cfr. OL, 8).

 

La Tradizione è patrimonio della Chiesa di Cristo, memoria viva del Risorto incontrato e testimoniato dagli Apostoli che ne hanno trasmesso il ricordo vivente ai loro successori, in una linea ininterrotta che è garantita dalla successione apostolica, attraverso l’imposizione delle mani, fino ai Vescovi di oggi. Essa si articola nel patrimonio storico e culturale di ciascuna Chiesa, plasmato in essa dalla testimonianza dei martiri, dei padri e dei santi, nonché dalla fede viva di tutti i cristiani lungo i secoli fino ai nostri giorni. Si tratta non di una ripetizione immutata di formule, ma di un patrimonio che custodisce il vivo nucleo kerygmatico originario. E la Tradizione che sottrae la Chiesa al pericolo di raccogliere solo opinioni mutevoli e ne garantisce la certezza e la continuità.

Quando gli usi e le consuetudini propri di ciascuna Chiesa vengono intesi come pura immobilità, si rischia certo di sottrarre alla Tradizione quel carattere di realtà vivente, che cresce e si sviluppa, e che lo Spirito le garantisce proprio perché essa parli agli uomini di ogni tempo. E come già la Scrittura cresce con chi la legge, così ogni altro elemento del patrimonio vivo della Chiesa cresce nella comprensione dei credenti e si arricchisce di apporti nuovi, nella fedeltà e nella continuità . Solo una religiosa assimilazione, nell’obbedienza della fede, di ciò che la Chiesa chiama «Tradizione» consentirà a questa di incarnarsi nelle diverse situazioni e condizioni storico-culturali. La Tradizione non è mai pura nostalgia di cose o forme passate, o rimpianto di privilegi perduti, ma la memoria viva della Sposa conservata eternamente giovane dall’Amore che la inabita.

Se la Tradizione ci pone in continuità con il passato, l’attesa escatologica ci apre al futuro di Dio. Ogni Chiesa deve lottare contro la tentazione di assolutizzare ciò che compie e quindi di autocelebrarsi o di abbandonarsi alla tristezza. Ma il tempo è di Dio, e tutto ciò che si realizza non si identifica mai con la pienezza del Regno, che è sempre dono gratuito. Il Signore Gesù è venuto a morire per noi ed è risorto dai morti, mentre la creazione, salvata nella speranza, soffre ancora nelle doglie del parto (cfr. Rm8,22); quello stesso Signore tornerà per consegnare il cosmo al Padre (cfr. 1Cor 15,28). Questo ritorno la Chiesa invoca, e di esso è testimone privilegiato il monaco e il religioso.

L’Oriente esprime in modo vivo le realtà della tradizione e dell’attesa. Tutta la sua liturgia, in particolare, è memoriale della salvezza e invocazione del ritorno del Signore. E se la Tradizione insegna alle Chiese la fedeltà a ciò che le ha generate, l’attesa escatologica le spinge al essere ciò che ancora non sono in pienezza e che il Signore vuole che diventino, e quindi a cercare sempre nuove vie di fedeltà, vincendo il pessimismo perché proiettate verso la speranza di Dio che non delude.

Dobbiamo mostrare agli uomini la bellezza della memoria, la forza che ci viene dallo Spirito e che ci rende testimoni perché siamo figli di testimoni; far gustare loro le cose stupende che lo Spirito ha disseminato nella storia; mostrare che è proprio la Tradizione a conservarle dando quindi speranza a coloro che, pur non avendo veduto i loro sforzi di bene coronati da successo, sanno che qualcun altro li porterà a compimento, allora l’uomo si sentirà meno solo, meno rinchiuso nell’angolo angusto del proprio operato individuale.

 

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