N.02
Marzo/Aprile 2022

Si sta al mondo unicamente amando

Me lo ricordo bene quando ho cominciato ad amare, perché è da quel momento in poi che ricordo tutto. […] A partire da quel momento la mia vita si è trasformata ed è diventata un’intenzione, un disegno, e l’amore stesso è diventato l’unico rapporto col mondo”.

Sandro Bonvissuto, La gioia fa parecchio rumore, Einaudi

 

Quanti possono ricordare con esattezza il momento in cui hanno iniziato ad amare? L’istante in cui hanno riconosciuto quell’amore grande e totalizzante che sconvolge la vita? Un’esperienza così dirompente che, dopo, il mondo non è più lo stesso. Ma l’amore può incarnarsi in molti modi: nel partner della vita, nei figli, nel servizio per gli altri, nella professione. In ciascun caso diventa il fulcro dell’esistenza. Il protagonista senza nome del romanzo si innamora, bambino, di una squadra di calcio, la Roma, e intorno a questo amore costruisce il suo percorso di crescita nella famiglia, con gli amici, nella comunità. Se qualcuno fosse tentato di pensare che l’amore per una squadra sia derubricabile a tifo e che non si possa costruire un romanzo di formazione su una passione sportiva, si dovrà ricredere: “È quasi impossibile parlare dell’amore, si riesce a farlo solo raccontando altre cose che sono poi la vita. Perché l’amore senza vita non esiste, non si può cogliere come concetto. L’amore è gesto, esiste solo se incarnato. Quindi per raccontare l’amore bisogna raccontare qualcos’altro”. E nella narrazione di questo amore incondizionato (quanti amori possono dire di esserlo altrettanto?), tra ricordi reali e immaginari pennellati nella Capitale negli anni ’70, si ritrovano tutta la purezza, la bellezza e l’assoluto del sentimento e del coinvolgimento. Per spiegare certe pagine allo stadio si potrebbe scomodare il Roland Barthes di Frammenti di un discorso amoroso (“Il soggetto amoroso vive ogni incontro con l’essere amato come una festa”); così come per ironia e affettuosità è impossibile non pensare a Nick Hornby e al suo “Febbre a 90°”. Bonvissuto, cameriere laureato in filosofia, sa servire la profondità con la leggerezza e, domenica dopo domenica, ci accompagna con sciarpe e bandiere insieme al bambino e alla sua stralunata e amatissima famiglia in un racconto corale in cui lo sport è buona metafora della vita. Una famiglia, quella di sangue e quella “allargata”, che sa essere comunità: fatta di persone semplici ma genuine, che conoscono il valore e l’importanza della solidarietà e della condivisione. E anche della celebrazione di riti collettivi, quando la tristezza delle sconfitte ammutolisce, ma la gioia della vittoria sa esplodere con smisurato fragore.