N.06
Novembre/Dicembre 2002

Gli Istituti di vita consacrata negli Organismi ecclesiali di pastorale vocazionale: per un progetto di comunione

Credo sia necessaria da parte mia una doverosa e necessaria premessa. Sono qui, come potete ben comprendere, non a titolo personale, ma in quanto Vicedirettore del CNV. Questo significa che al mio posto potrebbe esserci benissimo qualsiasi altra persona della Direzione o del Consiglio, non sarebbero diverse le riflessioni proposte. Mi limiterò, pertanto, a “prestare la mia voce”, perché quanto si sta maturando in questi ultimi anni nel CNV possa rimbalzare in quest’aula.

La mia relazione costituisce la seconda tappa del cammino di questi giorni. Non può essere ben compresa se non contestualizzata; se cioè non si tiene presente il tema proposto e sviluppato da sr. Marcella Farina ieri sera: “Spiritualità di comunione nella vita consacrata: per un salto di qualità nella pastorale vocazionale”. Se il tema di ieri chiedeva una profonda riflessione sull’affascinante e coinvolgente tema della “spiritualità della comunione”, questa mattina mi è chiesto di porre l’accento sulle strutture di comunione che possono permettere alla pastorale vocazionale di fare quel tanto auspicato salto di qualità.

Mi sembra importante, pertanto, richiamare attraverso le parole del Papa i contenuti essenziali della spiritualità di comunione, per evitare, come ci ammonisce lo stesso Giovanni Paolo II, di ritrovarci dinanzi “apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita” (NMI 43). Non mi limiterò, però, a fare una semplice lettura delle indicazioni del Papa, ma vorrei evidenziare il profondo rapporto esistente tra le osservazioni del Pontefice sulla spiritualità della comunione, quanto afferma il Piano pastorale delle vocazioni in Italia a proposito del CDV, e le tre “pennellate” con cui il Papa nella Vita Consecrata tratteggia la vita consacrata.

a) “Spiritualità della comunione significa innanzi tutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto” (NMI 43). “Il CDV luogo di comunione vocazionale, si costituisce ad immagine della Chiesa particolare; riflette la sua natura teologica (diversità di vocazioni, doni e ministeri); si offre per tutte le categorie vocazionali presenti nella Chiesa particolare, come luogo di comunione” (P.P.V. 54). E il primo capitolo dell’Esortazione post-sinodale sulla vita consacrata definisce quest’ultima: “Confessio Trinitatis”.

b) “Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzi tutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto” (NMI 43). “Il CDV è luogo di coordinamento nella Chiesa particolare di quanto esiste e cresce nel campo della pastorale vocazionale. Possono quindi essere considerati ordinamenti e urgenze qualificanti per il CDV: ‘diffondere una forte ispirazione di fede; alimentare la spiritualità e la preghiera; innestare l’animazione vocazionale nella pastorale d’insieme delle Chiese particolari; portare l’animazione vocazionale nella pastorale delle comunità parrocchiali, coinvolgendo movimenti, gruppi, servizi e altre comunità in esse operanti; inserire l’animazione vocazionale nella pastorale giovanile; creare e diffondere pubblicazioni adatte alle diverse necessità della pastorale vocazionale; curare la preparazione delle persone che hanno ricevuto dai vescovi, dai superiori e superiore religiosi, da altri responsabili della vita consacrata il mandato specifico della cura e accompagnamento dei chiamati’” (P.P.V. 54). Il secondo tratto della vita consacrata delineato dall’Esortazione post-sinodale è: “Signum fraternitatis”.

c) “Spiritualità della comunione infine è saper ‘fare spazio’ al fratello, portando i ‘pesi gli uni degli altri’ (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie” (NMI 43). “Il CDV, luogo d’animazione e promozione vocazionale, è attento a tutto ciò che già concretamente esiste nella vita della Chiesa locale: si offre come luogo di studio e d’approfondimento della teologia della vocazione, degli specifici documenti del magistero e degli sviluppi della pastorale delle vocazioni, cura i rapporti e offre il suo servizio specifico a tutti gli uffici diocesani e organismi pastorali presenti nella Chiesa locale; è attento a tutti gli ambiti o luoghi pastorali (in particolare la parrocchia), in cui si esprime l’operatività pastorale” (P.P.V. 54). Il terzo e ultimo aspetto della vita consacrata sottolineato dall’Esortazione è identificato nel “Servitium fraternitatis”.

Alla luce di queste espressioni del Papa si comprende bene non solo perché egli definisca i consacrati esperti in comunione, ma anche quale apporto questi ultimi sono chiamati ad offrire agli organismi di comunione, che nelle sue parole possono trovare un concreto programma di vita. Se, come ci ricordava il documento della CEI “Comunione e comunità” la comunione è dono di Dio, sempre da invocare e da custodire gelosamente, la comunità è il volto concreto che la comunione assume in quel territorio e nella vita di determinate persone. E la comunità è chiamata sempre a convertirsi alla comunione. In questo senso risulta quanto mai significativa l’espressione adoperata ieri sera da madre Teresa Simionato: “La spiritualità della comunione esige una spiritualità dell’esodo”. E sr. Marcella Farina ci ricordava che i doni di Dio non vogliono alimentare in noi il consumismo, fosse anche solo quello spirituale, ma sempre i doni interpellano la nostra responsabilità: Gabe – Aufgabe, come affermano i tedeschi.

Per questo è indispensabile che le nostre strutture di comunione siano sempre più il volto visibile e leggibile del dono della comunione. Potremmo dire che gli organismi di comunione sono chiamati a realizzare lo slogan che il CNV ha proposto per la GMPV di quest’anno: “Dai volto all’Amore”. Mi piacerebbe pensare allora agli organismi di comunione non come delle strutture volute per rendere più efficace la nostra pastorale, ma innanzi tutto come delle preziose occasioni di grazia, con cui il Signore ci chiama continuamente a realizzare quell’esodo dall’individualismo personale o di istituto verso una comunione sempre più piena.

Ed è proprio di esodo che vorrei parlarvi. Ho pensato infatti di dividere il mio intervento in due parti: una prima parte: dove siamo; e una seconda: verso dove possiamo andare. Non ci è permesso restare immobili nelle nostre posizioni. Perché, come ci ricorda un proverbio siciliano: “La strada è sempre lunga, finché non incominci a camminare”. E un altro proverbio dell’America latina recita: “Camminando s’apre cammino”.

Questo Forum si pone all’inizio del nuovo mandato affidato al nostro Direttore don Luca, quale momento favorevole non solo per fare il punto della situazione, ma soprattutto per individuare insieme alcune linee d’azione che possono guidarci nei prossimi cinque anni. Il mio intervento si propone pertanto di aprire un cammino, consapevoli che in questo impegno non siamo soli: “In ogni tempo tu doni energie nuove alla tua Chiesa e lungo il suo cammino mirabilmente la guidi e la proteggi. Con la potenza del tuo santo Spirito la guidi nei sentieri del tempo ed essa nel suo amore fiducioso non si stanca mai di invocarti nella prova e nella gioia sempre ti rende grazie” (Prefazio). E la Colletta della messa che abbiamo appena celebrato ci ha fatto chiedere: “Donaci la tua grazia, o Signore, perché conosciamo ciò che è a te gradito e possiamo attuarlo nell’unità e nella concordia”.

 

 

Dove siamo

Quale panorama si intravede da questo posto privilegiato di osservazione qual è il CNV? E non mi riferisco solo a quelle conoscenze che si acquisiscono negli incontri con i direttori dei CRV, come in questi giorni, o dei CDV, nei convegni annuali. Parlo di quella conoscenza dei CDV e dei CRV in “corpore vivo”, cioè partecipando nelle regioni o nelle diocesi alle loro iniziative. Mi piacerebbe che quest’aula diventasse una cassa di risonanza del vissuto dei nostri CRV e CDV per favorire il dialogo sincero e registrare una rinnovata disponibilità di tutti nel camminare insieme.

Infatti, siamo qui per aiutarci reciprocamente e non certamente per addossare le responsabilità sugli altri. Per questo è d’obbligo la sincerità! Innanzi tutto registriamo un fatto positivo: in molte diocesi in questi ultimi anni la PV è stata posta come obiettivo prioritario, o da sola o insieme alla PG o alla PF. Comunque sia ciò significa che tutti coloro che si occupano della PV si trovano a vivere oggi un momento estremamente favorevole. Non possiamo assolutamente permetterci il lusso di lasciarci sfuggire questa opportunità!

Non solo le diocesi, ma anche gli Istituti di vita consacrata in questi ultimi anni stanno intensificando la riflessione sull’animazione vocazionale. Ne sono prova i paragrafi o intere lettere dedicate a questo tema dai superiori (si pensi, solo come es., a quella dello scomparso Rettore maggiore dei Salesiani). Ma anche dal pullulare di piani pastorali giovanili a forte tinta vocazionale o esclusivamente vocazionale stilati dagli Istituti di vita consacrata. Io stesso ne ho potuto leggere e studiare alcuni. Un segnale dell’accresciuto interesse su questo tema e soprattutto della volontà di trovare delle risposte è dato anche dalla presenza sempre più numerosa e qualificata delle suore al corso triennnale organizzato dall’USMI nazionale, o a quelli recentemente proposti da alcune Università pontificie per animatori vocazionali.

Ci si aspetterebbe che tutta questa vivacità contribuisse a dare nuovo impulso e creatività ai nostri CDV e CRV. Non sempre è così! È vero che alcuni lavorano molto bene e, come ci ricorda un proverbio: “Fa sempre più rumore un albero che cade, anziché tutta una foresta che cresce”. Ma è anche vero che ce ne sono altri che galleggiano nel limbo della sopravvivenza, attendendo fatale “il colpo di grazia”.

Quali sono le cause di questa situazione?

a) Queste vanno ricercate innanzi tutto nella figura del direttore.

– In alcuni casi si è dinanzi ad un direttore troppo giovane, privo non solo di quella esperienza pastorale necessaria per fare sintesi, ma anche di una pur minima autorevolezza tra i confratelli da consentirgli non solo di “cantare bene”, ma soprattutto “di non cantare fuori del coro”.

– A volte, il direttore ricopre anche altri uffici, sottoponendosi così al duro lavoro del “part time”, che non sempre permette un’incisiva azione pastorale.

– In altri casi, si riscontra un’eccessiva “mobilità”, intesa non come disponibilità ad essere presente nelle comunità cristiane della diocesi, ma come cambi repentini, che non permettono né una programmazione né tanto meno la formazione di un CDV ben organizzato.

– Infine, vi sono direttori che sono contemporaneamente anche rettori del seminario. Il che, se di per sé non costituisce una pregiudiziale, si trasforma a volte involontariamente in un’attenzione quasi esclusiva per le vocazioni al ministero ordinato.

Dobbiamo onestamente riconoscere che non poche di queste situazioni non sono volute, ma subite. Se i nostri vescovi avessero a disposizione molti sacerdoti certamente sarebbe diverso. Invece sono costretti a fare salti mortali per poter assicurare la presenza dei sacerdoti in ogni settore della pastorale diocesana. Non possiamo che condividere questa loro preoccupazione e ricordare a tutti noi che a volte l’ottimo è nemico del bene!

 

b) E le consacrate e i consacrati che tipo di presenza hanno nei CRV e nei CDV?

Innanzi tutto un’osservazione generale.

Le consacrate sono più presenti dei consacrati. Se si volesse prendere come punto di riferimento questo Forum, non potremmo che registrare questo dato di fatto. La ragione non è solo perché esse sono relativamente più numerose! Credo invece che la loro presenza sia motivata dal fatto che avvertono più degli istituti maschili la crisi vocazionale, come anche dall’essere animate da una santa umiltà che le spinge a ricercare, con più intensità dei fratelli, collaborazioni, metodi e iniziative che possono aiutarle a superare la crisi.

– Nei consacrati, invece, si registra a volte una certa autosufficienza e gli incontri dei CDV e dei CRV vengono visti, considerando i loro numerosi impegni pastorali, più come una “perdita di tempo”, che come occasione di crescita. Se a questo atteggiamento si aggiunge il fatto che, come è stato appena accennato, non sempre i CDV e i CRV funzionano bene, allora l’assenza sembra essere, ai loro occhi, del tutto giustificata. Non va sottovalutata un’altra difficoltà che registrano gli animatori vocazionali nel non poter essere sempre presenti agli incontri e alle iniziative dei CDV: il loro raggio di azione a volte abbraccia più diocesi. Se dovessero partecipare a tutti gli incontri di tutti i CDV delle diocesi in cui si recano per l’animazione vocazionale, non avrebbero tempo per fare altro.

– In quelle diocesi in cui si constata da parte delle consacrate e dei consacrati che il CDV non funzione bene, il più delle volte la loro reazione è quella di non partecipare più alle già rare riunioni, disinteressandosi del tutto in attesa che cambi aria. Mi sembra di dover ricordare che il CDV non può esistere e vivere senza la partecipazione dei rappresentanti di tutte le categorie vocazionali. E lì dove non esiste ancora o non ha una normale attività le consacrate e i consacrati devono diventare una spina nel fianco di colui che ha la nomina, perché la diocesi non sia privata di questo organismo di comunione. In altre parole non si va al CDV solo se già esiste e funziona alla perfezione; ma si va al CDV anche se quest’ultimo attraversa momenti di difficoltà o fa fatica a decollare, perché il CDV non è un self service di iniziative e sussidi vocazionali dove si va solo per prendere, né tanto meno un palcoscenico che offre l’occasione per presentarsi e parlare un po’ di sé. “Se sei avvolto dall’oscurità non lamentarti del buio, ma accendi una candela: incomincerà ad esservi più luce!” (proverbio). Al CDV si va anche per dare, ricordando le parole del Signore che dice: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Anche questo è amore alla Chiesa locale nella quale il Signore ci chiama a vivere.

– Non vi nascondo, però, che mi viene il dubbio che la mancata partecipazione a questi organismi, nasconda e, in un certo senso, riveli anche un certo disagio che avvertono i consacrati: quello cioè di vedere la propria vocazione, non solo all’interno di questi organismi, ma anche dentro la vita della diocesi, non sempre conosciuta, non sempre apprezzata né tanto meno valorizzata. Quasi sempre però strumentalizzata.

Se questa è la temperatura che si registra nei nostri CDV e CRV, la volontà del CNV, che in stretta collaborazione con i consacrati presenti nella Direzione e nel Consiglio, si è proposto la realizzazione di questo Forum tra uno dei suoi obiettivi prioritari, risponde solo al desiderio di “rianimare” una struttura che non gode di buona salute?

Sia ben chiaro, non avremmo speso tante energie solo per fare “funzionare” un po’ meglio queste strutture. Non siamo preoccupati della nostra sopravvivenza, ma a noi sta a cuore la vita delle persone e soprattutto dei ragazzi, adolescenti e giovani che hanno diritto di ricevere l’annuncio vocazionale. E queste strutture di comunione sono a servizio di queste persone e, come ci ha ricordato NVNE: “sono chiamate a portare la pastorale vocazionale lì dove la gente vive e dove i giovani sono coinvolti più o meno significativamente in un’esperienza di fede” (n. 29).

Alla luce di quanto appena affermato, vorrei, prima di concludere questa prima parte, fare questa ulteriore osservazione. Se è vero che la spiritualità della comunione costituisce il cuore che deve pulsare in ogni CDV, CRV e CNV, allora vuol dire che non è sufficiente che questi organismi si preoccupino di vivere questa comunione solo al loro interno. Devono essere, invece, “casa e scuola di comunione”! (NMI 43). Devono cioè curare e alimentare la comunione non solo tra i propri membri, ma anche con gli altri organismi vocazionali (CRV e CNV) superando quella sorta di “economia chiusa”, destinata a morire di asfissia, anche se ben curata, per aprirsi con generosità alla “globalizzazione” della comunicazione, condividendo competenze, idee, cammini ed esperienze. “Comunicatio facit domum et civitatem” (s. Tommaso).

Non raramente, infatti, mi capita di incontrare, visitando le diocesi, dei CDV ben organizzati e anche animati da una certa dose di entusiasmo e creatività, ma di constatare che quegli stessi CDV non sono mai presenti agli appuntamenti organizzati dal CRV o dal CNV e che camminano su strade solitarie. Perché imprigionarsi nell’autosufficienza? Perché non sentire la gioia di condividere con gli altri il proprio cammino? Perché non confrontarsi con la fatica che devono affrontare gli altri in situazioni pastorali a volte più complesse? La comunione va sempre a braccetto con la generosità e l’umiltà.

Non vi nascondo, e i miei amici della Direzione questo lo sanno molto bene, che diverse idee che ho proposto in Direzione o nel Consiglio e che poi sono diventate punti fermi nella vita del CNV, trovano la loro origine in qualche intuizione che ho colto nella vita e nelle attività dei CDV o dei CRV che ho conosciuto. Anche questa è spiritualità della comunione!

“Bonum diffusivum sui”: il bene per natura sua è portato ad espandersi! Si tratta allora di non preoccuparsi esclusivamente del proprio CDV o CRV, ma anche di rafforzare sempre più quel legame di comunione tra CDV, CRV e CNV. Mi permetto di ricordare a tutti che uno degli strumenti privilegiati di questa comunione è la Rivista VOCAZIONI. E i consacrati con la loro “mobilità” possono aiutare molto i nostri organismi a passare dall’essere entità chiuse in se stesse a diventare “vasi comunicanti”. Solo questo sincero e costante legame permetterà alle proposte pastorali del CNV di raggiungere le comunità parrocchiali e ai CDV e CRV di essere non solo continuamente stimolati e arricchiti, ma anche di pungolare e arricchire con la propria esperienza il CNV e la PV in Italia.

 

Verso dove possiamo andare?

Mi piace sognare un CDV, CRV e CNV in cui i consacrati non solo danno qualcosa, ma anche si rendono disponibili a ricevere qualcosa dalla loro partecipazione a questi organismi. Solo a questa condizione la comunione può crescere. Tento allora di delineare quale tipo di presenza i consacrati sono chiamati a realizzare in questi organismi di comunione rispondendo ad alcune domande. E lo farò tenendo presente il documento NVNE che costituisce il punto di non ritorno per la pastorale delle vocazioni.

 

Chi?

Chi deve partecipare a questi organismi? Non certamente il primo che capiti, purché si assicuri una certa presenza. È necessario qualificare sempre più la propria partecipazione. Nessuno deve correre dietro i numeri; sono importanti le persone. Allora a questi organismi deve partecipare innanzi tutto l’animatrice/l’animatore vocazionale dell’Istituto. Ma vorrei dire subito con decisione: mai da solo! Non certamente in senso fisico (facendosi cioè accompagnare da un esercito di consorelle o confratelli), ma nel senso che la sua presenza deve essere segno credibile di una condivisione e di una sintonia di intenti che si respira in tutto l’Istituto. Del resto l’obiettivo che si prefigge di raggiungere negli anni questo Forum è proprio quello di tentare di coinvolgere le madri generali, le provinciali, le responsabili dell’animazione vocazionale dell’Istituto, e non solo le singole animatrici o gli animatori. Questo perché a volte si incontra un’animatrice o un animatore che fa molto bene in questi organismi, ma quando vi subentra un altro dello stesso Istituto la musica cambia! Vorremmo che la pastorale vocazionale non fosse così strettamente dipendente dalle persone. Ma che fosse innanzi tutto una scelta dell’Istituto, cosicché pur nell’inevitabile avvicendamento delle persone la qualità della presenza dell’Istituto nella pastorale vocazionale della diocesi non subisse profondi cambiamenti. Parafrasando il n. 200 del RdC potremmo affermare che: “Prima delle iniziative sono gli animatori e prima ancora degli animatori sono le comunità”.

Non dimentichiamo che il n. 64 di VC riporta quella che è la regola di ogni PV: “Vieni e vedi”. Dove? Nella comunità! È quindi indispensabile che la comunità sia coinvolta dagli animatori vocazionali non solo nelle iniziative, ma soprattutto nella preghiera e nel progetto vocazionale. Non raramente capita che bravi animatori e animatrici riescano a far breccia nel cuore dei giovani e che li invitino per delle esperienze di preghiera o di condivisione nelle proprie comunità; ma qui i giovani hanno come l’impressione di essere avvolti da un clima gelido e distruttivo. Anche chi è in portineria dovrebbe sentirsi “animatrice o animatore vocazionale”.

È questo un punto debole che più volte mi è stato confessato da chi negli Istituti di vita consacrata è impegnato nell’animazione vocazionale. Allora il salto nella pastorale vocazionale si potrà realizzare se accoglieremo e lavoreremo per mettere in atto quanto NVNE afferma al n. 25/c: “Tutti i membri della Chiesa, nessuno escluso, hanno la grazia e la responsabilità della cura delle vocazioni”. La vita consacrata non solo ha il dovere di essere presente ma ne ha anche il diritto. Assomigliano tanto a quelle lampadine che illuminano i nostri presepi o alberi di Natale: anche se si fulmina solo una, è tutta la serie che non si accende. O si cresce insieme o non si cresce!

 

Dove?

Gli organismi di comunione possono aiutare la vita consacrata a non restringere l’annuncio vocazionale all’interno della propria scuola, delle proprie strutture, delle proprie parrocchie… ma a “seminare a piene mani” nel campo della Chiesa. Gli organismi di comunione sollecitano, provocano e coinvolgono la vita consacrata perché, come ci diceva sr. Farina, si renda visibile in tutta la diocesi, e l’annuncio e la testimonianza del carisma della vita consacrata circoli liberamente in tutta la diocesi. Soprattutto emerga nei cammini feriali di educazione alla fede. Ma la vita consacrata ha qualcosa di straordinario da donare alla pastorale vocazionale di una diocesi: la possibilità di far risuonare l’annuncio e la proposta vocazionale anche in quegli ambienti in cui la pastorale ordinaria difficilmente arriva. Penso al mondo della scuola, a quello della sanità, a quello del volontariato, a quello del disagio giovanile… La pastorale vocazionale oggi si ostina ad essere “fedele” ai classici luoghi dell’annuncio, dimenticando che il Signore non si lascia ingabbiare nella sua sorprendente libertà.

Compito di questi organismi di comunione è anche quello di assicurare una presenza e una proposta vocazionale in tutte le comunità cristiane coordinando il lavoro degli animatori e animatrici vocazionali. Non raramente si nota in qualche parrocchia un’abbondanza di presenza, mentre altre sono abbandonate in una desolante solitudine. Compito di questi organismi è proprio quello di far circolare in tutte le comunità cristiane i carismi e la proposta vocazionale, soprattutto attraverso la testimonianza dei consacrati. Non è qui fuori luogo ricordare che la proposta vocazionale si fa soprattutto “per contagio”.

La presenza dei consacrati in questo senso, dovrebbe diventare sempre più una presenza che disturba la quiete pubblica, sollecitando la pastorale vocazionale a percorrere sentieri inediti: quelli stessi che utilizza il Signore quando desidera incontrare una determinata persona non importa dove essa si trovi. Del resto è quanto ci viene chiesto da NVNE: “Anzitutto la pastorale vocazionale non conosce frontiere. Essa non si rivolge solo ad alcune persone privilegiate o che hanno già fatto un’opzione di fede, né unicamente a coloro da cui sembra lecito attendersi un assenso positivo, ma è rivolta a tutti, proprio perché fondata sui valori elementari dell’esistenza. Non è una pastorale d’élite, ma di popolo; non è un premio per i più meritevoli, ma grazia e dono di Dio per ogni persona, perché ogni vivente è chiamato da Dio. Né va intesa come qualcosa che solo alcuni potrebbero comprendere o ritenere interessante per la loro vita, perché ogni essere umano è inevitabilmente desideroso di conoscersi e di conoscere il senso della vita e il proprio posto nella storia” (n. 26/e).

 

Come?

Innanzi tutto la presenza dei consacrati come anche quella di qualsiasi altro membro di questi organismi di comunione non può che essere una presenza libera, eucaristica! Sì, di quella “libertà di cuore” che ci è stata ricordata dall’orazione sulle offerte della messa di oggi. Libera da che cosa? Innanzi tutto dall’ansia di dover per forza ritornare a casa dopo aver lavorato nel CDV e CRV con qualche vocazione in più. Mi capita a volte di ascoltare le confidenze di qualche animatrice vocazionale che un po’ sconsolata confessa: la provinciale o la madre generale mi chiedono continuamente: che vai a fare nel CDV o nel CRV se poi da quando sei lì non abbiamo avuto nessun nuovo ingresso nell’Istituto? Dobbiamo dire con forza che la gratuità è la condizione che rende fecondo ogni impegno vocazionale e che caratterizza ogni storia vocazionale. Prima di raccogliere i frutti è necessario seminare; e, prima ancora di seminare, è indispensabile dissodare il terreno! Si tratta allora di unire le forze per creare nella diocesi quella cultura vocazionale che rende possibile nei giovani la risposta alla chiamata del Signore. Gli organismi di comunione chiedendo ai consacrati di collaborare con loro, li sollecitano continuamente ad un esercizio di sincera libertà. Ma la presenza dei consacrati negli organismi di comunione ricorda a questi ultimi che l’annuncio e la proposta vocazionale non possono restare generici, ma devono essere anche specifici. È quanto ci ricorda NVNE: “La pastorale vocazionale parte necessariamente da un’idea ampia di vocazione (e di conseguente appello rivolto a tutti), per poi restringersi e precisarsi secondo la chiamata di ognuno. In tal senso la pastorale vocazionale è prima generica e poi specifica, entro un ordine che non sembra ragionevole invertire e che sconsiglia, in genere, la proposta immediata, senz’alcuna catechesi progressiva, d’una vocazione particolare” (n. 26/d).

Quante vocazioni settimine nascono improvvisamente come funghi dopo un temporale estivo e con altrettanta rapidità muoiono, perché non rispettano questa legge della gradualità. Forse anche nell’animazione vocazionale si è insinuato il virus del “tutto e subito” che così spesso condanniamo nei giovani. Dobbiamo riconoscere con umiltà che anche noi siamo espressione di questa società definita “della gratificazione immediata”.

 

Quando?

Non dobbiamo avere fretta, ma non possiamo arrivare troppo tardi nella proposta vocazionale! Non vi sembra che da un po’ di anni a questa parte stiamo privilegiando la fascia giovanile, trascurando quasi del tutto il mondo dei ragazzi e soprattutto “quell’età negata”, che è l’adolescenza. Un’età certamente problematica, e non facile da incontrare, ma chi può negare che è la più vocazionale? È l’età dei sogni e dei progetti; l’età della costruzione della personalità e della verifica dell’adesione a Cristo. Sono gli adolescenti i destinatari privilegiati della pubblicità, della moda, delle canzoni… Così mentre loro sono sommersi da questi continui messaggi, lasciandosi “educare” e facendo propri quegli stili di vita loro proposti, noi ci segnaliamo per un assordante silenzio. La crisi delle vocazioni, ci ricordava NVNE è anche crisi di chiamanti!

E sempre in NVNE si legge: la proposta vocazionale “non è una proposta che venga fatta una sola volta nella vita (all’insegna del ‘prendere o lasciare’) e che venga in pratica ritirata dopo un rifiuto da parte del destinatario. Essa deve essere invece una continua sollecitazione, fatta in modi diversi e con intelligenza propositiva, che non s’arrende dinanzi a un iniziale disinteresse, che spesso è solo apparente o difensivo” (n. 26/e).

A tale proposito credo sia necessario spendere una parola su un equivoco che vedo si va diffondendo sempre più: l’identificare la pastorale vocazionale con la pastorale giovanile. A volte mi sono trovato tra le mani Piani pastorali redatti dagli Istituti con questo titolo: “Piano di pastorale giovanile-vocazionale”. Se si trattasse solo di presentare la pastorale giovanile attraversata dalla proposta vocazionale, sarebbe accettabile. Ma a volte, senza voler giudicare l’agire di nessuno, questa impostazione nasconde dei pericoli non indifferenti. Innanzi tutto quello di pensare che il semplice fatto di interessarsi dei giovani, è da loro inteso come impegno vocazionale; inoltre il restringere il raggio d’azione al solo mondo giovanile, potrebbe celare il non confessato desiderio di interessarsi di loro, perché decidano di entrare nei nostri Istituti; se così fosse il reclutamento che sembrava eliminato dalla porta principale, scivola dentro il nostro agire dalla porta secondaria. Infine, la pastorale vocazionale non può interessarsi solo dei giovani. È quanto ci ricorda NVNE: “Va anche corretta l’idea che la pastorale vocazionale sia esclusivamente giovanile, poiché in ogni età della vita risuona un invito del Signore a seguirLo, e solo in punto di morte una vocazione può dirsi realizzata completamente” (n. 26/e).

Gli organismi di comunione sollecitano la vita consacrata a non cadere nella tentazione di rivolgersi esclusivamente ai giovani, dovendosi occupare dei genitori, dei fidanzati, degli educatori, dei catechisti, degli ammalati, degli anziani…

 

Perché?

Siamo giunti così all’ultimo interrogativo, quello più significativo: perché è richiesta la presenza dei consacrati in questi organismi di comunione? Vi verrebbe da rispondere così: perché il carisma della vita consacrata è data a te, ma non è solo per te; è, per adoperare una frase di s. Paolo, “per l’utilità comune”. Tutti devono essere posti nella condizione di poter conoscere, stimare, apprezzare questo dono soprattutto attraverso la testimonianza personale dei consacrati. “Che nessuno per colpa nostra sia privato di ciò che deve sapere per orientare cristianamente la propria vita” (Paolo VI).

Una seconda motivazione va ricercata nel fatto che la vocazione pur essendo una risposta personale non ci pone su un cammino solitario, ma, come ci ha ricordato ieri sr. Farina, citando la LG: “Dio, volendo salvare gli uomini, non li ha presi singolarmente, ma ha fatto di essi un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse” (n. 9). La pastorale unitaria trova la sua motivazione di fondo nell’essere radicata nel DNA della Chiesa, che per definizione è Qa’al, Ecclesia, convocazione: “un popolo”, “la Chiesa particolare scopre la propria dimensione esistenziale e terrena nella vocazione di tutti i suoi membri alla comunione, alla testimonianza, alla missione, al servizio di Dio e dei fratelli… Perciò essa rispetterà e promuoverà la varietà dei carismi e dei ministeri, quindi delle diverse vocazioni; tutte manifestazioni dell’unico Spirito” (NVNE 25/d).

È quanto ci ricorda il prefazio ordinario I: “Mirabile è l’opera da lui compiuta nel mistero pasquale: egli ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla gloria di proclamarci stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di sua conquista per annunziare al mondo i tuoi prodigi, o Padre, che dalle tenebre ci hai chiamati allo splendore della tua luce”.

Non trascurerei neppure il fatto che oggi la vita consacrata può aiutare non poco le nostre comunità cristiane a vincere la tentazione dell’efficientismo e dell’attivismo, ricordando loro con la propria testimonianza di vita il primato di Dio sulla nostra vita e sulle nostre attività. Estremamente significativo a tale proposito è quanto è affermato nella lettera di ripresentazione del DB da parte dei vescovi italiani: “Una comunità non la si organizza, ma la si genera nell’accoglienza dei doni e dei carismi che lo Spirito riversa al suo interno”.

Gli organismi di partecipazione ricordano alla vita consacrata che, come recita NVNE, “ogni vocazione è necessaria e relativa insieme. Necessaria, perché Cristo vive e si rende visibile nel suo corpo che è la Chiesa e nel discepolo che ne è parte essenziale. Relativa, perché nessuna vocazione esaurisce il segno testimoniale del mistero di Cristo, ma ne esprime solo un aspetto. Soltanto l’insieme dei doni rende epifanico l’intero corpo del Signore” (n. 19/c).

 

Conclusione

Vorrei concludere citando Antoine de Saint Exupèry: “Se vuoi che delle persone costruiscano una barca non ti limitare a fornire loro la legna, i chiodi, la pece, la vernice, i pennelli… Parla loro del mare aperto, suscita nei loro cuori la nostalgia del mare ed essi costruiranno la barca”. Mi auguro comunicandovi queste mie semplici considerazioni di aver suscitato in voi la nostalgia del mare aperto e auguro a tutti gli organismi di partecipazione che siano sempre capaci di tenere vivo nell’animo di tutti la nostalgia del mare aperto. “Beato chi pone in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio” (Sal 84,6). E allora… Duc in altum!