N.01
Gennaio/Febbraio 2007

Nel sì di Cristo il tuo sì nella Chiesa

Il sì di Cristo per noi

L’origine e il centro della fede cristiana è nella  figura storica di Gesù di Nazaret. Perciò il cristiano è colui che si professa discepolo di Gesù Cristo nel-l’atto concreto del credere a Gesù come Figlio di Dio (Gal 2,16; Gv 6,29), al Verbo fatto carne (Gv 1,14), al Messia promesso, il Cristo portatore della salvezza escatologica. Per mezzo del suo sì, il Dio d’Israele instaura il suo Regno.

Ciò permette al mediatore della signoria di Dio di consacrare al Padre il cuore e la volontà dell’uomo, in modo tale che l’uomo, come partner dell’allean-za, entri, nei confronti di Dio, in un nuovo rapporto di giustizia.

Nell’Antico Testamento, la particolare relazione  tra Jahve e Israele veniva espressa con l’immagine del rapporto tra padre e figlio e realizzata attraverso il mediatore profetico, regale e sacerdotale, che nel Nuovo Testamento si concretizza nel “Figlio di Dio”; egli, ricolmo dello Spirito Santo, sta in un rapporto stretto con Jahve (cf Mc 1, 11).

 In virtù della sua appartenenza al popolo d’Israele, che gli permette di rappresentarlo anche “secondo la carne” (discendente della stirpe di Davide: Rm 1,3; 9,5; Mt 1,16; Lc 1,32; Ap 5,5; Is 11,1), Gesù Cristo è il mediatore del dominio escatologico di Dio: nella sua persona si realizza in modo vicario il compimento dell’alleanza e quindi la relazione padre-figlio di Jahve con Israe­le (cf 2 Sam 7,13-14; Ez 34, 23-24 ). In Gesù, come rappresentante d’Israele, nel suo insegnamento e nella sua vicenda umana, fino alla morte in croce e alla risurrezione per la potenza del Padre, si compie la relazione padre-figlio tra Dio e il suo popolo, alla quale tutti gli uomini, in forza della fede in Gesù e della comunione fraterna con lui, hanno parte nello Spirito Santo (cf Gal 4,4-6; Rm 8, 15-29; Gv 1,12-13).

Gesù Cristo è il sommo sacerdote, il mediatore della nuova ed eterna Alleanza (cf 1 Cor 11,25; Eb 8, 6-13), il quale “ una volta per sempre ha operato con il suo sangue una redenzione eterna” (Eb 9,12; cf Rm 3,25; 2 Cor 5,21).

La storia dell’alleanza è la concretizzazione e la mediazione storica del­la volontà salvifico-universale di Dio come creatore di tutti gli uomini. Cristo è dunque il mediatore unico tra Dio e tutta l’umanità, chiamata alla salvezza (1 Tm 2,4 ss; Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Col1,16; Ef 1,9-14).

Nella pienezza del tempo (Mc 1,15; Gal 4,4; Ef 1,10) Dio rivela il significato universale della figliolanza d’Israele (At 3,25) come il sacramento, lo strumento e il segno della vocazione di tutti gli uomini a partecipare alla figliolanza di Gesù con il Padre. Israele viene così costituito come sacramento dell’alleanza della Chiesa dei giudei e dei pagani (cf Gal 3,28; Ef 2,14).

Nella professione di fede della Chiesa, Jahve si manifesta come Dio e Padre di Gesù Cristo e come Dio Padre (Gc 1,27) di tutti gli uomini (cf Ef 4,6). Nel rapporto di figliolanza di Gesù con il Padre non si compie solamente la rivelazio­ne della relazione filiale di Israele e dell’umanità con Dio, bensì nella figura del Figlio di Dio, si rivela allo stesso tempo, escatologicamente, la sua propria es­senza di Dio-Padre.

Il mediatore di Dio si trova per questo motivo in un rapporto singolare ed esclusivo con il Verbo di Dio, il quale procede eternamente da lui e si dà nell’uomo, Gesù di Nazaret, nella dimensione storica e antropologica. Infatti, tutti gli scritti neotestamentari riconoscono il mistero ultimo di Gesù di Nazaret nel-l’identificazione del Verbo eterno con il Figlio di Dio, con l’uomo Gesù di Nazaret. La massima espressione cristologica, come attestano gli scritti neotestamentari, sta nel fatto che il Verbo è il Figlio (cf Gv 1,1-14; Eb 1,1-3; Fil 2,6-11; Rm 8,3).

L’autodonazione di Dio, promessa già nel nome con cui si rivela: “Io sono colui che sono”, diventa realtà escatologica nel nome di Gesù, nella concretez­za del suo sì. “…per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1,30): ci è stato donato, come il nome, nel quale solamente possiamo essere salvati (At 4,12). Egli è l’autore della vita, come unica via al Padre, alla verità e all’esistenza stessa di Dio (Gv 14,6). Il nome di Gesù è la rappresentazione e la mediazione umana completa dell’uni-co nome di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo (Mt 28,19) nel mondo, nella storia e nella creazione unica ed intera di Dio.

Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, è la sorgente della nostra sal­vezza, ci libera dal potere delle tenebre e redime l’uomo dal peccato, rendendo­lo partecipe dei santi, nel regno del suo Figlio diletto (cf Col 1,12-14).

Cristo, per mezzo del quale “tutto è stato fatto” e senza il quale nulla sussiste, rende visibile all’umanità il “Dio invisibile”: attraverso la sua persona l’uomo vede il Padre, dato che sono uniti da una comune natura. E tutto questo avviene per il suo sì al Padre. Per questo sì la storia ha una meta e riceve una direzione: tutta la realtà dell’uomo va verso il Cristo, uomo perfetto, che realizza un umanesimo perfetto, guidando l’umanità verso la sua unica e grande verità.

 

Il sì dell’ uomo a Cristo

Tutta la cristologia si fonda sulla fede in Cristo. Dio ha realizzato il suo piano di salvezza, escatologicamente e storicamente, in Gesù di Nazaret. Il signi­ficato salvifico di Gesù può essere mantenuto solo nel chiarimento della sua unità incomparabile ed unica con Dio Padre.

Perciò la domanda cristologica fondamentale diventa: chi è Gesù di Nazaret e qual è il ruolo della sua presenza nel nostro rapporto con Dio? La domanda riguardante il “chi”, evidentemente, si rivolge alla persona di Gesù, nei termini della sua identità relazionale in quanto uomo, e anche nel suo rapporto con Dio. Guardando a Cristo e alla sua vita umana l’uomo comprende il suo essere di fronte a Dio. Nel mistero dell’Incarnazione Dio si dona storicamente nella sua essenza e nel suo disegno salvifico, nella mediazione dell’umanità di Gesù di Nazaret.

Solamente il mistero del Verbo incarnato illumina il mistero dell’uomo, se­gnato talvolta dall’angoscia e dalla sofferenza: solamente in Cristo l’enigma del dolore e della morte trova una risposta; dolore e sofferenza non sono estranei nemmeno a lui, che nel Getsemani esprime l’angoscia di tutti gli esseri umani, e diventano quindi un passaggio obbligatorio verso la salvezza. Risuscitando, distrugge la morte e ci fa dono della sua vita, rendendoci così figli nel Figlio. È per questo motivo che possiamo gridare nello Spirito: Abbà, Padre.

L’unica via di accesso alla realtà della persona di Cristo è l’Incarnazione, che rende possibile incontrarlo nella storia dell’uomo.

Il desiderio di felicità e quello dell’amore umano non diventano relativi e vuoti, solamente se all’uomo si dischiude il fondamento di tutta la realtà della creazione e della rivelazione storica, cioè il Padre nel suo Verbo eterno, il Figlio eterno di Dio, che nel suo essere uomo lo afferma come Padre.

Attraverso le sue facoltà cognitive l’uomo arriva a comprendere l’autorivelazione del Dio trascendente, e nell’analisi storica dell’esistenza di Gesù di Nazaret ne coglie le prospettive, le quali rivelano la sua trascendenza a Dio, che l’uomo stesso chiama Padre.

Nell’incontro tra la storia e la trascendenza di Gesù si realizza anche la mediazione interiore e trascendentale dell’uomo al mistero di Dio e alla sua esperimentabilità nello spazio della creazione, della storia di una comunità, nella quale l’unità tra la  trascendenza e la storia di Gesù viene tramandata e testimoniata: la Chiesa.

Si comprende così che l’uomo, in quanto essere creato, sia nella sua unici­tà che nella sua totalità, non può disporre del suo inizio e della sua fine. Questa particolare posizione viene conosciuta dall’uomo nella dimensione della sua creaturalità, del suo sì o eventualmente del suo no, dato che questo tipo di conoscenza appartiene alla costituzione della personalità e della sua creaturalità finita.

Il mondo è la realtà di Dio: Dio si esprime tramite la realtà finita: perciò il cristianesimo non si ridurrà mai ad idealismo. La mediazione tra ogni essere umano e Dio diventa il problema centrale, per il fatto che il rapporto oggettivo tra uomo e Cristo, espresso dall’eterna predestinazione del Padre (Rm 8,29; Ef 1,5), deve diventare soggettivo. La pie­nezza dell’umanità si realizza attraverso questa soggettivazione, pena il suo fallimento. Noi siamo già collocati nel rapporto con la persona di Gesù Cristo, ci troviamo già relazionati a lui, ma siamo liberi di restarci o no.

In altre parole: la verità della persona umana si trova nella sua relazione con Cristo e il punto di partenza di un tale rapporto è dato dal sì dell’uomo a Cristo. Il mio sì a Cristo è costitutivo per il processo formativo della mia persona. Tale processo in cui l’oggettivo diventa soggettivo investe l’intera persona: è una completa trasformazione della persona in conformità con quella di Cristo. Essa investe il modo di pensare, di esercitare la libertà, e di costruire il rapporto con gli altri uomini. In una parola: investe il cuore della persona.

“È l’uomo vero che la sua vita ha conformato all’impronta impressa nella sua natura fin dall’origine”[1].

 Secondo le parole di Gregorio di Nissa, questa conformazione si realizza nella Chiesa. È all’interno di essa che l’uomo deve essere condotto, attraverso un processo educativo, verso la piena realizzazione di se stesso. La Chiesa si è proposta come obiettivo questo progetto, fin dagli inizi della sua missione: “fi­glioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi” (Gal 4,19).

 Il Concilio Vaticano II, insegna che “in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche piena­mente l’uomo a se stesso”[2].

Nell’incontro con Cristo, che implica una profonda conversione del cuore, la persona umana ritrova se stessa e scioglie l’enigma della sua esistenza. E si ritrova nel momento preciso in cui dona se stessa, come insegna il Concilio Vaticano II, affermando che “l’uomo, il quale è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi se non attraverso un dono sincero di sé”[3].

L’esperienza di un credente che ha vissuto la perdita di se stesso così de­scrive la sua condizione di smarrimento: “Noi vaghiamo in uno spazio ampio, sempre incerti e sballottati, sospinti da un’estremità all’altra. Qualunque ter­mine a cui pensiamo di legarci e di fermarci, oscilla e ci lascia andare; e se lo seguiamo, sfugge alla nostra presa e fugge in una eterna fuga. Nulla si ferma per noi. È la nostra condizione naturale, e tuttavia la cosa più contraria alla nostra inclinazione; noi bruciamo dal desiderio di trovare un assetto stabile… ma ogni nostro fondamento scricchiola e la terra si apre sino agli abissi”[4].

Per quale motivo la rivelazione svela l’uomo pienamente a se stesso? Per­ché gli impedisce di perdersi? Perché si pone come la risposta vera al suo desi­derio di felicità, come realizzazione completa della sua umanità?

 Ciò che in noi è desiderio naturale – di verità, di bontà, di bellezza, di amore, di vita – in Cristo è pienamente realizzato (Io sono la Verità, io sono la Vita …). Nel momento in cui lo incontriamo sentiamo una perfetta corrispondenza tra la domanda che appartiene a ciascuno di noi e la risposta che appartiene a Cristo. È di fronte alla risposta di Cristo che facciamo nostre le parole di Pietro: “Signo­re, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Su questa consa­pevolezza scatta la nostra adesione a Cristo, che illumina tutta la nostra realtà interiore e, nonostante le difficoltà e le lacerazioni, ci fa dire: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 22,17).

In termini concreti, che cosa comporta la certezza di aver trovato se stessi in Cristo e di essere partecipi dell’albero della vita? Tale pienezza si esprime nell’atto concreto del sì a Cristo: allora l’uomo, in quanto creatura, ritrova se stesso nel dono di sé.

 

Note

[1] S. GREGORIO DI NISSA, Sui titoli dei Salmi, SCh 466, p. 505.

[2] GS 22,1.

[3] GS 24,4.

[4] B. PASCAL, Pensieri 451; edizioni Rusconi, Milano 1993, p. 69.