N.03
Maggio/Giugno 2009

L’ospite inatteso

Thomas McCarthy, dopo il suo debutto dietro la macchina da presa con The Station Agent, vincitore al Sundance Festival 2003, ci regala un’opera di rara sensibilità e di profonda umanità, incorona­ta al Festival di Deauville e applaudita sempre al Sundance.

 

La vicenda – Walter Vale, professore universitario di Economia, vedovo da cinque anni, vive una vita monotona in una cittadina del Connecticut. La moglie era un bravissima pianista e Walter prende lezioni di piano, ma senza successo. Le sue lezioni all’università sono ripetitive e il programma è sempre lo stesso. Un giorno gli viene proposto di partecipare ad un convegno a New York, per presentare un saggio al posto di una sua collega che aspetta un bambino. Wal­ter non vorrebbe andare, ma alla fine si vede costretto a partire.

Quando arriva nel suo appartamento newyorchese, da tem­po disabitato, Walter scopre che questo è occupato da una giova­ne coppia, il siriano Tarek e la senegalese Zainab. Dopo un primo momento di sconcerto, Walter offre loro ospitalità, in attesa che i due trovino un’altra abitazione. Ma poco alla volta nasce un’ami­cizia che diventa sempre più forte e coinvolgente, grazie anche alla complicità della musica africana suonata da Tarek sul djambé, un tamburo a forma di calice ricoperto di pelle, che viene percosso a mani nude. Ma Tarek è un immigrato irregolare e un giorno viene arrestato dalla polizia che lo spedisce in un centro di detenzione dell’I.C.E. (Immigration and Customs Enforcement). Walter cerca di aiutarlo in tutti i modi, ma le leggi in materia di immigrazione sono particolarmente dure e severe.

Ad un certo punto arriva a New York la madre di Tarek, Mou­na, preoccupata per non aver più ricevuto notizie dal figlio. Walter dà ospitalità anche a lei. Tra i due nasce un delicatissimo rapporto sentimentale che diventa un ulteriore motivo, da parte di Walter, per interessarsi della sorte di Tarek. Ad un certo punto Tarek viene espulso e Mouna fa ritorno in Siria per stare vicino al figlio. Walter ripiomba nella solitudine ed esprime tutta la propria indignazione nei confronti di una politica ingiusta andando nella stazione del metrò a suonare rabbiosamente il djambé.

 

Il racconto – La struttura del film è lineare ed è caratterizzata da un insieme di tanti piccoli nuclei narrativi che possono essere raggruppati in quattro grandi parti, precedute da un’introduzione e seguite da un epilogo. È da notare che il titolo originale del film, The Visitor, è, rispetto al titolo italiano, molto più universalizzante, in quanto non specifica chi è l’ospite e quindi si presta ad interpre­tazioni più ampie e, appunto, più universali.

 

L’Introduzione è tutta orientata a presentare la figura del pro­tagonista, il professor Walter Vale. La prima immagine del film (che, come si vedrà, contrasta profondamente con l’ultima, segno della grande evoluzione del protagonista) è estremamente signifi­cativa: Walter è ripreso in Piano Italiano, di spalle, mentre guarda fuori dalla finestra, con una figurazione perfettamente simmetri­ca. Quando si gira, ci si accorge che Walter tiene tra le mani un bicchiere di vino, che anche in seguito assumerà un certo peso strutturale: sembra essere la sua sola compagnia. Emerge così chia­ramente il senso della solitudine, del vuoto, dell’insignificanza di una vita che appare completamente priva di motivazioni. Ma, nello stesso tempo, quel guardare fuori (come si vedrà anche in seguito) sembra indicare una potenziale apertura nei confronti di qualcosa di nuovo, di diverso. Il suo tentativo di imparare a suonare – con scarsi risultati – il pianoforte indica però anche l’attaccamento verso il passato, fatto di ricordi e di nostalgia. La sua lezione all’università è fredda, quasi meccanica.

Subito dopo, viene mostrato ancora di spalle, seduto, mentre guarda fuori dalla finestra. Di fronte allo studente che consegna il compito in ritardo, Walter dimostra intransigenza, rifiutandolo, e risponde apaticamente all’osservazione del ragazzo, che gli ricorda che non ha ancora consegnato il programma. Ancora una ripresa dall’alto, seduto ad un tavolo, mentre consuma da solo il lunch. Poi lo vediamo mentre cambia la data sul programma dell’anno prece­dente per riproporlo, pari pari, anche per l’anno in corso. Quando un suo collega gli comunica la decisione del preside di inviarlo a New York, in quanto co-autore del saggio da presentare, Walter adduce delle scuse: dice di essere impegnato con alcuni corsi e nella preparazione di un libro, ed ammette: «Preferirei non andare. Il saggio è di Shelly; io ho accettato di firmarlo perché me l’ha chiesto lei. Non sono preparato per la presentazione».

Prima di partire lo vediamo ancora da solo, in cucina (si vede una foto di lui con la moglie), col bicchiere di vino e poi nel tenta­tivo di suonare il piano.

C’è poi il viaggio in automobile, durante il quale appare un ele­mento che anticipa un filone strutturale che prenderà corpo poco alla volta e che si potrebbe definire il filone politico: in uno striscio­ne su un cavalcavia appare la scritta: “Support our Troups and bring them home”.

 

Prima parte: l’amicizia – Dopo la sorpresa iniziale che provoca un certo trambusto, le cose si chiariscono: Tarek e Zainab hanno preso in affitto l’appartamento da un imbroglione e non hanno in mano nessun contratto. Dopo essersi spiegati, i due se ne vanno chiedendo scusa e ringraziando Walter per la comprensione. Questi rimane solo e guarda fuori dalla finestra; poi, accortosi che i due hanno dimenticato una loro foto, scende in strada per restituirgliela e chiede loro se sanno dove andare a dormire. Con una breve ellissi l’autore mostra Tarek e Zainab a casa di Walter. È l’inizio di un rap­porto, di un dialogo, di un’amicizia che diventerà sempre più forte e profonda, soprattutto tra il professore e il ragazzo.

Certamente Walter è attratto, oltre che da un sentimento di pietà nei confronti di due persone che non sanno dove andare, anche dalla giovinezza e dalla vitalità dei due ragazzi. Se Zainab è più ri­servata e talvolta imbarazzata nei confronti del professore, Tarek è disinvolto, schietto, solare. Forse Walter vede in lui quel figlio che dice di aver avuto e che vive a Londra; certamente non si sente più solo e la sua vita incomincia ad acquistare un nuovo senso. C’è una chiara progressione nei gesti che manifestano una confidenza sempre più stretta. Si va da un’iniziale cortesia (il bicchiere di vino offerto, il caffè preparato, l’invito a cena, ecc.) ad una relazione autentica e profonda (le confidenze, la serata musicale, la vita in co­mune). Ma è soprattutto la musica l’elemento che li unisce sempre più strettamente. È significativo che Walter, appassionato di musi­ca classica, si interessi al djambé e al ritmo africano. È un segno di grande apertura, in quanto presuppone un cambiamento radicale non solo in termini di umanità, ma anche e soprattutto di cultura. Ed ecco Walter che si avvicina a due stranieri che tamburellano su dei secchi di plastica nel parco e comincia a scandire il tempo; per­mette a Tarek di esercitarsi in casa; si fa insegnare da lui la tecnica delle percussioni; suona assieme a lui prima in casa e poi, in una delle sequenze più significative e coinvolgenti, nel parco, assieme a tanti altri suonatori di varie etnie e culture, che suonano e ballano in piena armonia e gioia di vivere.

 

Seconda parte: il coinvolgimento – Dopo l’arresto, dovuto a futili motivi, Walter viene a sapere che Tarek e Zainab sono due clandestini privi di cittadinanza. Zainab non può fare niente per il suo compagno, essendo già stata in un centro di detenzione: corre­rebbe il rischio di essere arrestata anche lei. È Walter, allora, che si dà da fare. L’amicizia comporta necessariamente il coinvolgimen­to, la partecipazione. Già al momento dell’arresto aveva tentato di difendere l’amico, ma inutilmente. Ora lo va a trovare, gli fa leg­gere la lettera di Zainab, gli procura un avvocato. Ed è proprio du­rante questo spendersi per lui che Walter incomincia a prendere coscienza dell’ingiustizia di certe leggi americane che riguardano l’immigrazione. Prende consistenza così quel secondo filone cui si è accennato, il filone politico, che si sviluppa all’interno del filone portante, quello più strettamente narrativo, legato alla vicenda di Walter e Tarek, al quale però si contrappone strutturalmente in funzione espressiva.

I rigidi controlli cui Walter viene sottoposto quando va a tro­vare Tarek gli rivelano il clima di sospetto e di paura che regna in quell’ambiente di sorveglianti e di burocrati. Anche le parole di Ta­rek lo colpiscono: «È molto deprimente qui. Non esiste privacy. Le luci sono sempre accese». È significativo che, dopo che i due si sono salutati, l’immagine inquadri un disegno che rappresenta la ban­diera americana e la statua della libertà. In seguito Tarek rivelerà al professore che ci sono persone rinchiuse da anni lì dentro. E quel poster che rappresenta i volti di varie persone con la scritta: “The Strenght of America: America’s Immigrants” suona quasi come un’irri­sione nei confronti di coloro che stanno vivendo un’esperienza ben diversa. Walter è amareggiato, ma si sente impotente, soprattutto quando viene a sapere che è stato emesso un mandato di espulsione nei confronti di Tarek. Per di più lui deve ritornare nel Connecticut. I due amici si salutano con affetto. Tarek gli raccomanda di non di­menticarsi di lui e di esercitarsi col tamburo.

 

Terza parte: l’amore – L’arrivo della madre di Tarek produce nel protagonista un ulteriore cambiamento. È inevitabile che quella donna, bella e piena di dignità, risvegli nel professore sentimenti solo momentaneamente messi tra parentesi. Con la sua mitezza e la sua disponibilità, Walter accoglie anche Mouna nel suo apparta­mento e decide di rinviare il momento del ritorno. La accompagna a vedere dov’è rinchiuso il figlio; la prega di rimanere da lui; la por­ta dall’avvocato. Questi le chiede se in passato abbiano ricevuto la “lettera di via”. Lei risponde di no. Ma l’avvocato incalza: «Se l’ave­te ricevuta e ignorata, non c’è niente che possa fare. La politica è cambiata radicalmente. Ora, o sei dentro o sei fuori».

Walter le fa poi conoscere Zainab: tutti e tre vanno sul battello a vedere le bellezze e i simboli dell’America. Poi torna da Tarek, che si lamenta perché in quel posto non c’è neanche uno spazio all’aper­to, ma soltanto una stanza senza soffitto, e gli racconta che suo padre ha trascorso sette anni in galera per un articolo pubblicato e che, dopo essere stato rilasciato, si è ammalato e poco tempo dopo è morto. Walter ora deve veramente ritornare a casa. Saluta Mouna con tenerezza e le promette che farà tutto il possibile. Ma, appena tornato, Walter sente un grande vuoto, riempito solo in parte da quel ritmo di tamburo che gli è rimasto dentro e che lo porta a prendere una decisione radicale e quanto mai significativa: vende il pianoforte, segno del suo legame con il passato, e ritorna a New York, dove riprende il legame sentimentale con Mouna. Torna an­cora da Tarek, che è ormai esasperato e che si sfoga con lui: «Con­tinuano a trasferire gente in altri centri di detenzione. Tutto questo non è giusto… io non sono un delinquente, non ho commesso nes­sun crimine. Che cosa pensano? Che sia un terrorista? Non ci sono terroristi qui dentro. I terroristi hanno soldi, hanno appoggi. Ripeto: non è giusto. Voglio vivere la mia vita, suonare la mia musica. Che cosa c’è di male in questo?». Molto significativo è il commento di Mouna quando sente dire che suo figlio potrebbe essere trasferito chissà dove: «È come in Siria».

Walter decide di prendere un congedo per aiutare Tarek. E di fronte alla donna che gli fa osservare che quello non è un problema suo, Walter finalmente si apre e mette a nudo la propria anima, senza più alcun ritegno. È il momento della piena, totale confes­sione: «Non ho altro da fare… non ho altro. La verità è che io non faccio un lavoro vero da tanto tempo… Sto tenendo lo stesso cor­so da vent’anni: non significa niente per me, non ha alcun senso. Fingo e basta. Fingo di essere occupato, di lavorare, di scrivere; ma non faccio niente». L’affetto per Tarek e l’amore per Mouna fan­no emergere la verità profonda di quest’uomo, che da tempo con­duceva una vita senza senso. Ora il senso l’ha trovato: quel “non ho altro” non si riferisce solo al lavoro da fare, ma soprattutto alla mancanza di una vera ragione di vita che non sia quella relazione che ha trovato.

 

Quarta parte: la separazione – Quando l’avvocato comunica che Tarek verrà trasferito, Walter e Mouna vanno nel centro di de­tenzione. Qui Walter viene a sapere che Tarek non è più lì e ancora una volta si scontra con la freddezza e l’autoritarismo dei poliziotti, ma quando viene informato del fatto che il ragazzo è stato espulso, il mite professore s’infuria: «Non potete portare via la gente così. Mi ha sentito? Era un brav’uomo, una brava persona: non è giusto. Voi non potete trattarci in questo modo. Aveva una sua vita. Mi avete sentito? Sono riuscito a spiegarmi? Ma che problemi avete?». Solo l’intervento pacato e fermo di Mouna riesce a calmarlo e ad evitar­gli probabili guai. È il momento della separazione. E del dolore per la separazione. Zainab, messa al corrente, non può che piangere; Mouna vuole tornare in Siria per rimanere vicino al figlio, anche se sa benissimo che così facendo non potrà più tornare indietro; Walter non fa che ripetere: «Mi dispiace… mi dispiace tanto». Alla notte, Mouna entra nella camera di Walter e lo abbraccia. Anche lei ora ha una confessione da fare: «È colpa mia quel che è successo a Tarek. Quella lettera che ci chiedeva di andarcene l’abbiamo rice­vuta. Io l’ho buttata via: non gliel’ho mai detto. Eravamo già qui da tre anni prima che la lettera arrivasse. Io avevo trovato un lavoro; Tarek andava a scuola e tutti mi dicevano che non dovevo preoc­cuparmi, che al governo non importava. Sembrava che avessero ragione e così, dopo un anno, te ne dimentichi; sei convinta che il tuo posto sia qui». Walter cerca di consolarla.

All’indomani, all’aeroporto, i due si salutano. Lei gli regala uno di quei braccialetti fatti da Zainab e lo ringrazia. Lui non vorrebbe che lei se ne andasse. Lei ribatte: «Neanch’io voglio andare»; poi lo chiama con lo stesso nome con cui Tarek chiamava Zainab, qual­cosa come Abipti, che significa “amore mio”. I due si abbracciano; lei se ne va; e l’immagine, significativamente, si sofferma su una grande bandiera americana, sfocandola.

 

Epilogo: l’indignazione – Nel finale vediamo Walter che cammi­na con passo deciso portando con sé il tamburo. Si reca nella stazio­ne del metrò di Braodway-La Fayette, dove in precedenza avevamo visto altri stranieri suonare il loro strumento. Walter si siede su una panchina e comincia a suonare il tamburo con sempre più forza, con sempre più rabbia, circondato da persone di varie etnie. Un treno passa e lo copre: lo vediamo solo attraverso i finestrini del convoglio.

 

Significazione – Si è già accennato, durante l’analisi del film, alla presenza di due filoni strutturali che si compenetrano e nello stesso tempo si contrappongono: si potrebbero definire il filone della rela­zione (amicizia e amore) e quello “politico”.

Il filone della relazione esprime l’idea che, quando c’è una certa apertura mentale, l’incontro con l’altro, con il “diverso”, può diven­tare occasione per uscire dal proprio guscio, per dar vita ad un rap­porto di conoscenza, di accettazione, perfino di amicizia e di amore.

Il filone politico mette in evidenza il fatto che in certi Stati esisto­no delle leggi ingiuste che ostacolano, o addirittura spezzano, quei legami umani così belli ed arricchenti. La conclusione della quarta parte del film è, a tal proposito, illuminante: è il momento della se­parazione e la causa di quella separazione viene chiaramente addi­tata nella bandiera americana, con tutto ciò che rappresenta. L’epi­logo dice che chi prende coscienza di ciò non può che protestare ed esprimere tutta la propria indignazione (quel “non è giusto” che viene ripetuto più volte). Anche se purtroppo quel gesto di vibrata protesta, pur doveroso, rischia di rimanere sterile a causa della forza di un sistema che, in nome di una malintesa sicurezza, o, peggio, a causa di certi pregiudizi, soffoca con le sue leggi la bellezza di una relazione che può dare un nuovo senso alla vita (il treno che passa e soverchia il suono di Walter).

L’opera possiede un grande valore dal punto di vista tematico e morale. I valori umani più profondi vengono continuamente sotto­lineati con grande forza e, nel contempo, con delicatezza. Un’opera nobile, dunque, cinematograficamente pregevole, anche grazie alla splendida interpretazione di Richard Jenkins nei panni del profes­sor Vale. Particolarmente adatta per affrontare il tema dell’immigra­zione e del rapporto con l’altro o il diverso.