N.05
Settembre/Ottobre 2010

Equilibristi e funamboli o camminatori dai piedi per terra?

Il quadro di August Macke, scelto come cover per questo numero di «Vocazioni», ci presenta l’immagine di un equilibrista funambo­lico, come quelli che talvolta abbiamo ammirato nelle loro abilità circensi o come quei ginnasti capaci di esercizi decisamente fuori dalla nostra portata. In una ideale metafora la precarietà e la stabilità non si elidono, ma si integrano a vicenda: ogni cammino richiede un margine di instabi­lità e ogni equilibrio non è mai statico, ma richiede la dinamicità di un movimento coordinato.

 

A. Sentieri per un cammino comune

Vorrei focalizzare tre ambiti di riflessione e di operatività pa­storale, emersi con chiarezza nell’incontro di formazione con i direttori CDV a Sassone. Essi sono pure sentieri concreti, sui quali orientare il cammino della pastorale vocazionale delle no­stre chiese locali (e in particolare dei CDV), avendo come sfon­do gli “orientamenti educativi” che i Vescovi ci proporranno per il prossimo decennio.

1- La formazione

Ogni servizio di animazione e coordinamento vocazionale sarà tanto più efficace – anche se ciò non significa necessaria­mente efficiente e produttivo di risultati immediati… – nella mi­sura in cui saremo tutti coinvolti in un cammino di formazione che abbia continuità e radici profonde. Eppure tutto ciò potrebbe non bastare, se non saremo persone innamorate della nostra Vocazione e insieme capaci di cogliere in profondità la bellezza e l’originalità di tutte le altre Vocazioni, che formano uno scrigno prezioso di ricchez­za per tutta la Chiesa.

Occorre fare scorta, nella nostra bisaccia del pellegrino, di:

umiltà: è la consapevolezza della propria povertà e del proprio limite;

gratuità: per fare costantemente memoria a noi stessi che “tut­to è grazia”;

passione: come full immersion nella promessa che, come afferma il grande Fëdor M. Dostoevskij (1821-1881) nel suo romanzo L’idiota, «Non la forza, ma la bellezza, quella vera, salverà il mondo».

2- La testimonianza

Ci sono molte risorse umane e spirituali che rimangono spesso ine­spresse nell’ambito vocazionale e gli stessi presbiteri e consacrati, ani­matori e animatrici vocazionali, non ne hanno piena consapevolezza: ciò richiede di fare scorta di una buona riserva di fiducia.

In un mondo segnato dalle enfatizzazioni mediatiche, siamo chia­mati a narrare ai giovani la parte più significativa e profonda della nostra esperienza di vita e di incontro con il Signore. La nostra testimo­nianza sarà davvero persuasiva se, con gioia e verità, saprà raccontare la bellezza, lo stupore della vita e la meraviglia donata perché siamo innamorati di Dio e della sua scelta.

Questo è un ulteriore passaggio educativo da compiere: l’educazio­ne alle scelte di vita.  

3- La relazione

Uno dei grandi nodi della sfida educativa è la perdita di punti di rife­rimento: si diffonde sempre più un senso di smarrimento e di amnesia nei confronti di ciò che può davvero essere significativo e che ci riporta alle radici della nostra identità. In questo c’è un altro passaggio di vita e di scelte educative: la forza della relazione! Essa si pone anzitutto come scoperta di “volti”: è la logica della alterità.

C’è una particolare forma di relazione che può divenire stimolo e provocazione preziosa da cogliere: una presenza che si fa ascolto, accoglienza, proposta, disponibilità, entrando in quei contesti di vita dove le persone vivono e si ritrovano.

  • Una relazione che tocca le fibre profonde del cuore e richiede molta gratuità.
  • Una relazione che sa farsi stile di vita, denso di preghiera e di impegno nel dono di sé.
  • Una relazione intrisa di prossimità verso chi ha bisogno del mi­nistero della consolazione, per coloro che sono sfiduciati, smarriti e sentono forte il bisogno di una compagnia.

 

B. I segni della fragilità familiare…

Questo aspetto costituisce l’ambito specifico di riflessione e propo­sta del numero attuale di «Vocazioni».

Essere coppia e famiglia, oggi, significa cogliere le dinamiche dell’amore come una realtà fragile, che va trattata con delicatezza. Per questo è così difficile parlare dell’amore, nella sua straordinaria ricchezza e complessità: è come penetrare nel nocciolo dell’esistenza, fare irruzione nel mistero; e l’amore si nutre di pudore e segretezza.

O l’Amore uccide l’Io o l’Io ucciderà l’Amore. Ciò significa:

– trovarsi al capezzale di un amore fragile, vulnerabile e ferito;

– non lasciarsi imbrigliare da alcune paure o rischi o miti della vita insieme;

– superare la paura di amare perché ti cambia la vita e domanda di svuotarsi per ricevere con pienezza l’altro/a;

– vincere la paura dell’intimità perché essa ti svela per ciò che sei e mette a nudo la tua identità con le proprie maschere e palandrane difensive;

– accettare la sfida della fedeltà, in una cultura in cui si sta insieme “finché piace e finché dura”;

– non pensare che la vita a due (e la vita familiare poi) sia legata al mito fiabesco del “vissero per sempre felici e contenti”: essa richiede il suo prezzo di sacrificio, di rinuncia e sofferenza da pagare;

– accettare liberamente la responsabilità di farsi carico dell’altro/a, sapendo che non è facile, ma è esaltante custodire il cuore altrui;

– non temere la noia della ripetitività, perché la fedeltà è creatività e non “ritualismo” di bassa lega; perché l’amore è festa e novità e la bellezza non è mai eguale a se stessa.

Dice il filosofo e scrittore francese Gustave Thibon (1903 – 2001): «Dinanzi all’amore tutto è importante e niente è importante. Il più umile dono lo rapisce e tutto l’oro del mondo non potrebbe comprar­lo. La più piccola offesa lo ferisce, mentre perdona ogni peccato. Il più lieve soffio di vento può farlo appassire, mentre il più violento uragano non riesce a sradicarlo. L’amore è immortale ed è più vulnerabile di tutto ciò che muore. Risiede al di là del bene e del male e poi impone i doveri più ferrei. L’amore vive di nulla e insieme esige tutto».