N.01
Gennaio/Febbraio 2012

Chiesa chi sei?

Possono parlare in modo eccellente di te, Chiesa, i teologi e ancora con più autorevolezza il Magistero, ma a far di te l’identikit più plastico e credibile sono soprattutto i santi, ossia tutti coloro che con amore di figli si lasciano da te nutrire e guidare per poi essere di te testimoni. Sono coloro che ti prestano la voce perché tu possa proclamare al mondo l’amore del Padre, che ti prestano i piedi perché tu possa raggiungere gli estremi confini della terra, che ti prestano le mani perché tu possa assistere e risollevare i poveri, i malati, i piccoli. Che tutto fanno con il tuo cuore di Madre che ama tutti i suoi figli.

Fra tutti i santi più o meno noti c’è pure il beato Carlo Steeb, fondatore dell’Istituto delle Sorelle della Misericordia di Verona, che ti ha conosciuta in pienezza dopo un travaglio di ricerca sofferta che lo ha portato a scoprire la verità e ad aderirvi, che come figlio con gratitudine e dedizione ti ha amata e servita soprattutto nei poveri e sofferenti.

  1. Il cammino verso la Chiesa cattolica

Carlo Steeb, figlio di ferventi e convinti genitori luterani, era nato in Germania nel 1773. Il padre, ricco albergatore di Tubinga, esperto pure nel commercio della lana, avrebbe voluto fare di lui un abile continuatore delle attività tradizionali della famiglia. Per questo l’aveva inviato ad impratichirsi dapprima a Parigi e poi a Verona,

a quel tempo centro di una intensa attività nel campo della lana e della seta. Ma a Verona la grazia attendeva il giovane Carlo per un progetto ben più elevato.

Partito di casa con la viva raccomandazione dei genitori di guardarsi dai cattolici, Carlo, appena diciottenne, si trovò con sorpresa a contatto con i fedeli veronesi, persone laboriose, esperte nell’arte del commercio, ma altrettanto oneste, cordiali, praticanti una religione solida che trova nella carità verso il prossimo la convalida più credibile della propria autenticità. Parimenti i preti cattolici, che gli erano stati presentati come tutti intenti a sedurre i poveri protestanti1 , non erano quella “bestia nera” come li consideravano e definivano i suoi correligionari. Carlo poté constatarlo nella discrezione del suo maestro di lingua italiana, l’abate Fontana, tanto erudito, ma altrettanto rispettoso della libertà dei suoi discepoli2 .

I pregiudizi del giovane nei confronti dei cattolici, sfumando, gli fecero balenare nella mente tanti interrogativi. Dov’è la verità? Questa la domanda che lo turbava nell’intimo e gli metteva in cuore l’ansia di conoscere, di capire…

Dopo uno studio attento che lo portò a divorare in breve i 15 volumi dell’opera del Bossuet Storia delle variazioni delle Chiese protestanti, una certezza gli apparve inconfutabile: la pienezza della verità sta nella Chiesa cattolica.

Comunica il risultato della sua ricerca ai suoi genitori che gli danno una risposta irremovibile: la sua decisione di diventare cattolico lo renderà per sempre figlio misconosciuto, diseredato, solo in terra straniera.

La forza della verità ha il sopravvento anche sugli affetti più cari, per cui, sia pure con il cuore lacerato, Carlo, prostrato davanti ad un’immagine della Madonna, decide: «Io, dunque, lascio tutto, padre, madre, sorella, sostanze, e mi affido a voi, voglio essere cattolico, voi mi provvederete»3.

Scelta ardua e decisiva la sua, per la quale Paolo VI nell’omelia della beatificazione il 6 luglio 1975 lo definirà “eroe dello spirito”.

Parlando della sua conversione alla Chiesa cattolica Carlo dirà ripetutamente: «Ho trovato il Padre dei padri che malamente conobbi. Ho trovato la Madre che mi rigenera per il cielo».

La Chiesa cattolica, una Madre! Carlo così la riconosce, ma parimenti la definisce anche come la maestra unica di verità, la nutrice che gli ha dato la vita e gliela accresce con i sacramenti. E vuole vivere di lei, della sua fede, della sua carità, delle sue virtù4.

In seguito visse sempre con immensa gratitudine il 14 settembre, giorno del suo ingresso nella Chiesa cattolica. Ricordando quella data «egli confessava agli amici che la sua anima si sentì trasumanata, ardente di una nuova sete di Dio, quasi oppressa sotto l’ineffabile onda della riconoscenza.

E questo sentimento, unito a una profonda umiltà, lo accompagnò sempre: il 14 settembre fu la sua festa, la festa della fede e dell’amore.

Già vecchio, dopo una vita operosa e feconda, si sentiva ancora indegno del dono ricevuto e, radunando attorno a sé le sue Suore, chiedeva umilmente che lo aiutassero a ringraziare il Signore»5.

Spinto dalla gioia di aver trovato la perla preziosa della verità si occupò «con particolare amore dei fratelli separati dalla Chiesa di Roma, nell’intento di condurli a quella stessa religione alla quale anch’egli per provvidenziale disegno era stato attratto»6. Fu insuperabile apostolo nell’arte di ricondurre le anime all’ovile di Pietro7.

Quanto avrebbe voluto che pure i suoi familiari si aprissero alla stessa grazia! «Sì, batterò a quel cuore, scriverò, piangerò, fin ch’io viva; ma, oh Dio, se a chi mi diè vita terrena non posso ridonar la celeste, se tutto darei per quei miei cari, la vita, il sangue; a nulla valgono codeste offerte mie! Grande Iddio, le sorti loro ed ogni mio senso consacro a Te» 8.

Non lasciò nulla d’intentato per condurre alla Chiesa cattolica i suoi cari. A questo scopo offrì suppliche, sacrifici e preghiere, ma senza frutto.

Il Servo di Dio, ricordando Sant’Agostino, piangendo soleva dire agli amici, che godevano delle sue confidenze: «Ha potuto una madre convertire un figlio e non potrà un figlio convertire una madre?».

Sempre grato a Dio che l’aveva chiamato alla pienezza della verità, voleva che le sue Suore ogni giorno ringraziassero il Signore per il dono della fede, pregassero per la sua diffusione, per il trionfo della vera Chiesa e per la felicità del Sommo Pontefice.

Attribuiva una particolare importanza al primato del Papa. Tutta la sua vita, dal momento della conversione è legata con un filo rosso di amore e di comunione con il Papa. A Sua Santità Pio VI chiese di poter essere ammesso agli ordini sacri, nonostante la sua precedente adesione al luteranesimo; si fece interprete di Pio VII nella diffusione di catechismi conformi al Magistero della Chiesa cattolica; ai vari Papi chiese consigli e chiarificazioni sul modo di procedere nel suo ministero e benedizioni particolari per l’Istituto da lui fondato. Anche il suo testamento olografo, ritoccato poco prima di morire, riecheggia il suo amore alla Chiesa di Roma, arca di salvezza9.

Voleva che anche i suoi collaboratori nutrissero docilità verso l’insegnamento della Chiesa da lui creduta, amata e servita.

  1. La verità è amore

Dalla conversione al sacerdozio il passo fu breve per il neofita che aveva pagato a caro prezzo la verità e che della verità intendeva vivere. Inondato dalla misericordia di Dio avvertiva forte l’urgenza di amare. Le occasioni non gli mancarono.

Ordinato sacerdote nel 1796 – proprio l’anno in cui i francesi di Napoleone conquistavano Verona ingaggiando subito dopo guerra agli austriaci – il lazzaretto nell’ansa dell’Adige a pochi chilometri dalla città diventò ricettacolo di tante miserie: soldati feriti e affetti da malattie endemiche, fra cui il tifo petecchiale castrense, versavano in condizioni disastrose. Don Carlo chiese ed ottenne di esservi inviato quale cappellano. E come “provvisorio” vi rimase per 18 anni, fino al termine delle guerre napoleoniche, interprete delle lingue e dei cuori10, nel linguaggio comune da tutti comprensibile, quello della misericordia che si fa vicinanza, cura, consolazione, perdono di Dio e consegna dei morenti all’abbraccio del Padre celeste.

«Notte e giorno tra febbricitanti, morti e moribondi, senza soste e senza riposo, giovane fra tanti giovani che morivano invocando la mamma, angelo della vita, Don Steeb affinò qui la sua anima alla scuola del dolore, qui imparò quella tenerezza, quel gesto carezzevole che lo portava a chinarsi su ciascuno come una “madre pietosa”» 11.

Il suo darsi ha una fonte inesauribile nell’Eucaristia, celebrata quotidianamente nel piccolo tempio sanmicheliano che si trova al centro del Lazzaretto. «Quando sale l’altare, don Carlo vive attimi di Paradiso. Si sente una cosa sola con Cristo sacerdote, calice colmo di tutto il sangue versato sui campi di battaglia, cuore traboccante del dolore di tutti i suoi malati»12.

Accanto all’indicibile dolore di chi muore, privo di quelle cure, di quell’assistenza, di quella solidarietà di cui ogni persona umana avrebbe diritto, don Carlo capisce che accanto a chi soffre è necessario un cuore di donna, un cuore consacrato. È l’embrione di quello che sarà l’Istituto delle Sorelle della Misericordia, che troverà attuazione attraverso la dedizione totale di Luigia Poloni13 e delle sue compagne.

  1. Una carità in cordata

Terminate le guerre napoleoniche, don Carlo Steeb continua la sua corsa sulle strade della misericordia con una sensibilità che l’esperienza dei lunghi anni del Lazzaretto ha ulteriormente affinata.

In città il lavoro non manca. Il ricovero cittadino nell’attuale via Marconi appare quasi un secondo lazzaretto per le condizioni in cui versa. Stipato di persone anziane acciaccate, di disabili e di orfani, vede uno spiraglio di luce attraverso la carità dei veronesi impegnati ad assicurare almeno il minimo indispensabile alla sopravvivenza. In prima linea ci sono i “volontari” di una Associazione di carità denominata “Fratellanza”. Pensata, voluta e realizzata dal cuore grande di don Pietro Leonardi, da anni coinvolgeva la generosità di sacerdoti e laici decisi a soccorrere i bisognosi accolti al ricovero e all’ospedale, offrendo soccorso materiale e spirituale14. Don Carlo l’aveva conosciuta fin dai primi anni della sua presenza a Verona, se ne era lasciato plasmare lo spirito che avvertiva in perfetta sintonia con il suo e non aveva esitato a rimboccarsi le maniche, smanioso com’era di amare.

Insieme sostennero tante opere assistenziali ed evangelizzatrici in un periodo tutt’altro che roseo, dove il governo, dapprima francese e poi austriaco, ostacolava le iniziative o addirittura le impediva in modo perentorio.

Don Carlo, che si era fatto sacerdote proprio per una brama di donazione totale, aderì ad ogni iniziativa generosa, si rese solidale con chiunque operasse il bene, divenne collaboratore umile ma instancabile e prezioso di ogni bella attività nella vigna del Signore15.

Lui, che come straniero non poteva competere nelle predicazioni con i suoi amici, li seguiva in umiltà, contento della parte che la Provvidenza gli aveva assegnato: il ministero del confessionale16.

La Canossa commenta:

«Trionfa l’iniziativa del Leonardi per le Missioni al popolo nelle varie parrocchie di Verona e lo Steeb al suo seguito raccoglie i frutti quale confessore pieno dello Spirito di Dio»17.

Intrepido apostolo, don Carlo, in sintonia con il Papa Pio VII, non poteva accettare passivamente che circolassero catechismi non conformi alla dottrina della Chiesa18. Nel suo magistero tenne come modello e maestro San Carlo Borromeo, verso il quale nutriva una speciale devozione19.

Perciò, tramite la Canossa, chiese alla contessa Durini che gli mandasse da Milano i catechismi intitolati Regole della Dottrina Cristiana di San Carlo Borromeo. Buon conoscitore del francese e del tedesco, li diffuse, tradotti, tanto tra i civili quanto tra i militari, coadiuvato in questo dal suo direttore spirituale, p. Giovanni Bertolini20.

E i rapporti non erano solo con Milano.

La biografa del beato Carlo annota:

«È meraviglioso osservare come, tra tanti sospetti e diffidenze questi intrepidi apostoli siano riusciti a creare un così efficace scambio di idee fra città tanto lontane, relativamente alla scarsità e alla difficoltà dei mezzi di comunicazione. Torino, Milano, Firenze, Bergamo, Venezia, Verona ed altre ancora strinsero come un nodo di alleanza per il fiorire di opere destinate a meravigliosi sviluppi»21, per la causa del Regno.

Don Carlo Steeb, intraprendente ma umile sacerdote, era sempre pronto ad accogliere consigli, suggerimenti da qualunque parte venissero, purché fossero utili a procurare la gloria di Dio22.

  1. La figura del beato Carlo nell’ottica della Lumen Gentium

Molti sono i passi della Lumen Gentium che presentano la Chiesa con quei tratti che il Beato Carlo Steeb nel suo tempo aveva colto e vissuto.

Solo qualche flash.

Certo che lo Spirito «guida la Chiesa per tutta intera la verità» (4) Carlo Steeb ha aderito ad essa. Figlio fedele della stessa Chiesa – che «riconosce nei poveri e sofferenti l’immagine del suo Fondatore, si fa premura di sollevarne l’indigenza» (8) – ha dedicato tutta la sua vita per soccorrere i sofferenti e i bisognosi.

Nel suo ardente prodigarsi, si è fatto collaboratore umile e generoso a sostegno di ogni iniziativa di bene, in perfetta armonia con il pastore della Diocesi, attuando magnificamente ciò che la Lumen Gentium afferma al n. 28:

«Bisogna che i sacerdoti, consociando il loro zelo e il loro lavoro sotto la guida dei Vescovi e del Sommo Pontefice, sopprimano ogni causa di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all’unità della famiglia di Dio».

Don Carlo non solo ha evitato la dispersione, ma ha lavorato in stretta sintonia con gli altri sacerdoti, offrendo ovunque la sua disponibilità, spinto solo dall’ansia della diffusione del Regno.

 

NOTE

1 g. casetta, Il servo di Dio don Carlo Steeb, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1964, p. 23.

2 Ivi, p. 31.

3 Cenni biografici sul Servo di Dio, anno 1856, dicembre. Dall’originale conservato nell’Archivio generale Sorelle della Misericordia, cartella n. 80, riportato in Positio super introductione causae et super virtutibus Ioannis Henrici Caroli Steeb, sacerdotis saecularis fundatoris instituti sororum a misericordia veronensium, doc. XXXIV, 3, p. 386.

4 Cf g. casetta, La verità vi farà liberi, Tipolitografia Novastampa, Verona 1985, p. 35.

5 g. casetta, Il Servo di Dio don Carlo Steeb, cit., p. 43; Positio, doc. XXXVII, 9, p. 429.

6 Breve apostolico, 6 luglio 1975.

7 Cf g. casetta, Il Servo di Dio don Carlo Steeb, cit., p. 136.

8 Ivi, p. 87 e Positio, doc. XXXVII, 9, p 430.

9 g. casetta, Il Servo di Dio don Carlo Steeb, cit., p. 140.

10 Conosceva il tedesco, il francese e l’italiano e il latino, tanto che era definito come “quello che sa tante lingue”. Cf ivi, p. 91.

11 Positio, doc. XXXVII, 13, p. 433.

12 g. casetta, La verità vi farà liberi, cit., pp. 47-48.

13 Luigia Poloni, con la consacrazione religiosa il 10 settembre 1848, prese il nome di Vincenza M. Fu proclamata beata il 21 settembre 2008.

14 Dopo lo stordimento causato dall’irruzione dei francesi conquistatori di Verona, il cuore dei veronesi si era mobilitato con una serie di iniziative per arginare il male, per soccorrere i poveri, per evangelizzare contro il dilagante illuminismo che intaccava la fede e i buoni costumi. Numerose le figure degne di nota, davvero una schiera di Santi, di cui la Chiesa ha già riconosciuto l’eroicità delle virtù: il Leonardi, il Bertoni, Maddalena di Canossa, il Provolo, il Mazza, solo per citarne alcuni. Cf  g. casetta, Il servo di Dio don Carlo Steeb, cit., cap. III; Positio, doc. X.

15 Ivi, p. 83.

16 Don Steeb fu uno dei confessori e direttori spirituali più stimati di Verona insieme con il Bresciani, don Nicola Mazza e don Marchi. Si soleva dire a Verona che questi quattro sacerdoti erano destinati a tirare il carro della Misericordia. Cf Positio, doc. XL, p. 509.

17 Positio, doc. X A, 14, p. 67; g. casetta, Il servo di Dio don Carlo Steeb, cit., p. 104.

18 Cf g. casetta, op. cit., p. 122.

19 Positio, doc. XIII, 1, p. 116; XXX, p. 343.

20 g. casetta, op. cit., p. 109.

21 Ivi, p 116.

22 Ivi, p. 18.