N.01
Gennaio/Febbraio 2012

Ecco la Chiesa che amo

Non molti cristiani conoscono il capitolo sul “Popolo di Dio” presente nella Lumen Gentium, il documento sulla Chiesa del Concilio Vaticano II. Eppure esso propone dei concetti essenziali per la vita delle comunità cristiane: ci fa sentire fratelli e sorelle, corresponsabili nella vita della Chiesa, nonostante incomprensioni, resistenze e possibili ego centrismi. Questa intuizione è il nucleo di una serie di riflessione proposte dal teologo francese Yves-Marie Congar (1904-1995) in un libro di straordinaria attualità: Ecco la Chiesa che amo (1969).È nel DNA della pastorale vocazionale affondare le proprie radici e nutrirsi nell’humus vitale e fecondo di un profondo amore per la Chiesa, di cui si vuole essere testimoni e a cui si dedica la scelta  di un impegno per tutta la vita. Ma questo amore è presente in noi? O è condizionato da molti “se” e “ma”?

La cover di questo primo numero di Vocazioni 2012 si apre con uno stupendo quadro di Vincent Van Gogh: La chiesa di Auvers (1890). Esso è una delle ultime tele realizzate dal pittore, nel periodo del suo soggiorno a Auvers-sur-Oise, il luogo dove poi tragicamente si tolse la vita.Ad essere rappresentata è la zona absidale della chiesa del paese; in primo piano una stradina che si biforca e una contadina vista di spalle. La grande massa architettonica si staglia contro un cielo color cobalto, in cui Van Gogh ricrea alcune suggestioni a lui care, che richiamano il rapporto tra religione e mondo contadino.In questo caso la vitalità della pennellata di Van Gogh rende l’immagine visionaria e quasi inquietante. L’edificio prende in effetti un aspetto “molle” e sembra quasi animarsi di vita propria. È la vita che vorremmo vedere nelle nostre chiese, nelle nostre comunità cristiane, nelle nostre assemblee domenicali, troppo spesso appesantite e appannate da una carenza di vitalità e di entusiasmo nell’essere discepoli e testimoni di Gesù.I capitoli 2 e 3 del libro dell’Apocalisse presentano una raccolta di sette lettere, destinate alle antiche Chiese che facevano capo alla comunità di Efeso. Proprio ad essa è indirizzata la prima di queste lettere, segnata da una espressione che provoca e affascina: «Ho una cosa da rimproverati: hai lasciato cadere il tuo primo amore» (Apoc 2,5).Nella sapienza popolare un proverbio dice: «Il primo amore non si scorda mai». Eppure, la Parola di Dio sembra dire esattamente il contrario: quel primo amore, sul quale avevi giurato fedeltà e ricordo eterno, svanisce nel nulla, come una nuvoletta eterea di vapore nel rigido freddo invernale. Esso è stato lasciato cadere nell’oblio; è sfiorito nella sua carica di bellezza; è stato ridotto ad un mucchietto di cenere, tra le esperienze bruciate e inservibili del passato.Il cuore umano ha dei vuoti improvvisi e paurosi; si lascia prendere da amnesie impreviste e repentine: può succedere nelle relazioni a causa della nostra volubilità affettiva; può succedere anche nella nostra relazione con il Signore Gesù e nel nostro servizio alla Chiesa.

«Se la tua fede ti rende inquieto, sii tranquillo; sei sulla via giusta». È uno degli aforismi cari allo scrittore e drammaturgo statunitense Julien Green (1900-1998). È la grande sfida da raccogliere, che Papa Benedetto XVI ci offre attraverso il prossimo “Anno della Fede”: ciò significa creare o rafforzare quel “Noi” comunitario che fa da sfondo ad ogni narrazione e riappropriazione della Fede. A ciascuno il compito di vivere la sana inquietudine della ricerca. Allo Spirito Santo il lavoro di regia, per individuare e percorrere con coraggio strade significative per l’oggi della vita; per essere uomini e donne aurorali che, come le sentinelle bibliche (cf Sal 130,6), sanno cogliere le striature di luce di un’alba nuova, in una rinnovata esperienza di fede e passione per la Chiesa che amiamo.