N.04
Luglio/Agosto 2012
Studi /

Pedagogia cateriniana alla vita interiore

Questo mio contributo mi dà occasione di far conoscere questa santa Dottore della Chiesa. Donna di grande passione e forza, capace di amicizia e di gioia, come testimoniano i suoi discepoli, quelli della bella brigata. Anche per me è un momento di grande arricchimento e occasione di vibrare con i desideri, le attese della nostra amata Chiesa, attenta a educare i giovani alla speranza, virtù e forza per scelte coraggiose.

 

  1. Come avvicinarsi all’opera cateriniana

Prima di entrare nell’argomento affidatomi ritengo opportuno qualche accenno sul come avvicinarsi all’opera di Santa Caterina da Siena, che, come sappiamo è costituita da un Epistolario di circa 380 lettere; il Libro, ovvero il Dialogo della Divina Provvidenza e le Orazioni, trascritte mentre la Santa pregava ad alta voce essendo in estasi.

Un aspetto che vorrei subito sottolineare è il rapporto di Santa Caterina con la Parola di Dio, soprattutto con il Nuovo Testamento da lei conosciuto anche nella traduzione volgare già ampiamente utilizzata dai Frati domenicani, che lei frequentava nella Basilica di San Domenico in Siena1. Se il modo di citare le parole della Scrittura era diverso, non per questo meno conforme alla Scrittura. È questa una pista di lavoro-studio dei testi di Caterina molto ricco e interessante.Un altro suggerimento di lettura, un po’ tecnico, ma molto utile, specialmente per le Lettere, è leggerle ad alta voce (con misura ovviamente!) perché non sono un testo scritto, ma orale. La voce segue il ritmo del testo, scoprendone una scansione che va al di là della punteggiatura. Non solo, ma si scopre che la trama, per così dire, delle Lettere è il dialogo, una relazione tra il tu di Caterina e il tu del destinatario.

Infatti esse non sono una lezione magistrale; ma nemmeno una direzione spirituale esigente che domanda solo di essere ascoltata ed eseguita. Caterina dialoga con i suoi interlocutori, pur “lanciando” sfide pesanti (che altro non dicono se non la grande stima che ha dei suoi figli spirituali in particolare) non lascia mai soli a sbrogliarsela. Dunque la nostra educatrice, dopo aver espresso il suo pensiero, sempre si ferma e anche noi ci dobbiamo fermare, perché lì sta nascendo una domanda. È come se Caterina si fermasse ad ascoltare la domanda che ha provocato. Per esempio la lettera a Neri di Landoccio2 è un rimbalzare di domande silenziose che noi dobbiamo riuscire a far emergere per capire le risposte. A volte la dialettica pedagogica di questo dialogo è espressa. Basti come esempio un passo della Lettera 113, vero gioiello anche letterario:

«Che è carità? è uno amore ineffabile che l’anima à tratto dal suo Creatore, amandolo con tutto il cuore, con tutto l’affetto e con tutte le forze sue [Mt 22,37; Mc 12,30; Lc 10,27]. Dissi che l’aveva tratto dal suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? con l’amore, però che l’amore non s’acquista se non con l’amore e da l’amore. Ma tu mi dirai, carissima figliuola: «Che modo mi conviene tenere a trovare e acquistare questo amore?» Ti rispondo, per questo modo: ogni amore s’acquista col lume, però che la cosa che non si vede non si conosce; perciò non conoscendola non la si ama. Ti conviene dunque avere il lume, affinché che tu veda e conosca quello che tu debbi amare. E perché il lume c’era necessario, provvide Dio alla nostra necessità, dandoci il lume dell’intelletto, che è la più nobile parte dell’anima, con la pupilla, dentrovi, della santissima fede!». Ed infine ecco alcuni punti di riferimento per meglio comprendere l’apertura e la chiusura di tutte le lettere che così iniziano: «Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce… io Caterina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di…» e terminano: «Altro non dico. Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore».

Teniamo sempre presente che Caterina è una educatrice e come ogni buon educatore non si sente padrona della situazione, ma un’inviata. E siccome anche noi siamo educatori cristiani, consacrati, che si vogliono fedeli a Cristo, è bene che ci ricordiamo sempre che siamo servitori inutili, quindi inviati a nome di Gesù crocifisso e di Maria dolce.

  1. Il Sangue del Figlio, la Trinità, l’Eucaristia

Che cosa dà spessore alle parole di Caterina? Il Sangue del Figlio. Chiariamo però il significato del sangue in Caterina. Immagine che fra tutte colpisce particolarmente sino a caratterizzarla. Il valore semantico è assolutamente biblico. Quando Caterina parla del Sangue vuol significarci sia la SS.ma Trinità che l’Eucaristia. Perché la SS.ma Trinità? Il Figlio, dolce Verbo incarnato, è a noi donato dal Padre e come Agnello immacolato per noi sparge tutto il suo Sangue. Ma il suo Sangue è caldo per fuoco d’amore, che è lo Spirito Santo. La trasfusione di cui l’umanità aveva bisogno – siamo tutti tremendamente anemici – è quella del Sangue di Cristo tutto uomo e tutto Dio. Ma non basta: il Sangue è nostro. Così prega Caterina il Padre di ogni misericordia: «Adunque apre, disserra e spezza i cuori induriti delle tue creature; non per loro che non bussano, ma fallo per la tua infinita bontà e per amore de’ servi tuoi che bussano a te per loro. (…) E che chiedono? Il sangue di questa porta, Verità tua… Il sangue è nostro, perché ne hai fatto bagno: non il puoi disdire, né lo vuoi disdire, a chi in verità te lo domanda»3. Non posso certamente soffermarmi più a lungo su questa affascinante argomentazione della domenicana, voglio però far notare che è l’impostazione teologica di fondo anche del suo relazionarsi con ogni persona, con ogni tu che è creato all’immagine e somiglianza di Dio e fatto per godere dell’eterna bellezza.

Ecco allora che quando ella scrive «nel sangue» rivive quanto scrive in una delle ultime lettere: «Essendo io ansietata di dolore per crociato desiderio, il quale s’era nuovamente concepito nel cospetto di Dio (perché il lume dell’intelletto s’era speculato nella Trinità eterna, e in quello abisso si vedeva la dignità de la creatura che à in sé ragione…)»4. Qui, nel mare profondo della Trinità, inizia la vera conoscenza di sé.

  1. La conoscenza di sé

Soffermiamoci un momento per ben soppesare quanto Caterina ci dice della sua mistica esperienza. Ripeto: in quello abisso si vedeva la dignità de la creatura che à in sé ragione…, cioè perdersi in Dio e trovare l’uomo. Ecco lo specchio che in quanto educatori inviati da Cristo dobbiamo porgere a chi va cercando se stesso. È il messaggio fondamentale della conoscenza di sé in Caterina. Possiamo conoscerci senza perdere la speranza, senza morire solo se ci specchiamo in Dio. Così grande, infatti, è la dignità della creatura che ha in sé ragione da essere scritta nel cuore della Trinità. Lo specchio è del resto un’immagine cara anche alla letteratura contemporanea. Basti l’esempio del Caligola di Camus. Prima di farsi uccidere Caligola si guarda ancora una volta allo specchio, quindi lo infrange. Il messaggio disperato è chiaro: guardarsi è morire 5. Antico insegnamento già di Narciso. L’esistenzialismo ateo teme lo sguardo come fonte di cosificazione e ogni relazione ci viene pertanto negata. Come mai questo non accade in Caterina? Perché lo specchio, fonte di conoscenza di se stessi, è il Tu eterno, il solo Tu uno e trino. Perciò quando mi conosco in Dio non mi chiudo alla vita in uno sterile rinvio della mia propria immagine, ma mi apro alla relazione:

«Le linee delle relazioni, nei loro prolungamenti, si intersecano nel Tu eterno.. Ogni singolo tu è una breccia aperta sul Tu eterno… Per mezzo di ogni singolo tu la parola fondamentale interpella il Tu eterno»6.

L’autenticità di queste lettere che vibrano ancora oggi anche per i giovani – lo posso affermare per esperienza vissuta con loro – è che chi parla testimonia di un vissuto e dice sempre “noi”, cioè non punta il dito dinanzi alle debolezze e ai dubbi umani, ma si sente profondamente solidale con tutti in umanità proprio in forza del sangue di Gesù sparso per tutti. Un esempio commovente e denso di insegnamento è la lettera che Caterina scrive ad un prostituta di Perugia che chiama insistentemente dolcissima figliuola mia7. Alla base di questa autenticità della parola, comune del resto a tutti i santi, per la nostra domenicana troviamo l’esperienza della conoscenza di sé esperita in modo straordinario. Non fa solo l’esperienza dell’assenza di Dio, della notte dello spirito, fa l’esperienza che noi, con parola a lei certamente sconosciuta, definiamo metafisica del non essere. Viene da pensare che Parmenide l’avrebbe certamente capita! L’Essere è e non può non essere, ma io non sono l’Essere! Caterina con l’esperienza nell’abisso del «tu sei colei che non è e Io sono Colui che sono» ci riporta ad un livello ontologico del cognoscimento di sé, che trascende, ma non nega, quello psicologico. Chi si ferma al non essere, come Sartre, è condannato ad un desiderio inutile. Ora Caterina, donna di desiderio, non è “condannata” alla vacuità del vivere, e tutta la forza di Caterina viene da questa esperienza.

  1. «Sappi questo e sarai beata»

Infatti, immediata conseguenza di tale consapevolezza è che se Dio per un solo istante non mi pensasse sprofonderei nel non essere. Ma al contrario del nichilismo dell’uomo da Hegel in poi, per cui l’uomo è un attimo fuggente, Caterina ci ricorda che dal momento che il Logos mi chiama alla vita, ci sono e sarò sempre… Gesù stesso dice a Caterina: «Caterina pensa a me, che Io penso a te». Pensami, che ti penso: l’amato all’amata. Non solo, ma è il Verbo per il quale tutto esiste a sostenere tale affermazione… Il silenzio e la lode dolcemente si impongono! È davvero inutile sottolinearne l’attualità e quindi il motivo per cui Caterina possa essere una risposta vivente a tante “confusioni”8 che travagliano i nostri giovani. Questa esperienza Caterina la porterà nel cuore come un sigillo di fuoco, quando dovrà lasciare la sua cella, la sua vita regolare di mantellata, e iniziare a vivere da “domenicano”9. Il cognoscimento di sé sarà per lei il fondamento di ogni crescita umana e spirituale. Praticamente non c’è lettera che non lo ricordi, non c’è destinatario che almeno una volta non sia stato richiamato a questa esigenza.

  1. Le immagini del cognoscimento di sé

5.1 Il suo santo volere su tutta la creazione

Caterina usa tante immagini parlando del cognoscimento di sé. Ne scelgo solo alcune. Il cognoscimento prima di tutto ha uno scopo ben preciso: riscoprire la Verità dell’amore. Riscoprire quello che Dio ha voluto quando ha creato. Cioè il suo santo volere su tutta la creazione. Ovviamente la Verità dell’amore riguarda la creatura che ha in sé ragione in modo tutto particolare. Questa Verità non si è realizzata a causa della ribellione di Adamo, della marcia di Adam: queste parole ben indicano il guastarsi della relazione tra Dio e l’uomo e tra gli uomini fra loro10.

Il cognoscimento di sé permette anche di rispondere alla domanda di Dio: «Adamo, dove sei?», perché conoscendomi prendo consapevolezza e della mia grandezza e della caduta. Così leggiamo nella lettera a Neri di Landoccio: «La verità sua è questa: che egli ci creò per darci vita eterna; ma per la ribellione che fece l’uomo a Dio non si compiva questa verità, e però discese a la maggiore bassezza che discendere potesse, cioè quando vestì la deità della nostra umanità»11.

5.2 Scendere nell’abisso di sé

«Adamo, dove sei?» (cf Gen 3,9). «Dal profondo a te grido, o Signore» (Sal 129).

Ecco che il cognoscimento di sé è un invito a scendere in questo abisso, prenderne consapevolezza altrimenti non saremmo nella verità, per poterne risalire illuminati dalla stessa Verità e poter gridare a tutti: non vedi che Dio ti ama! Il non cognoscimento di sé in Caterina è uguale a confusione12. E nella lettera al giovane Neri leggiamo una affermazione che dice la sconfinata misericordia di Dio:

«Adunque io voglio che la tua confusione si consumi e venga meno nella speranza del sangue, e nel fuoco della inestimabile carità di Dio, e rimanga solo il vero cognoscimento di te; col quale cognoscimento ti umilierai, e crescerai e nutrirai del lume. E non è egli più atto a perdonare che noi a peccare? E non è egli nostro medico – e noi gli infermi – e portatore delle nostre iniquità? E non ha egli per peggio la confusione della mente che tutti gli altri difetti?» 13.

 

5.3 La cella di cielo

Cristo, il medico divino, soffre più del nostro non sperare che dei nostri peccati!

Ecco allora la necessità di entrare in noi, nel nostro cuore e fare del cuore la cella del cognoscimento di noi la quale cella è una abitazione che l’uomo porta con seco dovunque va14. Questa cella è particolare perché, ci esorta ancora la nostra pedagoga: «Fai del tuo cuore una cella e della tua cella un cielo»15.

Perché una cella scoperta? È un’immagine che ha anche una valenza psicologica molto chiara. Il rischio di rientrare in se stessi è quello del ripiegarsi, del chiudersi. Ora il metodo cateriniano della conoscenza di sé è un invito a guardare sempre in alto, verso il cielo. Una cella luminosa per chi fa esperienza di Dio in sé e di sé in Dio. La gloria di Dio, sappiamo, è l’uomo in piedi, è l’uomo risorto.

Una vita interiore aperta, che non solo ricerca di “ben-essere”.

Oggi c’è una grande ricerca di interiorità, ma per raggiungere uno stato piacevole e quindi precario. Le proposte sono di una tecnica di auto-salvezza. Vasto il campo di riflessione. Per stare nel tracciato della conoscenza di sé indicato da Caterina mi basta sottolineare che la differenza è fondamentale. La cella, la casa del conoscimento, è luogo di incontro con Dio e di salvezza donata nel Sangue del dolce Verbo incarnato. Non mi devo infatti fermare all’esperienza del mio non essere, sarebbe disperante. Leggiamo nelle Lettere:

«Perché se tu stessi nel cognoscimento di te, verrebbe la confusione della mente; e stando solo nel cognoscimento di Dio, verresti a presunzione. Conviene dunque che siano conditi l’uno con l’altro, e faccine una medesima cosa16. Ve lo dico: che sempre abitiate nella cella del cognoscimento di voi, conoscendo voi non essere e l’essere vostro avere da Dio»17.

 

 5.4 La bontà di Dio dentro sé

Dunque cognoscimento di sé e de la bontà di Dio in sé18. Parole che ci rimandano all’idea del Tu eterno in noi. Insisto su questo aspetto perché questa non è soltanto una affermazione teologica, è vita che informa tutta la paideia di Caterina. La mamma, così la chiamavano i discepoli della bella brigata, sempre si relaziona in modo personale con i suoi destinatari: nessuno è anonimo.

Per tutti un desiderio che dimostra la sua conoscenza dell’altro19.

È davvero e-ducatrice, tira fuori il meglio di ognuno. È auctor, augere, perché fa crescere l’altro non per la propria soddisfazione, ma perché si compia, realizzi in ognuno la Verità dell’amore.

5.5 La casa

Spesso Caterina esorta ad entrare «nella casa del cognoscimento di te – ove noi troviamo il cibo angelico dell’affocato desiderio di Dio inverso di noi»20.

Nell’affocato desiderio di Dio Caterina condensa tutto il mistero della redenzione. Dio pazzo d’amore per la sua creatura21 vuole l’uomo perché ben sa che solo così raggiungiamo il vero fine del nostro esistere: godere la sua eterna bellezza.

Leggiamo in una splendida Orazione:

«Se io considero il grande consiglio tuo, Trinità eterna… Così vedo che ciò che la sapienza tua vide in quel grande ed eterno consiglio che fosse da fare per la salute de l’uomo, la clemenza tua volle e la potenzia tua l’ha oggi adempito… in quello consiglio la grande misericordia tua voleva fare misericordia a la fattura tua, e tu, Trinità eterna, volevi compire in lei la verità tua di darle vita eterna, ché per questo l’avevi creata, acciò che partecipasse e godesse di te»22.

L’oggi cui si fa riferimento è il 25 marzo 1380, giorno dell’Annunciazione, giorno dell’Incarnazione del Verbo. Come non pensare allora, nella dinamica del grande consiglio divino, alle parole della Lettera agli Ebrei: «Mi hai dato un corpo, allora ho detto Io vengo» (Eb 10,5-7).

 

5.6 L’unità della persona nel Verbo

Questo è un altro aspetto del cognoscimento di sé molto importante nella dottrina cateriniana. Nel suo pensiero non vi è nessuna traccia di dualismo tra anima e corpo. Ancora una volta nessun “trattato” in materia, ma il comportamento stesso di Caterina. Lei, che raramente parla in prima persona, nella Lettera 173 racconta come abbia accompagnato un giovane perugino, Toldo, sino al patibolo.

Tutta la persona di Caterina è coinvolta: veramente l’affetto porta l’anima, come i piedi portano il corpo. Un’esperienza mistica di un realismo umano che sconvolge la stessa Caterina. Lei che ha posto il capo del giovane condannato sulle sue ginocchia e ode le sue ultime parole: «Si pose giù con grande mansuetudine, e io gli distesi il collo, e mi chinai giù e rammentai il sangue de l’Agnello: la bocca sua non diceva se non “Gesù” e “Caterina”, e così dicendo ricevetti il capo ne le mani mie, fermando l’occhio nella divina bontà, dicendo: “Io voglio!”»23. L’amore divino e l’amore umano quando sono nella brace infuocata della Trinità non fanno battaglia. Il corpo non è contro l’anima. Gesù ce lo insegna quando afferma che è ciò che esce dal cuore a rendere impuro l’uomo (cf Mt 15,17). Il finale di questa straordinaria avventura di Toldo è il più bel commento a questa unità della nostra persona che proprio con l’Incarnazione il Verbo è venuto a sanare. Le porte del Cielo sono spalancate davanti a Toldo. Il giovane è davanti a Cristo che lo serra nel proprio costato aperto. Cielo e terra si toccano e il giovane Toldo è ormai davanti a Cristo, eppure…

Eppure si volse come fa la sposa quando è giunta all’uscio dello sposo, che volge l’occhio e il capo addietro, inchinando chi l’ha accompagnata, e con l’atto dimostra segni di ringraziamento24. Questo semplice gesto di gratitudine è importante anche per la nostra vita spirituale e per l’accompagnamento delle persone che il Signore mette sui nostri passi. È proprio in forza del cognoscimento di sé che saniamo lo iato tra vita ascetica e relazioni umane con noi stessi e con gli altri. Tanto si è detto sulla priorità della dimensione verticale o orizzontale: Dio o l’uomo? Caterina risponde: insieme perché uno solo è l’amore, l’amore di Dio e l’amore del prossimo e sono compresenti, anzi il secondo mi assicura del primo. Ma come in verità m’ama, così fa utilità al prossimo suo; e non può essere altrimenti, perché l’amore di me e del prossimo è una medesima cosa, e tanto quanto l’anima ama me, tanto ama lui, perché l’amore verso di lui esce di me25.

 

5.7 Il ponte

Dio ha coniugato l’eterno e il tempo con il Ponte. Il ponte è fatto per passare da un riva all’altra, il ponte è la Pasqua. Non lasciamoci, però, sfuggire come è fatto questo Ponte. È un ponte levatoio: mi conduce in alto, dentro la Città eterna. Congiungimento tra il Cielo e la città dell’anima. Altra figura concreta per educare al cognoscimento di sé.

Ascoltiamo Caterina stessa:

«O figliuolo dolcissimo, questa città ha molte porte: le principale sonno tre, cioè memoria, intelletto e volontà»26.

La memoria che è mossa dall’affetto, l’affetto sta all’anima come i piedi stanno al corpo.

L’intelligenza che in un certo senso mendica alla porta della memoria per poter pensare cose vere e buone e la memoria le porge i benefizi di Dio. Così l’intelligenza, arricchita dell’esperienza della conoscenza di Dio e della bontà di Dio in noi, bussa alla porta della volontà per sollecitarla a decidersi nella scelta di fare ciò che Dio vuole e di amare ciò che Dio ama.

Ma “tanti altri” fanno guerra a questa città e bussano con violenza alle sue porte. È chiaro che Caterina ci parla delle tentazioni, degli attacchi di malatasca, così chiama il demonio, del nostro orgoglio… Esperienza di tutti. Chi di noi per esempio, bombardato di immagini volgari, di suoni violenti o altro che ci ha rivoluzionato dentro, andando a pregare non si ritrova con la mente altrove, non ricorda, rivede come in un film, nel silenzio della meditazione, tutto quanto ha come respirato magari per strada. Le esemplificazioni non ci mancano e non mancano al giovane che cerca di costruire la sua interiorità come una città forte.

Ebbene, Caterina ci dice di non preoccuparci. Lei non è mai catastrofica, ma ci suggerisce il mezzo per andare oltre. Così continua nella Lettera 319:

«…delle quali porte il nostro Creatore tutte permette che siano percosse, e quando aperte per forza, fuorché una, cioè la volontà… Brighianci27 di fare buona e sollecita guardia, ponendo allato alla guardia del libero arbitrio il cane della coscienza il quale – quando alcuno giunge a la porta – desti la ragione abbaiando».

È un programma educativo da approfondire e con il quale cimentarsi.

Il lume dell’intelletto fa conoscere il male e il bene, tutto non è uguale, quasi fosse un brodo cosmico, che dobbiamo chiamare con il suo nome: relativismo.

In esso possiamo solo naufragare. Caterina ci stimola a educare ogni potenza della città dell’anima secondo la finalità che le è propria.

Non solo, ma è chiaro quanto per lei sia importante una coscienza vigile. Conoscenza di sé e coscienza sono intimamente legate: a noi spetta di gettare le basi secondo la Verità dell’amore.

 

5.8 Il pozzo

Un’altra immagine usata da Caterina è quella del pozzo. Scrive nella Lettera 41:

«E se noi domandassimo quello dolcissimo e amantissimo giovane, clementissimo padre, egli ci risponderebbe e direbbe così: “Dilettissimi figliuoli, se volete sentire e trovare il frutto de la mia volontà, fate che voi sempre siate abitatori de la cella dell’anima vostra“, la quale cella è uno pozzo, il quale pozzo tiene in sé l’acqua e la terra (ne la quale terra potiamo conoscere la nostra miseria: conosciamo noi non essere; poiché noi non siamo, adunque vediamo che l’essere nostro è da Dio). O ineffabile infiammata carità, vedo dunque che è trovata la terra, l’acqua viva è giunta, cioè il vero del cognoscimento de la sua dolce e vera volontà, che non vuole altro che la nostra santificazione. Adunque entriamo in questa profondità di questo pozzo, ché per forza si converrà che, abitandoci dentro, noi conosciamo noi e conosciamo la bontà di Dio. Conoscendo noi non essere, noi ci avviliamo umiliandoci, e noi entriamo nel cuore arso consumato aperto, come finestra senza uscio che non si serra mai; mettendo noi l’occhio de la volontà libera che Dio ci à data, conosciamo e vediamo che la sua volontà non è andata in altro che ne la nostra santificazione»28.

Questo testo ci propone un esercizio spirituale meraviglioso.

Prima di ogni cosa dobbiamo trovare la casa del conoscimento, dobbiamo entrarci, ma soprattutto, dobbiamo restare, “permanere” in questa casa. L’importanza del perseverare tanto difficile per la fugacità dei ritmi tecnologici. La mentalità odierna “dell’usa e getta”, dei bisogni indotti, dell’urgenza di avere subito l’ultima novità in qualsiasi campo, insomma, il sempre “più”, sempre “più”… materiale e provvisorio per sua natura, incide profondamente sulla volontà e quindi sulla capacità decisionale di scelte definitive. Questa mentalità abitua a vivere in superficie, rendendo lentamente incapaci di gustare e valutare l’attimo presente. La vita interiore profonda è vanificata. Ma non il suo bisogno e desiderio: e noi da qui partiamo, su questo facciamo leva… con Caterina.

Questa casa è profonda come un pozzo il quale pozzo tiene in sé l’acqua e la terra, elementi indispensabili per la vita dell’uomo. Entrando in questa profondità non scendiamo nel buio umido delle nostre paure, ma scendiamo nel cuore della vita, raggiungiamo il tesoro nascosto. Lasciamo alle spalle il mondo soggettivo delle nostre impressioni per scoprire la reale verità che ci abita: Dio in noi e noi in Dio.

Ci attende quell’acqua viva che sola disseta e irrora la terra per renderla feconda. Gesù ci ha promesso questa acqua viva che sgorgherà dal nostro seno, dalla profondità del nostro essere, del nostro cuore (cf Gv 4,14).

In questa casa, che è come un pozzo senza fine sempre ricco di risorse, siamo trasformati dalla carità che, come una madre, ci genera nuovamente alla vera vita. Quante volte Cristo è paragonato ad una balia e così la carità che è Cristo stesso.

La conoscenza di sé, passando attraverso l’umile consapevolezza della nostra creaturalità e della nostra miseria, ci riconduce alla nostra dignità di figli di Dio in una intimità di vita che solo il Dio pazzo

d’amore per la sua creatura poteva pensare per noi29.

Ben comprendiamo le ultime parole che sono slancio di gioia, di amore,di gratitudine:

«Amore amore dolce, aprici aprici la memoria a ricevere e a ritenere tanta bontà di Dio e intendere, ché intendendo amiamo; amando, noi ci troviamo uniti e trasformati ne la dilezione de la madre de la carità, passati e passando per la porta di Cristo crocifisso, sì come egli disse ai discepoli suoi: “Io verrò e farò mansione con voi“»30.

 

  1. Grazie all’altissimo Dio

Possiamo riprendere la nostra missione con la certezza di avere un aiuto in più, un riferimento – forse nuovo per alcuni – non solo di contenuti, ma di un’autentica relazione con una persona, Caterina da Siena, che proprio alla fine della propria esistenza terrena, dopo ardue battaglie e malgrado la tristezza di una amara sconfitta dal punto di vista umano31, non cessa di ringraziare Dio32 e promette a chiunque le si ponga accanto:

«Ora dico: grazia, grazia sia all’altissimo Dio eterno, che ci ha posti nel campo de la battaglia, come cavalieri, a combattere per la Sposa sua con lo scudo de la santissima fede33

Mettetevi virilmente a fare ogni cosa: e cacciare le tenebre e fondare la luce, non guardando a la vostra debolezza, ma pensate per Cristo crocifisso potere ogni cosa [Fil 4,13]. Io vi starò allato, e mai non mi partirò da voi, con quella visione invisibile che fa fare lo Spirito santo»34.

«Pregherò la Verità eterna che ogni plenitudine di grazia e doni, che egli avesse dati nell’anima mia, gli trabocchi sopra voi altri, acciò che siate lucerne poste in su il candelabro»35.

Altro non dico. Permaniamo nella dolce e santa dilezione di Dio. Gesù, Gesù amore.