N.01
Gennaio/Febbraio 2013

Progetto Policoro: vocazione al lavoro

«Non esistono formule magiche per creare lavoro. Occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone». Queste parole del compianto mons. Mario Operti descrivono bene l’esperienza ecclesiale del Progetto Policoro, iniziata all’indomani del Convegno ecclesiale nazionale di Palermo su iniziativa dello stesso, allora direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, che coinvolse il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e la Caritas Italiana nel primo incontro svolto a Policoro (14 dicembre 1995).

Al primo incontro parteciparono i rappresentanti diocesani di Basilicata, Calabria e Puglia e di alcune Associazioni laicali per riflettere sulla disoccupazione giovanile nella sicura speranza che l’Italia non crescerà se non insieme. Successivamente il Progetto coinvolse Campania, Sicilia, Sardegna, Abruzzo-Molise, Umbria, Emilia-Romagna, Lazio, Marche e Piemonte. Con la Lombardia e il Triveneto sono attivi fin dall’inizio importanti rapporti di reciprocità tra le Chiese.

  1. Il Progetto Policoro

Nasce così il Progetto Policoro, che si caratterizza per il suo investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone, per aver accolto «la sfida che la disoccupazione giovanile pone alle Chiese» con la precisa «volontà di individuare delle risposte» all’«interrogativo esistenziale di tanti giovani che rischiano di passare dalla disoccupazione dal lavoro alla disoccupazione della vita»1. Ancora oggi, il Progetto Policoro rivela tutta la sua positività perché punta a valorizzare i giovani a lavorare insieme tra loro e con gli adulti per un unico impegno: evangelizzare la vita e il lavoro, educare e formare le coscienze, esprimere impresa.

Evangelizzare la vita e il lavoro a partire dal vicendevole appello tra il Vangelo e la vita personale e sociale di ogni uomo. Nei luoghi della disoccupazione e del lavoro nero, dove la dignità delle persone è calpestata, il Vangelo realizza il cambiamento, libera dall’oppressione e conduce nella direzione della gioia e della speranza. Il soggetto di questo impegno di evangelizzazione è principalmente l’intera comunità cristiana.

Educare e formare le coscienze nel rispetto delle finalità essenzialmente educative del Progetto e in linea con gli orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, che ci invitano a vivere quell’intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione che culmina nel portare a pienezza l’umanità seminando cultura e civiltà. Il triennio di formazione degli Animatori di comunità, che lavorano in sinergia con i direttori delle pastorali coinvolte e con altri giovani e adulti nel loro territorio, si basa sul Compendio della dottrina sociale della Chiesa, presentato nella sua interezza, e sulla Caritas in veritate. Il primo anno sviluppa il tema “La mia missione…” (vocazione, persona, solidarietà, sussidiarietà, bene comune), attingendo ai capitoli 1-4 del Compendio. Il secondo anno “La mia missione… nella e per la città” (famiglia, lavoro, economia e politica), capitoli 5-8. Il terzo “La mia missione… nel e per il mondo” (comunità internazionale, creato, pace, Chiesa), capitoli 9-12.

Esprimere impresa ovvero gesti concreti (idee imprenditoriali e rapporti di reciprocità) a partire dall’evangelizzazione e attraverso un processo educativo e formativo che valorizza la persona nella sua interezza e nelle sue capacità imprenditoriali. Si realizzano così gesti concreti (cooperative, consorzi, imprese, microcredito, reciprocità Nord-Sud…) che dicono la possibilità di creare lavoro dignitoso, far germogliare speranza e sviluppo e permettere ai giovani di sposarsi e generare figli.

Lo stile che caratterizza il Progetto è quello di aiutarsi a crescere insieme nel rispetto reciproco delle specificità e competenze, nella solidarietà e nella comunione. La virtù cristiana che lo sostiene è la speranza: attraverso l’annuncio del Vangelo, l’educazione ad una nuova cultura del lavoro e l’esprimere insieme segni concreti di speranza (cooperative, imprese) si invera la parola annunciata e si realizzano quei segni di fiducia, dignità e libertà in territori che spesso vivono l’esperienza del lavoro nero, della criminalità, della disoccupazione. Il Progetto è intraprendenza di Chiesa «che coinvolge, appunto in modo esemplare, le istituzioni ecclesiali, diocesi e uffici della Conferenza Episcopale, con i gruppi, le associazioni, i movimenti, e suscita e si avvale dell’apporto di tanti, uomini e donne, giovani e meno giovani, tutti partecipi della certezza di una speranza operosa, che si costruisce insieme. È il “segreto” della presenza dei cattolici nella società: rispondere ai bisogni concreti, con uno spirito di comunione, nella certezza che il Vangelo vissuto dà buoni frutti per tutti»2.

Fin dall’inizio i tre Uffici promotori hanno coinvolto nel Progetto a diversi livelli (nazionale, regionale e diocesano) numerose associazioni quali: Gioventù Operaia Cristiana (Gioc), Movimento Lavoratori di Azione Cattolica (Mlac), Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (Acli), Confcooperative, Confederazione Italiana Sindacati dei Lavoratori (Cisl). A questo primo gruppo si sono aggiunti: Banche di Credito Cooperativo, Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti (Ucid), Banca Etica, Coldiretti, Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani (Agesci), Associazione Libera, Fondazione Operti. In questa azione sinergica si è aiutati dagli Animatori di comunità, laici responsabili mossi ad agire secondo una logica di servizio, con la maggior competenza possibile, con attenzione costante alle persone, specialmente a quelle che non contano, agli ultimi.

Il Progetto coinvolge attivamente un centinaio di diocesi italiane, anche attraverso la reciprocità tra le Chiese del Nord e del Sud, nell’ottica dello scambio dei doni che scaturisce dalla comunione ecclesiale. In questi sedici anni di attività si sono formati migliaia di giovani, che oggi sono fermento nuovo nei loro territori, e si sono costituite oltre cinquecento realtà cooperative o imprenditoriali, che sono il segno concreto di una speranza evangelica capace di germogliare nei cuori e nelle opere delle persone.

  1. Il lavoro come vocazione

È bello soffermarsi sul lavoro a partire da un noto pensiero di Sant’Ambrogio: «Ciascun lavoratore è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene». Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l’uomo, partecipe dell’arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre; suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, a vantaggio soprattutto dei più bisognosi.

Nell’enciclica Laborem exercens, il Beato Giovanni Paolo II pone l’uomo al centro dei conflitti sociali del tempo presente e lo valorizza nell’intimo legame con il lavoro. Il lavoro, in quanto chiave di tutta la questione sociale, deve quindi essere ricondotto alla dimensione etica e personale, deve cioè favorire lo sviluppo della persona e della vita sociale in cui essa è inserita: «Ciò vuol dire solamente che il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto […] per quanto sia una verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è “per l’uomo”, e non l’uomo “per il lavoro”»3. Lavorando, intraprendendo e, più in generale, agendo, l’uomo manifesta la possibilità di realizzare la propria umanità, rendendo se stesso più autenticamente uomo. Il valore etico del lavoro risiede nel fatto che colui che lo compie è una persona, un soggetto consapevole e libero, cioè un soggetto che decide di se stesso.

La Caritas in veritate ci ricorda che ogni uomo, in quanto amato da Dio, riceve una vocazione che si concretizza nell’amare nella verità Dio e il prossimo. Solo dopo aver accolto il dono del Vangelo nella nostra vita possiamo annunciare la verità dell’amore di Cristo nella società, testimoniare Gesù risorto con coraggio e generosità in ogni ambito: lavoro, politica, economia, giustizia e pace, creato… Siamo chiamati da Dio a rispondergli ogni giorno e ad aiutare gli altri a rispondere, a vivere la carità nella verità, a riconoscere il vero, a gioire del bello e a godere del buono.

Nell’enciclica ritroviamo una visione del lavoro collocata nell’orizzonte del primato di Dio, della rilevanza dell’essere sul fare e della vocazione dell’uomo allo sviluppo integrale. Tali prospettive mettono al centro la persona, come metro della dignità del lavoro, e permettono la promozione di uno sviluppo stabile.

Anzitutto, si ribadisce che il lavoro è per ogni uomo una vocazione. Benedetto XVI riprende il pensiero di Paolo VI riportato nella Populorum progressio che «ogni lavoratore è un creatore»4. Il lavoro è atto della persona, per cui è bene che ad ogni lavoratore sia data l’opportunità di offrire il proprio apporto, di esprimere sé stesso, il proprio talento, le proprie capacità a immagine del Creatore.

Un’altra preoccupazione della Caritas in veritate sul tema del lavoro riguarda la priorità dell’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. Lo impongono: la dignità della persona, perché ogni uomo deve lavorare per essere sé stesso; le esigenze della giustizia, per non aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza; la ragione economica, ciascuno può e deve contribuire allo sviluppo del proprio Paese.

Infine, citando l’incontro per il Giubileo mondiale dei lavoratori del 1° maggio 2000, Benedetto XVI auspica, sulla scia di Giovanni Paolo II, che il lavoro sia dignitoso, cioè «espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna […], scelto liberamente, […], permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione […], consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli […], lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale […], assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa»5.

È importante comprendere che non ci può essere dignità – nel lavoro, come negli altri ambiti della vita umana – senza moralità, senza un agire libero e responsabile, senza il valore fondante che è la persona umana. Il criterio per valutare a pieno la dignità del lavoro sta nella sua conformità alla dignità della persona:

«Qualunque lavoro non ha una dignità o un valore in se stesso in modo assoluto, ma è sempre relativo, cioè in relazione a ciò che ne è l’unità di misura, l’uomo. Un lavoro può essere ambito in rapporto al guadagno, al potere, al prestigio, alla fama che procura, ma non sarà dignitoso se chiede al lavoratore di rinunciare ai valori che rendono la vita degna di essere vissuta: guadagnare la vita ma perdere le ragioni del vivere è indegno dell’uomo perché non lo realizza nella sua umanità»6.

Per riscoprire il criterio del lavoro dignitoso, è quanto mai necessaria oggi una grande opera educativa, che aiuti a superare quella cultura dominante che deforma la visione e il senso della vita e giunge a corrompere la coscienza morale e considera ogni ambito dell’esistenza non più in relazione con la dignità della persona.

  1. Vocazione al lavoro nel Progetto Policoro

Il Progetto Policoro, attraverso una formazione continua verso una nuova mentalità nei confronti del lavoro, aiuta i giovani a scoprire la propria occupazione come realizzazione di sé, vocazione allo sviluppo integrale, servizio al bene comune, cooperazione all’opera creativa di Dio. I giovani, che risentono sempre più di un lavoro flessibile, precario o assente, trovano nel Progetto la fiducia finora negata, l’accompagnamento costante, il segnale concreto di rinnovamento e di speranza che ha loro per protagonisti7.

Anche nella Caritas in veritate si sottolinea il nesso diretto tra povertà e disoccupazione come conseguenza della mancata attenzione alla dignità del lavoro umano, perché l’uomo viene limitato nella possibilità di esprimersi e vengono svalutati i diritti che scaturiscono dal lavoro, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona del lavoratore e della sua famiglia. L’essere estromessi dal lavoro per lungo tempo o anche la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. Nei percorsi educativi del Progetto si ribadisce che «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale»8.

Il Progetto, con il suo percorso formativo e l’interazione proficua tra Uffici pastorali e Associazioni, permette di comprendere che: avoriamo “per qualcuno”, con professionalità e competenza, per noi stessi, la famiglia, la società, la Chiesa, il nostro Dio; lavoriamo “con qualcuno”, stiamo accanto ad ogni persona, agli operai, ai disabili, agli immigrati condividendo i problemi, le soluzioni e le risorse, donando noi stessi agli altri nella fede dell’unico Padre che ci rende figli; lavoriamo “con gratuità e amore”, vivendo il nostro lavoro come dono di noi stessi, mettendo a frutto i nostri talenti nella fiducia, nella fedeltà alle persone, alle città, alla Chiesa, a Dio.

Anche i Vescovi italiani, nel Documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno, hanno riconosciuto il valore essenzialmente educativo del Progetto Policoro e il suo essere segno di speranza per i giovani:

«Tra i segnali concreti di rinnovamento e di speranza che hanno per protagonisti i giovani, vogliamo citare in particolare per tutti il Progetto Policoro. […] I suoi esiti sono incoraggianti per il numero di diocesi coinvolte e di imprese sorte, per lo più cooperative, alcune delle quali lavorano con terreni e beni sottratti alla mafia. […] Esso ha una finalità essenzialmente educativa: ha reso possibile la formazione di animatori di comunità e ha promosso iniziative di scambio e forme di reciprocità»9.

Educare al lavoro nel Progetto Policoro non significa solo istruire o formare, ma promuovere lo sviluppo e la formazione completa della persona guidati da una visione integrale dell’uomo. Si educa al lavoro nella consapevolezza che la disoccupazione può essere sconfitta solo se si creano posti di lavoro, solo se esistono imprenditori che scommettono sulla riuscita della loro impresa. Impresa caratterizzata da una responsabilità sociale che abbia riguardo non solo dei proprietari, ma consideri anche gli interessi dei lavoratori, dei clienti, dei fornitori e, non ultima, della comunità territoriale.

Anche per il Progetto Policoro fare impresa significa stabilire un patto per la crescita del territorio e vivere il lavoro secondo la prospettiva cristiana del rapporto con la festa: il lavoro trova compimento nel riposo e nella festa, la festa restituisce al lavoro il volto del servizio per la comunità e di crescita personale.

Si educano i giovani a collaborare tra loro e con gli adulti, a vivere in armonia reciproca un processo di autentico sviluppo umano animato dalla presenza solidale, dall’accompagnamento premuroso e dalla formazione integrale. Si agisce in campo economico e finanziario in maniera etica, nella legalità e nella responsabilità, per creare nei diversi territori le necessarie condizioni per uno sviluppo delle persone: «Se l’amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una previdente e giusta convenienza, come indicano, in maniera significativa, molte esperienze nel campo della cooperazione di credito»10.

  1. L’albero, la creta e la porta

Tre immagini ci aiutano a parlare di lavoro come vocazione nel Progetto Policoro: l’albero, la creta e la porta: Comprendiamo che l’albero che noi diverremo è già tutto dentro il seme. Il Regno di Dio «è simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami» (Lc 13,19). Come l’albero, che è simbolo per eccellenza della crescita, la vocazione cresce in noi perché discende sempre più in noi, si approfondisce, fa emergere sempre più le sue radici nell’intimo del nostro essere. Più comprendiamo noi stessi e più cresce la nostra vocazione.

La creta di cui siamo fatti ha bisogno di essere animata dal soffio di Dio: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Senza un lavorio incessante su noi stessi la vita perde la sua direzione, il suo senso. Saint-Exupéry ci ammonisce: «Adesso la creta di cui sei composto si è seccata, si è indurita, e nessuno potrebbe ridestare in te il musicista addormentato, o il poeta, l’astronomo che forse c’erano all’inizio».

La porta aperta ci ricorda le numerose opportunità che abbiamo nella vita. Gesù ci dice: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,9). Kafka, ne Il Castello, racconta di un contadino che, chiesta udienza all’imperatore, attende per tutta la vita di fronte alla porta aperta del castello senza mai entrare. Occorre varcare la porta della vita per cogliere le diverse opportunità: quella porta è stata aperta solo per te, ma tu non l’hai varcata. Si deve scommettere su se stessi per essere afferrati dalla propria vocazione.

  1. Viviamo il nostro lavoro…

In sintesi, anche nel Progetto Policoro il lavoro come vocazione è legato alla vita della persona, è compito unico e irripetibile, ciò che non facciamo noi non lo farà nessuno; è vita della e per la persona, mai affare privato, perché aperto a una comunità più ampia, agli altri, a Dio; è servizio nella città e nella società, missione nel mondo; è costruzione di un progetto che parte da lontano (dal passato), si incarna nell’oggi (vive il presente) e proteso al domani (verso e per il futuro); è dono di sé a Dio e quindi agli altri nella gratuità delle opere e nella fedeltà dei giorni. Le parole che il Santo Padre si è degnato di rivolgerci nell’Udienza del 25 aprile 2012 costituiscono una precisa guida per un rinnovato impegno per l’evangelizzazione e l’educazione dei giovani lavoratori dell’intero Paese: «Saluto i partecipanti al corso “Progetto Policoro” e faccio voti che esso, alla luce dei valori evangelici, possa sostenere quanti si adoperano in favore delle problematiche lavorative delle giovani generazioni». Viviamo il nostro lavoro come vocazione, nella certezza che la nostra vocazione e il nostro futuro si incrociano nel desiderio di vivere bene, anche nel lavoro e ogni giorno, il Vangelo di Gesù.