N.06
Novembre/Dicembre 2013

Caravaggio. Adorazione dei pastori

 

 

In seguito alla sua fuga dalle prigioni di Malta, Caravaggio aveva trovato approdo a Siracusa, grazie all’ospitalità del pittore Mario Minniti, secondo il racconto delle Vite di Francesco Susinno del 1724. In Sicilia era stato subito ben accolto, e aveva immediatamente avuto occasione di dipingere capolavori quali il Seppellimento di santa Lucia per la Chiesa omonima di Siracusa, la Risurrezione di Lazzaro, destinata alla Chiesa dei Crociferi a Messina. In seguito il senato della città di Messina commissiona a Caravaggio l’Adorazione dei pastori per l’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria della Concezione retta dai padri cappuccini; promettendo all’artista il compenso di mille scudi, una delle più alte cifre della sua carriera. È evidente che ormai Caravaggio gode della massima considerazione e le sue opere sono ambite quali insuperabili capolavori.

L’Adorazione dei pastori è un capolavoro, in cui il tradizionale tema natalizio è narrato con grande poesia e con grande capacità di rispondenza all’atmosfera francescana cui è destinato. Caravaggio rappresenta il momento in cui i pastori sono giunti davanti al Bambino e a sua Madre, ma è come se risuonasse nell’espressione dei loro volti la voce angelica udita nella notte, e già si sentissero le loro voci di lode e di gloria sciolte nel ritorno. In quel momento però tutto tace, si percepisce il silenzio di quell’istante, che è il silenzio profondo e denso proprio dei momenti di adorazione. Ciascuno parla nel proprio cuore, e anche Maria medita nel proprio cuore tutto ciò che sta accadendo, un evento del tutto nuovo innanzitutto per lei.

Caravaggio pone Maria al centro della rappresentazione e la pone sdraiata. Questa posizione è molto interessante, perché ricorda la tradizione delle Natività dipinte in ambito bizantino e italiano tra il Duecento e il Trecento. Caravaggio sicuramente aveva avuto modo a Roma di osservare i mosaici del Cavallini in Santa Maria in Trastevere e doveva essere stato colpito dalla composizione della Natività, in cui Maria appare appunto sdraiata, accanto a Gesù posto in una mangiatoia a forma di sarcofago, come se già nella sua nascita

ci fosse il presagio della morte. La Vergine ancora non ha udito la profezia di Simeone, ma il suo cuore è già pieno di domande. Caravaggio, dunque, inserisce nel proprio complesso linguaggio anche fonemi tratti dalla classicità medievale, e riesce a porli in analogia con la classicità romana e con la classicità di Michelangelo Buonarroti. In un’unica sintassi rappresentativa riesce ad organizzare tutta la composizione, in cui, grazie alle caratteristiche bizantine e a quelle del Cavallini, aleggia un’atmosfera da “natività dolente”, in armonia peraltro con la tradizione delle meditazioni funebri proprie della spiritualità cappuccina.

Maria osserva le carni tenere del suo bambino, come ne osserverà le carni esangui nella tela della Deposizione. Caravaggio riesce a rappresentare la realtà dell’amore materno, la tenerezza che Maria sente per suo figlio che, come ogni madre, ha portato nel grembo e ha accolto tra le braccia. Nell’opera di Caravaggio ritroviamo la stessa atmosfera in cui l’eccezionalità della regalità divina vive di piccoli gesti umili e quotidiani. Sono, infatti, rappresentati il bue e l’asinello, gli strumenti di lavoro di Giuseppe, una sacca con il pane che si intravede tra i panni che la coprono: una dolcissima naturalità, quell’immagine di povera famiglia che dovette presentarsi agli occhi dei pastori, nello splendore della presenza di Dio. Il Re dei re, i cui panni regali sono poveri cenci, e la Regina degli angeli, il cui trono è una sella di asino o un giaciglio di paglia: con questi elementi si fa percepibile l’eccezionalità straordinaria dell’incarnazione del Verbo Divino nel grembo santo di Maria Vergine. La presenza del pane conferma quest’atmosfera di realtà visibili che splendono di luce invisibile: con il pane Caravaggio allude alla realtà dell’Eucaristia, vero pane che si fa vero corpo di Gesù.

La realtà della divinità di Gesù trasforma gli uomini, così i poveri pastori diventano dei mistici adoratori, i loro occhi riescono a vedere la luce del Bimbo Divino, perché da lui sono illuminati. I poveri sono i protagonisti privilegiati delle opere di Caravaggio, la cifra della sua interpretazione dell’umanità, in cui rivela peraltro un animo sensibilmente partecipe del messaggio cristiano: le creature mancano di tutto e solo in Dio possono sussistere, così i poveri pastori trovano la loro ricchezza nell’adorare il Bambino, in lui trovano la luce nella notte, il calore nel freddo, il cibo nella fame, la risposta alle domande.

Caravaggio allestisce un vero presepe, intimo e ascetico, secondo l’autentica tradizione francescana. Ricordiamo che il presepe allestito da San Francesco a Greggio, nella notte di Natale del 1223, è un importante avvenimento anche per l’arte cristiana, manifestando la volontà di rendere presente e vivibile la realtà evangelica nella rappresentazione, così come l’arte con i propri strumenti rende visibile l’invisibile e rende contemporaneo il passato.

Con quest’opera Caravaggio prosegue il suo cammino nelle possibilità retoriche dell’arte, nella ricerca di immagini che sappiano coinvolgere lo spettatore fino a renderlo protagonista dell’evento storico che la pittura riesce a rendere presente. Gli osservatori diventano pastori tra i pastori e adorano quel Bimbo e di nuovo nel silenzio accade la notte luminosa del Natale. Caravaggio riesce così a fare vera arte sacra, destinata alla liturgia e alla preghiera; come vuole la tradizione, l’arte cristiana deve essere lex credendi, orandi, vivendi et ornandi. Gli osservatori si possono specchiare nei quadri di Caravaggio, riconoscere la propria storia e le proprie persone e trovarne il senso che emerge dall’essere inseriti in una composizione che ha un centro e una direzione, che, nel caso dell’Adorazione dei pastori, sono Gesù e la luce che da lui proviene agli sguardi dei pastori. I pastori dipinti da Caravaggio sono contemporaneamente spettatori e protagonisti, così com’è spettatrice e protagonista ogni persona che si pone in adorazione.

L’opera, inizialmente destinata ad un luogo liturgico gestito dai padri cappuccini, la possiamo oggi ammirare nel Museo Regionale di Messina, ma ancora è capace di far piegare le ginocchia in un moto spontaneo di preghiera. Caravaggio riesce a dipingere un’opera percorsa di sacralità e dignità, del tutto adatta alla sua collocazione, ma soprattutto riesce con fine sensibilità ad essere vicino alla spiritualità francescana, alla lode per ogni realtà presente nel mondo, a quell’amore così grande da voler vedere anche con gli occhi del corpo la meraviglia della nascita del Dio Bambino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In seguito alla sua fuga dalle prigioni di Malta, Caravaggio aveva trovato approdo a Siracusa, grazie all’ospitalità del pittore Mario Minniti, secondo il racconto delle Vite di Francesco Susinno del 1724. In Sicilia era stato subito ben accolto, e aveva immediatamente avuto occasione di dipingere capolavori quali il Seppellimento di santa Lucia per la Chiesa omonima di Siracusa, la Risurrezione di Lazzaro, destinata alla Chiesa dei Crociferi a Messina. In seguito il senato della città di Messina commissiona a Caravaggio l’Adorazione dei pastori per l’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria della Concezione retta dai padri cappuccini; promettendo all’artista il compenso di mille scudi, una delle più alte cifre della sua carriera. È evidente che ormai Caravaggio gode della massima considerazione e le sue opere sono ambite quali insuperabili capolavori.

L’Adorazione dei pastori è un capolavoro, in cui il tradizionale tema natalizio è narrato con grande poesia e con grande capacità di rispondenza all’atmosfera francescana cui è destinato. Caravaggio rappresenta il momento in cui i pastori sono giunti davanti al Bambino e a sua Madre, ma è come se risuonasse nell’espressione dei loro volti la voce angelica udita nella notte, e già si sentissero le loro voci di lode e di gloria sciolte nel ritorno. In quel momento però tutto tace, si percepisce il silenzio di quell’istante, che è il silenzio profondo e denso proprio dei momenti di adorazione. Ciascuno parla nel proprio cuore, e anche Maria medita nel proprio cuore tutto ciò che sta accadendo, un evento del tutto nuovo innanzitutto per lei.

Caravaggio pone Maria al centro della rappresentazione e la pone sdraiata. Questa posizione è molto interessante, perché ricorda la tradizione delle Natività dipinte in ambito bizantino e italiano tra il Duecento e il Trecento. Caravaggio sicuramente aveva avuto modo a Roma di osservare i mosaici del Cavallini in Santa Maria in Trastevere e doveva essere stato colpito dalla composizione della Natività, in cui Maria appare appunto sdraiata, accanto a Gesù posto in una mangiatoia a forma di sarcofago, come se già nella sua nascita

ci fosse il presagio della morte. La Vergine ancora non ha udito la profezia di Simeone, ma il suo cuore è già pieno di domande. Caravaggio, dunque, inserisce nel proprio complesso linguaggio anche fonemi tratti dalla classicità medievale, e riesce a porli in analogia con la classicità romana e con la classicità di Michelangelo Buonarroti. In un’unica sintassi rappresentativa riesce ad organizzare tutta la composizione, in cui, grazie alle caratteristiche bizantine e a quelle del Cavallini, aleggia un’atmosfera da “natività dolente”, in armonia peraltro con la tradizione delle meditazioni funebri proprie della spiritualità cappuccina.

Maria osserva le carni tenere del suo bambino, come ne osserverà le carni esangui nella tela della Deposizione. Caravaggio riesce a rappresentare la realtà dell’amore materno, la tenerezza che Maria sente per suo figlio che, come ogni madre, ha portato nel grembo e ha accolto tra le braccia. Nell’opera di Caravaggio ritroviamo la stessa atmosfera in cui l’eccezionalità della regalità divina vive di piccoli gesti umili e quotidiani. Sono, infatti, rappresentati il bue e l’asinello, gli strumenti di lavoro di Giuseppe, una sacca con il pane che si intravede tra i panni che la coprono: una dolcissima naturalità, quell’immagine di povera famiglia che dovette presentarsi agli occhi dei pastori, nello splendore della presenza di Dio. Il Re dei re, i cui panni regali sono poveri cenci, e la Regina degli angeli, il cui trono è una sella di asino o un giaciglio di paglia: con questi elementi si fa percepibile l’eccezionalità straordinaria dell’incarnazione del Verbo Divino nel grembo santo di Maria Vergine. La presenza del pane conferma quest’atmosfera di realtà visibili che splendono di luce invisibile: con il pane Caravaggio allude alla realtà dell’Eucaristia, vero pane che si fa vero corpo di Gesù.

La realtà della divinità di Gesù trasforma gli uomini, così i poveri pastori diventano dei mistici adoratori, i loro occhi riescono a vedere la luce del Bimbo Divino, perché da lui sono illuminati. I poveri sono i protagonisti privilegiati delle opere di Caravaggio, la cifra della sua interpretazione dell’umanità, in cui rivela peraltro un animo sensibilmente partecipe del messaggio cristiano: le creature mancano di tutto e solo in Dio possono sussistere, così i poveri pastori trovano la loro ricchezza nell’adorare il Bambino, in lui trovano la luce nella notte, il calore nel freddo, il cibo nella fame, la risposta alle domande.

Caravaggio allestisce un vero presepe, intimo e ascetico, secondo l’autentica tradizione francescana. Ricordiamo che il presepe allestito da San Francesco a Greggio, nella notte di Natale del 1223, è un importante avvenimento anche per l’arte cristiana, manifestando la volontà di rendere presente e vivibile la realtà evangelica nella rappresentazione, così come l’arte con i propri strumenti rende visibile l’invisibile e rende contemporaneo il passato.

Con quest’opera Caravaggio prosegue il suo cammino nelle possibilità retoriche dell’arte, nella ricerca di immagini che sappiano coinvolgere lo spettatore fino a renderlo protagonista dell’evento storico che la pittura riesce a rendere presente. Gli osservatori diventano pastori tra i pastori e adorano quel Bimbo e di nuovo nel silenzio accade la notte luminosa del Natale. Caravaggio riesce così a fare vera arte sacra, destinata alla liturgia e alla preghiera; come vuole la tradizione, l’arte cristiana deve essere lex credendi, orandi, vivendi et ornandi. Gli osservatori si possono specchiare nei quadri di Caravaggio, riconoscere la propria storia e le proprie persone e trovarne il senso che emerge dall’essere inseriti in una composizione che ha un centro e una direzione, che, nel caso dell’Adorazione dei pastori, sono Gesù e la luce che da lui proviene agli sguardi dei pastori. I pastori dipinti da Caravaggio sono contemporaneamente spettatori e protagonisti, così com’è spettatrice e protagonista ogni persona che si pone in adorazione.

L’opera, inizialmente destinata ad un luogo liturgico gestito dai padri cappuccini, la possiamo oggi ammirare nel Museo Regionale di Messina, ma ancora è capace di far piegare le ginocchia in un moto spontaneo di preghiera. Caravaggio riesce a dipingere un’opera percorsa di sacralità e dignità, del tutto adatta alla sua collocazione, ma soprattutto riesce con fine sensibilità ad essere vicino alla spiritualità francescana, alla lode per ogni realtà presente nel mondo, a quell’amore così grande da voler vedere anche con gli occhi del corpo la meraviglia della nascita del Dio Bambino.