N.01
Gennaio/Febbraio 2015

Rap: Musica di vita

È un percorso quello che vogliamo fare: un cammino dentro e attraverso i contesti abitati dai giovani, nei mondi della musica e delle immagini che l’accompagnano.
Ci piacerà lasciarci interrogare, interessare, provocare da spazi di vita che non ci appartengono immediatamente. Ameremo rintracciare il senso dell’oggi dove i ragazzi trovano occasioni di incontro e di domanda.
Proprio lì ci fermeremo. Per ascoltare, per capire un po’ di più e osservare con la curiosità che si accende in un educatore quando incontra l’uomo proteso nella ricerca del bene per sé e per gli altri.

Dove, oggi, le parole hanno veramente un peso? In quale contesto l’attenzione alla sostanza e alla forma è ai massimi livelli? Cosa può spingere i ragazzi a capire, interpretare e partecipare al mondo in cui vivono? La cultura hip hop, in questi anni, si è diffusa con forza anche in Italia e i rapper hanno coinvolto i giovani con uno strumento forte di espressione, critica sociale e partecipazione. E l’attenzione alle parole, la riflessione sul modo giusto per raccontare quello che a ciascuno sta a cuore, qui è ai massimi livelli.

Amir Issaa
Figlio di un immigrato egiziano e di una donna italiana, nato e cresciuto a Roma nel quartiere di Torpignattara, in una situazione economica molto precaria, Amir Issaa fin da piccolo ha sentito il bisogno di “dire delle cose”, perciò si è avvicinato alla cultura hip hop nella sua città nei primi anni Novanta, prima come breaker e poi come writer nella crew The Riot Vandals, tra le più conosciute nella capitale.
Il rap affascina per la sua immediatezza. Il rap spesso è la musica di chi non ha i soldi per studiare uno strumento. Non c’è bisogno di saper cantare perché il rap è parlato. Non a caso è la forma espressiva di tutte le periferie del mondo. Quando Amir ha iniziato a sentire la musica rap, aveva tante cose da dire, c’erano aspetti della vita che non si spiegava: il disagio economico, il padre in carcere, la mamma tutto il giorno a lavorare nelle case degli altri come donna delle pulizie. «Si dice che l’arte nasce dal dolore e nel mio caso è sicuramente vero». Afferma in un’intervista.
La strada del rap, oltre che tenerlo lontano dai pericoli della strada, lo ha portato a collaborare, negli anni, con un lunga serie di nomi noti tra i rapper italiani, fino al primo lavoro da solista dato alle stampe nel 2006 con il titolo Uomo di Prestigio, prodotto dall’etichetta indipendente canadese Prestigio Records e pubblicato successivamente dalla Emi/Virgin nel luglio del 2006, anticipato dall’hit single Shimi, riscuotendo un ottimo successo.
Da qui la sua carriera svolta: Amir trasforma la sua passione in una vera e propria professione, pubblicando, negli anni, decine di progetti tra mixtapes e album ufficiali. Attualmente è considerato uno dei rapper italiani più credibili ed influenti.
Nel 2012 compone insieme al team di musicisti The Ceasars, la colonna sonora del film Scialla! di Francesco Bruni, entrando in nomination ai David di Donatello e ai Nastri D’Argento come miglior canzone da film dell’anno e, fino ad ora, è l’unico rapper ad aver calcato il red carpet del festival del cinema di Venezia e ad essere ricevuto in una cerimonia ufficiale dal Presidente della Repubblica Italiana, a cui dedica il brano Caro Presidente, un video-appello in cui si invitano le Istituzioni ad affrontare il tema dello Ius soli.
Partecipa anche come co-autore delle musiche e attore al docufilm La Luna che vorrei di Francesco Barnabei, un’opera cinematografica tesa a valorizzare il territorio romano del VI Municipio, in cui Amir è cresciuto e dove sono state scritte molte delle sue canzoni. Nel dicembre del 2013 l’emittente La 7 lo invita ad essere protagonista di un’intera puntata del format Guerrieri – Storie di chi non si arrende, condotto dal musicista Saturnino Celani; qui Amir si è messo a nudo, svelando la sua vita personale.
Nel 2014 gli viene affidata la direzione artistica del progetto Potere alle Parole in collaborazione con RBS/Feltrinelli, l’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e l’associazione Il Razzismo è una brutta storia. Il progetto ha come obiettivo quello di portare nelle scuole dei laboratori di musica rap per parlare con i ragazzi di razzismo e discriminazioni. È un progetto pilota di laboratori educativi musicali di destrutturazione degli stereotipi e dei pregiudizi alla base delle discriminazioni per origine, orientamento sessuale, identità di genere, convinzioni personali, disabilità. Salgono in cattedra i rapper: Amir, Ghemon, Kiave, Mad Buddy, Mistaman. Non si tratta di una lezione, una spiegazione, un’imposizione, ma di una riflessione collettiva.
Amir ha raccontato più volte che il rap è stato la sua strada per uscire da un destino già scritto; gli ha dato il modo di esprimersi e di parlare del proprio difficile vissuto. Anche per altri ragazzi può essere così: raccontare le proprie esperienze è la via migliore per capire che sono condivise.
Le parole e le storie sono importanti e importante è l’uso che ne facciamo. I giovani ci consegnano l’attenzione sulle parole che creano la visione del mondo e possono cambiarlo. Le parole definiscono e trasformano. Si tratta di cercare insieme le parole giuste!

 Rap per gli italiani di seconda generazione

Guerrieri

 

Guerrieri è il pezzo di Amir nato dopo la sua partecipazione al programma Guerrieri – Storie di chi non si arrende.
È qualcosa di più di una canzone. È un progetto pensato, che accomuna e include.
L’idea è quella di mettere per rime le storie di tanti italiani che combattono la propria battaglia contro le difficoltà del momento.
Sopra i tetti che governano il paesaggio urbano e suburbano, il giovane artista si mette dalla parte di chi lotta tutti i giorni, di chi viene soffocato dai disordini del quotidiano e, nonostante tutto, prova a reagire, lottando contro ogni genere di avversità.
Protagonisti delle immagini del video e delle rime del testo sono i guerrieri di ogni giorno: operai, studenti, famiglie, disoccupati e tutte quelle persone che affrontano le loro piccole e grandi sfide del loro tempo.
«I guerrieri per me sono tutte quelle persone comuni che sanno sognare, che riescono ancora a sognare – racconta il rapper – anche in un momento difficile. Chi riesce a portare a casa il pane, ma anche chi riesce a raggiungere i suoi obiettivi con l’arte e la creatività».

Sguardo rivolto
Nel video, Amir è sui tetti, tende le mani al cielo, alza lo sguardo: è verticale!
La verticalità è della persona rivolta, attenta a ciò che cerca, e dà il senso autentico della sua fecondità. Consapevole del fatto che il processo di gestazione è per sua natura lento, si orienta e fa la sua parte, anticipando nel cuore la gioia di una riuscita, la realizzazione di un sogno. Partecipare così alla vita è cammino di vita vera. Se i desideri della vita fossero soltanto una meta remota, consegnerebbero desolazione e stanchezza, mentre la vita vera si anticipa nella quotidianità, attraverso il modo in cui ci muoviamo negli eventi.
Le persone feconde, i guerrieri, non perdono tempo a lamentarsi o a disperarsi, non hanno tempo per questo! Vivono orientando il loro modo di esistere affinché sia vitale, costruttivo, affinché custodisca la vita stessa, affinché l’energia si canalizzi e offra al mondo nuovo l’opportunità di crescere.
Quando si ha questo sguardo, l’impegno ha un respiro che non nasce dalla delusione e neppure dalla volontà di potenza. È uno sguardo di speranza che anima l’azione e aiuta a prendere le distanze dall’immota e giudicante postazione dello spettatore. Perciò è necessario e importante dirigersi verso una novità autentica che è vita piena e sperimentabile nell’oggi che è ogni giorno. Nel tempo in cui normalmente viviamo, è facile avvertire un’oscura sollecitazione a rimandare le scelte e le novità a quando ci saranno le condizioni, quando la maggioranza sarà dalla nostra parte, quando ci sarà un’altra situazione… È la negazione della vita, il suo abbruttimento, la sua implosione.
La vita è viva nella sua forza anticipatrice: oggi deve essere vissuto il desiderio che abita il cuore, il sogno, il progetto. Si tratta di prenderci sul serio, di considerare attentamente le tensioni della nostra anima per essere sinergeti, con-creatori del compimento, dell’inveramento di una promessa che è inscritta in noi, nel tratto di esistenza che ci è dato.

Senza medaglia
Noi, ogni giorno in battaglia. Noi, senza medaglia.
C’è tenerezza nel grido di Amir. C’è il tenerissimo orgoglio di chi vuole esserci nella vita, di chi esige d’essere protagonista della sua vita e lo esige per se stesso, anzitutto. La tenerezza è una dimensione profondamente raffinata dell’animo e dice un lungo cammino di riconciliazione fatto nei confronti di se stessi e degli altri. Bisogna che abbiamo accoglienza e tenerezza con noi, con i nostri limiti, con le ferite del passato e del presente. Se il nostro atteggiamento abituale non va oltre l’attesa continua di risarcimento, rischiamo di non conoscere il gusto buono della serenità; ci apparterranno solo toni mal disposti, aggressivi e colpevolizzanti verso noi stessi e verso le persone che fanno parte della nostra vita.
La tenerezza fa capaci di accogliere, di comprendere, di perdonare; immette un’energia che sana le dinamiche aggressive e competitive.
Vivere con tenerezza significa avere un atteggiamento di benevolenza anche verso chi neppure si accorge della nostra esistenza, verso chi grossolanamente calpesta le nostre attese e i nostri diritti.
Non significa non chiedere il dovuto rispetto, la giusta ricompensa, il necessario che fa dignitosa l’esistenza, ma dalla risposta dell’altro non dipende la solidità della nostra identità: è lo sguardo che io do a me stesso, la stima che mi garantisco, il rispetto che mi assicuro in quel che dico e faccio che fa la mia vita autentica e coerente.
Si genera così la fiducia nella positività e nel bene che crediamo avvolga la nostra esistenza e quella di ogni uomo.
Il riconoscimento? La pace interiore. Nessuna medaglia.

Corri
Correre e pazientare.
Correre è pazientare.
“Tutto è portare a termine
e poi generare.
Lasciar compiersi ogni impressione
e ogni germe d’un sentimento dentro di sé,
nel buio, nell’indicibile,
nell’inconscio irraggiungibile
alla propria ragione,
e attendere
con profonda umiltà e pazienza
l’ora del parto d’una nuova chiarezza:
questo solo si chiama vivere da artista:
nel comprendere come nel creare.
Qui non si misura il tempo,
qui non vale alcun termine
e dieci anni son nulla.

non calcolare e contare;
maturare come l’albero,
che non incalza i suoi succhi
e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate
possa venire.
Ché l’estate viene.

Ma viene solo ai pazienti,
che attendono e stanno
come se l’eternità giacesse avanti a loro,
tanto sono tranquilli e vasti e sgombri
d’ogni ansia.

Io imparo ogni giorno,
l’imparo tra i dolori,
cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”.
(R.M. Rilke, Lettera a un giovane poeta)