N.02
Marzo/Aprile 2018

La tappa propedeutica

Il dono della vocazione presbiterale

La tappa propedeutica

L’esigenza di una «qualche preparazione previa».

Il viaggio di ripresa della nuova Ratio prosegue, cercando di esplorare la sua direttrice centrale, vale a dire l’intuizione della rilettura dell’unico itinerario di formazione, all’interno della categoria discepolare. «Lungo tutta la vita –vi leggiamo, infatti- si è sempre “discepoli”, con l’anelito costante a “configurarsi” a Cristo, per esercitare il ministero pastorale»[1]. Il primo passo di questo cammino, all’interno della formazione iniziale, è, come noto, quello della «tappa propedeutica».

L’esigenza di trovare forme di accompagnamento prima dell’accesso al Seminario Maggiore si è fatta sempre più viva nella recente coscienza ecclesiale. L’invito più autorevole è apparso, ormai oltre venticinque anni orsono, nell’esortazione apostolica Pastores dabo vobis. In quella occasione Giovanni Paolo II affermava: «La finalità e la configurazione educativa specifica del Seminario Maggiore esigono che i candidati al sacerdozio vi entrino con una qualche preparazione previa. Una simile preparazione non poneva problemi particolari, almeno sino a qualche decennio fa, allorquando i candidati al sacerdozio provenivano abitualmente dai seminari minori e la vita cristiana delle comunità ecclesiali offriva facilmente a tutti, indistintamente, una discreta istruzione ed educazione cristiana»[2]. La considerazione di un orizzonte significativamente trasformato, l’obiettiva varietà degli scenari multiculturali di riferimento, e, all’interno di essi, della vita dei singoli, chiedevano, pertanto, fin da allora, di dare avvio «ad una fase ancora di studio e di sperimentazione». L’intento era quello di poter definire con migliore esattezza i contorni di questo   periodo di «preparazione previa o «periodo propedeutico»[3], descrivendone meglio il tempo, il luogo, la forma, i temi e il loro coordinamento con gli anni successivi della formazione nel seminario.

 

Vita spirituale e conoscenza di sé.

A distanza di anni quella trasformazione s’è fatta ancora più evidente e cruciale, al punto che non è possibile evaderla. Anche per questo la Chiesa ha sentito di indire un Sinodo per istruire meglio la questione, dal titolo emblematico: i giovani fede e il discernimento vocazionale. In effetti, oggi la soglia della giovinezza come del resto, la vita più adulta trovano un non facile inquadramento. Permangono i segnali di un mondo interiore smarrito, indistinto, alla ricerca di una direzione e di un vento favorevole, incline allo spontaneismo o, talora, chiuso in diverse forme di rigidità. La faticosa percezione di un’unità interiore è diventata più evidente. L’esistenza raccoglie spesso elementi disparati, arbitrariamente accostati gli uni agli altri, come una figura frammentata, piena di riferimenti, lontani dalla percezione di un’unità personale. Non si tratta solo di un problema, ma di una realtà da leggere e da accompagnare. Non è mai stato facile e non lo è tuttora crescere verso la libertà, raccogliere attorno ad una disciplina spirituale i propri  sentimenti e le proprie emozioni, in vista di un loro promettente indirizzo verso forme durevoli del volere, piuttosto che verso instabili discontinuità.

È in questa luce, mi pare che la nuova Ratio descrive l’intento essenziale della tappa propedeutica: «l’obiettivo principale consiste nel porre solide basi alla vita spirituale e nel favorire una maggiore conoscenza di sé per la crescita personale»[4].

 

La proposta della comunità vocazionale “Il Mandorlo”

In questi anni molti seminari si sono cimentati, secondo le proprie radici e i propri ineludibili contesti ad immaginare e proporre sentieri concreti per questa inedita tappa. L’esigenza di condividere esperienze e proposte è diventata assai importante per tutti, in vista di buoni pensieri scambiati e nuove immaginazioni. La proposta della comunità vocazionale “Il Mandorlo” della Diocesi di Vicenza è una di queste nuove possibili immaginazioni da condividere. Con Don Andrea Dani, il responsabile, si è provato a descriverne l’intuizione e il progetto.

 

Anzitutto, come è nata la vostra proposta? Da quale situazione e da quale intuizione?

Nata dalla riflessione da parte della équipe dei formatori del Seminario di Vicenza, nella seconda metà degli anni ’80, durante l’episcopato di Mons. Arnoldo Onisto e dal confronto con altre esperienze presenti nella Chiesa del Triveneto, voleva essere un luogo ed un tempo di discernimento per quei giovani che si incamminavano verso la vocazione al Ministero presbiterale, provenendo da esperienze di cammini associativi, parrocchiali o personali, senza avere avuto contatti previ con il Seminario Minore. Nello stesso tempo, la Comunità voleva porsi come fulcro di un cammino vocazionale all’incrocio di attese e di urgenze che nascevano tra i giovani in quella fase storica ed ecclesiale, e che cercavano un punto di appoggio per la loro ricerca vocazionale.

Il suo nome -“Il Mandorlo”- si ispira al racconto di vocazione del profeta Geremia che, chiamato da Dio alla missione di annuncio della sua parola al popolo ribelle, vede un ramo di mandorlo, immagine che rinvia alla vigilanza, all’attenzione che Dio pone sulla parola che ha pronunciato per dare ad essa compimento (Ger 1,11-12).

Fino al 2016 la comunità ha trovato sede nel Seminario diocesano, pur in un ambiente autonomo e mantenendo una fisionomia propria. Dall’ottobre 2016, dopo alcuni anni di riflessione che hanno visto coinvolti non solo il direttore della comunità, ma anche il Rettore del Seminario e i responsabili della Pastorale vocazione e giovanile diocesana, si è concretizzato il trasferimento della comunità negli ambienti della parrocchia di Santa Caterina in città a Vicenza, accanto al Centro vocazionale Diocesano “Ora Decima”, dove dove trovano spazio diverse iniziative della pastorale diocesana per i giovani.

 

Da dove vengono i giovani che vi accendono, da quali esperienze?

Principalmente giungono da cammini di crescita nella fede e nel servizio maturati nei contesti delle loro parrocchie, talvolta di Associazioni o Movimenti ecclesiali. A volte bussano alla porta anche giovani completamente disancorati da esperienze significative di maturazione nella fede, motivo per cui anche l’accoglienza in comunità non è immediatamente data per scontata. Una esperienza privilegiata di pre-discernimento per diversi giovani che giungono al Mandorlo è il cammino vocazionale diocesano “Sichem”, con incontri mensili, della durata di un anno, proposto a giovani maschi e femmine.

 

Come si articola la proposta di cammino?

Il cammino propedeutico si propone di accompagnare i giovani in una profonda immersione nel mistero di Cristo, nell’assimilazione degli elementi fondamentali della vita spirituale, e nel consolidamento di una maturità umana di forte impronta oblativa. Inoltre, finalità dell’esperienza è anche quella di presentare la figura del presbitero secondo la sensibilità della Chiesa, completare la conoscenza dei principali dati della fede e consolidare una base culturale sufficiente per affrontare gli studi teologici.

La durata di questo percorso è ordinariamente di un anno, da settembre a giugno, senza per questo precludere la possibilità di un tempo più prolungato di sosta in comunità ad un giovane che ne facesse richiesta o al quale fosse suggerita dagli educatori. Evidentemente, di anno in anno la configurazione anche numerica di questa realtà cambia: stando alla storia della comunità, si è passati da gruppi di un minimo di due giovani ad un massimo di dodici.

Il presbitero educatore responsabile risiede stabilmente in comunità con i giovani, mentre il padre spirituale, che a Vicenza è il medesimo per tutte le comunità del Seminario Minore, Maggiore, e Propedeutica, è presente un giorno alla settimana per i colloqui di direzione spirituale, la celebrazione dell’Eucaristia e la condivisione di un pasto. Queste due figure educative accompagnano e guidano i giovani del percorso propedeutico e sono chiamati, facendo comunque riferimento al Rettore del Seminario e in costante confronto col resto dell’équipe educativa, ad offrire un discernimento e a pronunciarsi in merito all’ammissione dei candidati al Seminario Maggiore.

La comunità si costituisce, di anno in anno, di giovani diversi, e questo comporta un doveroso adeguamento dell’itinerario alla sempre nuova identità del gruppo. La provenienza dei giovani, la diversità di età, i loro percorsi scolastici e lavorativi precedenti, le sfumature, spesso le più varie, di appartenenza ecclesiale sono tutti elementi che concorrono a pensare e strutturare il cammino di formazione in modo adeguato, dinamico, capace cioè di tenere conto da una parte dell’imprescindibile elemento identitario proprio del presbitero che il Vangelo e la Chiesa di questo tempo consegnano, dall’altra della singolarità non omologabile della persona che si riscopre chiamata alla dedizione di sé alla causa del Regno nella forma del ministero ordinato.

Un punto di forza, almeno per le sue ricadute ad extra, mi pare quello della nuova collocazione della comunità: momenti di preghiera, condivisione e incontro che fanno parte del cammino della comunità sono costantemente aperti alla partecipazione di altri giovani, incentivando così le occasioni di sensibilizzazione e annuncio vocazionale. Nella nuova casa, sono inoltre frequenti le occasioni per ospitare giovani singoli o gruppi che desiderano condividere qualche momento della vita comune.

 

Quale esigenze raccogliete per rilanciare il cammino?

Alle porte del Sinodo dei vescovi sul tema I giovani, fede, discernimento vocazionale, in un tempo in cui anche la nostra Diocesi di Vicenza, su invito del nostro vescovo, si è posta in cammino di ascolto e incontro coi giovani, credo che anche l’esperienza della comunità vocazionale propedeutica che impegna ora il mio ministero sia chiamata a lasciarsi interrogare in merito al suo significato, al valore che porta con sé, ai suoi obiettivi. Riassumerei in due punti, o meglio orizzonti di riflessione, alcune esigenze importanti per il cammino nel nostro tempo.

 

  1. a) Una pastorale, e di conseguenza un modo di stare nella Chiesa, capaci di porsi in ascolto delle vie nuove ed inedite attraverso cui si esprime la fede dei giovani. Potrebbe essere un frutto buono del cammino sinodale, ovvero la presa di coscienza, da parte della comunità ecclesiale tutta, di modalità, paradigmi, categorie, domande, narrazioni ed espressioni della ricerca di fede da parte dei giovani che sono ormai molto diversi da quelli a cui siamo stati abituati.

 

  1. b) Una teologia della vocazione capace di recuperare pienamente il suo fondamento ecclesiale. La prima riflessione mi rimanda immediatamente a questa seconda. Credo non abbia senso una proposta di pastorale vocazionale che non abbia come primo protagonista la comunità cristiana, attraverso la quale si fa presente la chiamata di Dio a donare la vita dentro ad una logica ministeriale. Credo nel valore di una comunità vocazionale, di un Seminario, di altre esperienze analoghe nella misura in cui sono vissuti come un servizio alla chiesa locale di cui fanno parte. In tal senso penso che anche la riflessione teologica sulla vocazione nella Chiesa possa fare nuovi passi.