N.01
Gennaio/Febbraio 2019

Adrienne Von Speyr

Ogni vita è vocazione

Adrienne Von Speyr nasce in Svizzera nel 1902. Medico, si converte al cattolicesimo a 38 anni dopo una vicenda travagliata. Due volte sposa, poi vedova, nel 1944 fonda con Hans Urs von Balthasar l’Istituto Secolare “Comunità di San Giovanni”. Muore nel 1967. Per meglio conoscere Adrienne: Dalla mia vita. Autobiografia dell’età giovanile (Jaca Book, Milano 1989); E seguirono la sua chiamata. Vocazione e ascesi (Centro Ambrosiano, Milano 2010). Alcune citazioni sono tratte da: P. Catry, Le tracce di Dio, in La missione ecclesiale di Adrienne von Speyr (Jaca Book, Milano 1986).

 

Nella Gaudete et exultateEsortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo – Papa Francesco insiste sulla buona notizia della «santità della porta accanto»: uomini e donne di «ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9) la cui vita risalta inconfondibile per quella piena conformazione a Cristo che è la santità, prima e fondamentale vocazione di ogni battezzato. «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente», argomenta il papa, «nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati […] Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio» (cf. GE, 7).

Che la santità si riveli in dinamiche a noi così vicine – parliamo, infatti, di una santità dell’ordinario – non significa però ritenere ordinaria la vita santa: essa consiste, piuttosto, nel vivere in modo straordinario l’ordinario; nel riscrivere in versi epici la prosa del quotidiano. C’è dunque come una “misura” di perfezione, una risposta libera e piena al dono di Dio, una «forma di santità» affidata alla libertà di ognuno: attestata sia nei grandi santi sia nei santi rimasti nascosti agli occhi degli uomini, noti però a Dio conoscitore dei cuori.

Ancora bambina, la futura Santa Teresa di Lisieux si chiedeva come in cielo gli eletti potessero essere felici godendo di gradi di gloria diversi. Fu una sorella maggiore, Paolina, a guidarla nel rispondere: “Teresina, metti il bicchiere grande di papà accanto al tuo piccolissimo ditale e riempili entrambi d’acqua”. Detto, fatto. Poi la domanda: «Quale è più pieno?». Teresina dovette ammettere che erano colmi entrambi. Fuori di metafora, capì quella volta – e mai più dimenticò – che davanti a Dio i santi sono tutti diversi, ma nessuno è meno perfetto dell’altro: godono ciascuno d’una perfezione individua e irripetibile, perché «il buon Dio dà […] ai suoi eletti tanta gloria quanta possono riceverne e […] l’ultimo non avrà niente da invidiare al primo». Ecco: la santità è questa pienezza raggiunta nella piccolezza di ciascuno. Ormai carmelitana, citando un padre spirituale, Teresa avrebbe commentato che esistono fra le anime ancor più differenze che fra i volti. Infatti, due volti possono assomigliarsi, ma le anime non si ripetono. Come direbbe il Venerabile Servo di Dio Carlo Acutis (1991-2006) – giovane dell’Arcidiocesi di Milano che offrì le proprie sofferenze per il papa e la Chiesa – «tutti nasciamo come degli originali, anche se molti poi muoiono come fotocopie».

Adrienne von Speyr (1902-1967), teologa e mistica, insiste su questa «individualità essenziale», sul carattere invariabilmente personale e irripetibile d’ogni vita e dell’agire  di Dio in essa. Per lei, i santi sono concretissimi, vicini e portano fin dentro la visione beatifica fragilità e fatiche, resistenze e durezze e la parzialità stessa del proprio vissuto. Lo studioso e traduttore delle sue opere, padre Patrick Catry, scrive: «Nel cielo esistono cose che sconcertano Adrienne. […] Gli abitanti del cielo, all’occorrenza, […] rivelano ciò che non era giusto nel loro atteggiamento». Vi è chi ha patito un entusiasmo a perenne rischio di dispersione. Chi all’inizio intese la preghiera più come un parlare che un ascoltare accogliente. Chi rischiò di arenarsi in un voler bene ancora estraneo al dinamismo crocifiggente dell’estrema premura p er gli altri.

Nell’opera di Adrienne von Speyr – dove visione mistica e intuito orante confluiscono nel Libro di tutti i santi – «è il cielo stesso che prende l’iniziativa per rendere il fondo della santità più credibile. Tutto quanto è falsa moneta – persino presso i santi debitamente canonizzati e venerati – è denunciato senza indulgenza. […] E poiché in cielo nessuno si glorifica più indebitamente, i santi non temono di render manifeste le loro debolezze. Non hanno più bisogno di apparenze. […] Sono trasparenti l’uno al cospetto dell’altro». La Gaudete et exultate direbbe, parlando di noi ancora in statu viae: «Non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili […]. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada né si esaurisca cercando di imitare qualcosa che non è stato pensato per lui» (GE, 11).

Adrienne von Speyr ricorda a ciascuno, in cammino oggi come lo è stata lei un tempo, quanto la vocazione passi anzitutto da questa capacità di dare un nome alle cose, parole esatte che non forzino la realtà, ma la rivelino. Dio è paziente e guarisce le nostre impazienze e disattenzioni. «La chiamata», scrive in E seguirono la sua chiamata, «raschia la persona di tutto il superfluo, ma la carica pesantemente del nuovo che inizia a trasformarla, lei e la sua vita, nel senso della scelta fatta. […] Distrugge ciò che è incompatibile, esige ciò è favorevole». È cammino di conversione, confessione, trasfigurazione liberante: per divenire – mano nella mano con Dio – ciò che si è e si è chiamati a diventare.

«Il chiamato ha sentito la voce in quanto individuo particolare. È a lui che essa si è rivolta, non al vicino. Essa lo riguarda. L’ha toccato così com’era, con i suoi lati buoni e cattivi, con il suo passato e il suo presente»

«La santità è una cosa tranquilla. Non c’è bisogno di “forzare” i santi. Non tutti possono essere grandi. Bisogna lasciare ai santi la libertà che è loro propria. […]

Non bisogna rischiare di deformare l’immagine della santità. I piccoli formati ci sono anche tra i santi. Non bisogna voler mettere dappertutto più perfezione di quella che c’è»