N.03
Maggio/Giugno 2019

La potenza di Dio

«Solo quello che si ama può essere salvato […]. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità. Ma è precisamente attraverso le nostre contraddizioni, fragilità e meschinità che Lui vuole scrivere questa storia d’amore» (Francesco, Christus Vivit, 120).

A chiunque può essere capitato di avere riempito di cera liquida una bella lampada di terracotta e di aver poi constatato, non senza un certo disappunto, che il fluido era ‘trasudato’ imbrattando il ripiano o la tovaglia sottostante. In idraulica tale fenomeno prende il nome di ‘percolazione’ e descrive ‘il passaggio lento di un liquido attraverso una massa porosa’.

Anche nella vita spirituale accade così: la materia di cui siamo fatti, l’argilla di cui siamo plasmati (Gen 2,7) ha in sé la capacità di lasciar ‘percolare’ l’amore di Dio che è riversato nel cuore (Rm 5,5); il tesoro contenuto nel vaso di creta (2Cor 4,7) inzuppa pian piano pensieri e sentimenti trasformandosi in azione. È il percorso della Parola di Dio e l’itinerario di ogni vocazione: dalle orecchie, al cuore, alle mani (cf. Francesco, Udienza Generale, 31 gennaio 2018).

Si tratta, allora, di rappacificarsi con quella condizione costitutiva della natura umana che è la fragilità. Lungi dall’essere sinonimo di peccato o di meschinità, essa è la reale possibilità dell’apparire della forza e della potenza di Dio, l’amore che salva. Che cosa, allora, di più fragile del volto del Crocifisso, culmine dell’amore del Padre (Gv 3,16) e vertice della rivelazione dei gesti di Gesù, dai quali traspare «il racconto della fragilità umana che incontra la Grazia che risolleva» (cf. Francesco, Veglia con i giovani italiani, 11 agosto 2018).

Riconciliarsi con la propria fragilità è lo spazio per lasciare che «Gesù la prenda nelle sue mani e ci lanci in missione [convinti che] siamo fragili, ma portatori di un tesoro che ci rende grandi e che può rendere più buoni e felici quelli che lo accolgono» (Francesco, Gaudete et Exsultate, 131).

Riconoscere la propria e l’altrui fragilità è imparare ad accoglierla anche quando gli scossoni e le fatiche della vita frammentano l’umanità o il peccato la ferisce ricordando (cf. Francesco, Gaudete et Exsultate, 151) che la mano di Dio sempre può ricomporre le fratture saldandole con l’oro della sua misericordia; acconsentirvi – nella sua debolezza (2Cor 12,10) – è opera preziosa della Chiesa e di ogni accompagnamento vocazionale, affinché appaia la potenza di Dio (cf. 1Cor 1,18).