N.04
Luglio/Agosto 2019

Romano Guardini

Vita ricerca di bellezza

Nel 1957 un editore tedesco, di Würzburg, ripropone il testo, divenuto poi un classico del pensiero, Le età della vita del teologo Romano Guardini, italiano di nome (e nato a Verona), ma naturalizzato tedesco. In esso, Guardini ripercorre gli stadi della vita umana, prestando attenzione alle sue «fasi» e alle sue «crisi»: le fasi, dotate d’una propria estensione temporale, permettono alla persona di acquisire una specifica configurazione – al tempo stesso espressiva e funzionale –; le crisisono momenti di svolta e di radicale trasformazione nei quali la persona diviene qualcosa di diverso, frutto dell’esplicitazione e della maturazione, ma anche della separazione, da almeno parte di ciò che era prima. Così, alla «vita nel grembo materno», alla «nascita» e all’«infanzia», segue la «crisi della crescita»; ne deriva il giovane che, attraverso una «crisi dell’esperienza», diventa adulto; segue la «crisi del limite» che genera «l’uomo lucidamente consapevole della realtà» e riconciliato con la costitutiva fragilità creaturale che lo attraversa. La «crisi del distacco», infine, prepara la vecchiaia; quell’ultima tappa del cammino, che sembra coincidere per Guardini con «l’esaurirsi di una sorgente dalla quale non sgorga più nulla», ma può invece esprimersi in fecondità vera.

Nel ritmo, alternato e talvolta drammatico, di “fasi” e “crisi”, l’uomo si struttura in rapporto al mondo, agli altri e a se stesso, attestando gradi di libertà crescente e dimostrandosi progressivamente capace non solo di stare nel mondo, ma di assumersi le responsabilità decisive del senso e del significato dell’esistere.

L’età adulta, nella quale non si risponde più solo di sé, ma anzitutto degli altri, diventa in tal senso paradigmatica della vocazione umana a trovare e trasmettere il significato della vita dimostrando, anzitutto con scelte convinte, per cosa valga la pena vivere e morire.

Di tale libertà responsabile – che non è fare ciò che si vuole, ma aderire bene al bene, a tutto il bene e in definitiva al Sommo bene –, Romano Guardini aveva fatto una ragione di vita sin da quando, dopo il parziale allontanamento dalla fede, ventenne aveva intuito la decisiva curvatura ecclesialedella propria persona, optando per il sacerdozio: dopo un tentativo di studio della Chimica e un altro delle Scienze politiche, aveva trovato nella Teologia la propria dimensione. Veniva ordinato nel 1910.

Allo scoppio della Grande Guerra, divenuto ormai cittadino tedesco, a differenza dei familiari decideva di rimanere in Germania. Sacerdote-infermiere all’ospedale di Magonza, egli si prepara intanto ad essere docente: lo sarà per una vita intera, anche a Bonn, Berlino, Tubinga e Monaco di Baviera. Scrive di teologia anzitutto, di filosofia con particolare attenzione ai temi dell’antropologia e della morale. Innamora alla liturgia, singolare convergenza di verità e bellezza, di sottomissione ed eleganza, dove ancora è possibile imparare ad “onorare”. E legge e fa leggere molto: dall’amatissimo Dante a Dostoevskij, da Rilke a Pascal, da Platone ad Agostino, da Höderlin a Kierkegaard a Nietzsche: non gli interessano le distinzioni di scuola, ma saldare pensiero e vita, mettere alle strette ogni forma dell’umano e forzarla a esprimersi.

Sotto il Nazionalsocialismo, è tra gli adulti che sostengono la Rosa Bianca: un gruppo di giovani anti-nazisti, poi identificati e uccisi per la maggior parte nel 1943. Ad essi, questi “maestri” non chiedono gesti eclatanti né di rischiare le loro vite. Li guidano però nella ricerca del giusto, facendoli inquieti di un vero all’epoca sfuggente, e saldi nell’opposizione al pensiero unico: «lo Stato totalitario sostituisce alla verità lo slogan, […]; in tal modo, non c’è più verità. Ma soltanto una prescrizione per il pensiero».

Dove un discorso sui doveri non bastava, Guardini ridesta le coscienze innamorandole alla bellezza. Dove la società tende all’omologazione, egli ricorderà – per tutta la vita – l’insopprimibile dignità del singolo, e cita Apocalisse2, 17: «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve». C’è un nome unico e irripetibile, un nucleo della persona alla quale nessuno se non Dio attinge e può dare voce. Essere cristiani significa anzi apprendere a vivere ogni briciola di umanità e ad assumere l’umanità dei fratelli, in cui nulla è secondario o irrisorio: «mai come nel messaggio cristiano – lascia scritto Guardini ne Le cose ultime– si attribuisce tanta grandezza all’uomo, nessun’altra dottrina prende tanto seriamente l’uomo e mai come per mezzo di Cristo, le cose create, che esistono nella temporalità, s’innalzano con tanta risolutezza verso Dio e sono assunte in lui».

Come essere e diventare se stessi? Una componente libera e volontaria è decisiva: ciascuno diventa (anche) quello che sceglie di essere. Eppure essa è insufficiente: il nostro più vero volto è accolto prima che ricercato, ricevuto prima che trovato. Pensando a san Francesco d’Assisi, Romano Guardini commenta: «In che modo Francesco d’Assisi è diventato del tutto se stesso? […] Se egli fosse rimasto il figlio di Bernardone e se in Assisi e in Umbria avesse continuato a rappresentare la grande parte che secondo la volontà di suo padre […] avrebbe potuto rappresentare, sarebbe senza dubbio diventato una personalità brillante e amabilissima, però la specificità sua propria sarebbe rimasta velata». Attraverso quell’atto radicale di fiducia che si esprime per Francesco nello spogliarsi delle proprie vesti e di ogni altra ricchezza, egli invece si mette nella condizione di ricevere: ricevere non solo il progetto di Dio su di lui; ma anzitutto riceversiattraverso di esso.

“Vocazione” è accogliere in dono il proprio volto e il proprio nome: non un nome nuovo, ma (come sulla pietruzza bianca dell’Apocalisse) il nome vero, l’unico nome veramente “proprio”, rispetto al quale anche il nome di battesimo assomiglia pur sempre a un nome “comune”. Alcune cose grandi possono essere solo ricevute.

Dunque Romano Guardini – in un intenso passaggio dove la competenza teologica si salda alla passione letteraria – scrive: «determinati valori – quelli della nobiltà e della elevatezza – possono […] realizzarsi solo quando nonsiano intenzionalmente voluti. […] Quando essi risplendono, ciò non avviene nella forma di una “funzionamento” redditizio. […]».

È qualcosa di simile all’esperienza della grazia: un fascino non ricercato, ma accolto; non ostentato, eppure irradiato. Prosegue infatti Guardini – che non parla di Maria ma sembrerebbe descriverla ad ogni riga e la adombra infine nella dantesca Beatrice –: «Ciò che qui è vittorioso non è la riflessione la sforzo, ma una grazia(…). La Beatrice dantesca è espressione perfetta del fatto che i valori più alti appaiono solo nella forma di una gratuita facilità. Il suo sorriso è la forza che senza fatica attua gli effetti più potenti».

Romano Guardini, sacerdote che lascia tra le opere a lui più care Il Signore,aveva imparato a contemplare il divino parlando dell’umano: ci prende infatti per mano e ci accompagna all’incontro con l’uomo, che è se stesso in ogni sua fase, da bambino e da anziano non meno che da adulto nel pieno del vigore; che parla di sé attraverso le proprie scelte eppure si rivela anzitutto in una bellezza che l’ha raggiunto senza sforzo.

Dopo un coraggioso testo sul Diventare vecchi, Guardini muore a Monaco di Baviera nel 1968. Oggi è incamminato agli onori degli altari. Se di alcuni padri della Chiesa si potrebbe suggerire che in loro “santità e dottrina” per così dire “coincidano”, altrettanto forse si potrebbe sostenere di Guardini: una persona schiva, un professore tedesco, che ha però scritto cose troppo belle da non far pensare d’averle anzitutto vissute in prima persona.

 

«La volontà di cancellare la verità

per cancellare la persona

e per dare l’uomo in balia del potere

è un fatto che riempie di orrore!».

 

«(Nel santo) “appare” Dio.

Ma giacché l’uomo è immagine di Dio

e Dio dunque il modello dell’uomo,

brilla in questa apparizione anche la specificità dell’uomo,

di ogni singolo uomo: egli diviene del tutto se stesso».

 

«Ma quando egli [Francesco d’Assisi] fece il grande passo […]

allora fiorì in lui la bellezza di Dio

ed egli divenne quello che doveva essere,

quell’uomo che ha espresso la magnanimità del divino amore

quanto nessun altro».

 

«Ogni santo riflette a modo suo l’Incarnazione di Dio in Cristo.

Proprio perché egli non vuole più se stesso,

Dio acquista spazio in lui e fa di lui ciò che egli deve precisamente essere».

 

 

Romano Guardini nasce il 17 febbraio 1885 a Verona e muore il 1° ottobre 1968 a Monaco di Baviera. Sacerdote, docente, teologo innamorato della bellezza, esperto di letteratura e filosofia, egli lascia un immenso numero di scritti, attraverso i quali è possibile avvicinarlo dall’angolo prospettico più congeniale al lettore: quello della Teologia, attraverso Lo spirito della liturgia, Il Signore,Le cose ultime; quello dell’Antropologia e della Morale (Una morale per la vita, Persona e personalità, Le età della vita; ecc…); quello della Letteratura, con riflessioni su scrittori in prosa e in versi. In Italia, Vita e Pensiero e, soprattutto, Morcelliana, permettono oggi di incontrarlo attraverso un’ampia scelta di titoli.