N.05
Settembre/Ottobre 2019

Maschio e femmina li creò (Gen 1,27)

Sette è il numero del compimento, sei di ciò che non è ancora compiuto. Al sesto giorno Dio creò l’uomo. Un incompiuto chiamato al compimento.

A immagine di Dio lo creò, perché vivesse al modo di Dio e non secondo unaspecie. Anche gli animali sono creati il sesto giorno, ma solo all’uomo è rivolta la parola: Dio disse loro. Dio crea l’uomo “a sua immagine”, come suo interlocutore, invitandolo alla relazione. Il cammino del compimento dell’essere umano si realizza allora nella sua risposta libera a colui che lo chiama all’esistenza. Fin dalla creazione scopriamo l’uomo come un essere relazionale e dinamico, creatura chiamata a rispondere al suo creatore: io sono perché Tu sei.

L’uomo è creato a immagine di Dio, maschio e femmina. Il passaggio dal singolare “lo creò” al plurale “li creò” evidenzia insieme l’unità del genere umano e la sua distinzione fondamentale: l’uomo è uno e due. Egli è tale solo nell’unità e nell’alterità del maschile e femminile. Uomo e donna trovano la propria identità profonda e il proprio complemento l’uno nell’altra, reciprocamente: io sono perché tu sei. Ancora una volta è la relazionalità a indicare il cammino verso il compimento.

Dove c’è un’immagine c’è anche un prototipo, un originale. La tradizione cristiana ha visto nella creazione a immagine di Dio la creazione dell’uomo a immagine della Trinità, comunione dei diversi in unità. Non un Dio astratto e solitario, ma comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ecco la grandezza e il compimento a cui l’uomo è chiamato: partecipare della vita delle persone della Trinità. Un’unità che non è fusione in cui il soggetto si perde, né una lotta tra le alterità, ma comunione nella libertà e nell’amore, dove ognuno emerge come persona ed è se stesso proprio nella relazione con l’altro.

Se il compimento dell’uomo è la comunione, l’esperienza quotidiana è però quella della frammentazione di noi stessi e delle nostre relazioni. L’uomo si chiude nel proprio egoismo, convinto di realizzarsi da solo, come individuo, tradendo così la propria vocazione. Il vero volto dell’uomo, infatti, non può emergere dalla sopraffazione di uno sull’altro. Creato a immagine di Dio, l’essere umano non è fatto per essere un solitario, ma per la relazione: più si immerge nella comunione e più diventa sé stesso. Nel dialogo con Dio e con gli altri scopre la propria pienezza, secondo relazioni che non schiacciano, ma promuovono la vita e la persona, nella libertà e nell’amore.

L’amore di Dio versato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Rm 5,5), quando viene accolto, diventa  principio di unificazione e di salvezza. L’amore è, infatti, l’unica forza capace di strappare l’uomo dal proprio isolamento e di condurlo alla comunione: dalla frammentazione all’unità.

L’essere umano esiste per accogliere la vita divina ed esserne manifestazione nel mondo. Questo non avviene in modo astratto. Tutto l’uomo, nel suo spirito, psiche e corpo, nella sua caratterizzazione tipicamente maschile e femminile, riempito dello Spirito, può vivere ad immagine di Dio, alla maniera del Figlio che in tutto è in relazione al Padre e lo manifesta.

La vita divina si esprime e si concretizza come dono di sé per la vita dell’altro. La coppia è allora il luogo privilegiato per conoscere Dio e vivere a sua immagine. L’uomo e la donna reciprocamente si aiutano a vivere secondo l’esistenza di Dio che è dono totale di sé, nella libertà e nell’amore, nel servizio reciproco, secondo la logica pasquale. La vita divina, versata nell’uomo, si manifesta come dono d’amore che coinvolge i due in totalità e dalla coppia si apre e si riversa traboccando e divenendo fecondo e creativo per la vita di altri. L’uomo e la donna sono chiamati ad essere custodi l’uno della vocazione dell’altro: in uno sguardo spirituale, di fede, essi possono intuire e accogliere l’opera di Dio nell’altro, promuovendone la vocazione alla paternità e maternità.