N.01
Gennaio/Febbraio 2020

Il dono allarga lo sguardo

Quando il Signore promette ad Abramo una terra, aggiunge prontamente: “la terra che io ti indicherò” (Gn 12,1). Abramo è chiamato a lasciare la sua terra d’origine non per un’altra terra, ma per la promessa di una terra – una terra di cui soltanto Dio conosce l’identità. Impara così a vivere una fiducia incondizionata con l’”Io” misterioso che fa intrusione nella sua vita – “la terra che io ti indicherò”. In altre parole, Abramo diventa una persona di fronte alla Persona che gli promette un luogo in cui vivere e un futuro di lealtà. Se Abramo deve alzare gli occhi, lo deve fare innanzitutto verso un Signore, che è ormai il Signore della sua vita.

Nonostante i suoi limiti, Abramo si è incamminato (12,4). Il limite, in questo caso, è ovviamente quello della sterilità della coppia Abramo e Sara, limite che sembra compromettere la realizzazione dell’altra promessa divina, quella di una discendenza numerosa (12,2). Abramo si è comunque messo in cammino sulla lunga via del disegno divino. I primi uomini, in Genesi 1-11, hanno scelto la strada più breve, quella delle scorciatoie e del “tutto subito”, che si è rivelata essere un vicolo cieco. Dio rimette gli uomini sulla via più lunga, dove lavora pazientemente proprio a partire dai limiti di ognuno di noi.

Quando Abramo arriva nella terra di Canaan, Dio finalmente si rivela: “Alla tua discendenza io darò questa terra” (12,7). Dio indica la terra donata, ma la trama si è già complicata poiché nel versetto precedente il narratore ha precisato: “Nella terra si trovavano allora i Cananei” (12,6). Come può Dio promettere una terra abitata da altri? Le promesse di Dio non vengono fatte senza suspense né senza incognite e ostacoli che sembrano comprometterle, ma richiamano, in realtà, ad una creatività perseverante da parte nostra. Abramo dovrà infatti trovare il modo di convivere con i suoi vicini.

Il disegno di Dio si realizza a partire da ciò che c’è di più accidentale. E cos’è più accidentale di una disputa tra pastori, i pastori di Adamo e quelli di Lot, suo nipote (13,5-7)? Apparentemente non ci sono abbastanza pascoli per i greggi dell’uno e dell’altro. Abramo è magnanimo e lascia scegliere a Lot, il quale alza gli occhi e si entusiasma alla vista della valle del Giordano, che vede come un giardino interamente irrigato, senza vedere però la perversità degli uomini che la abitano, le genti di Sodoma (13,10-13).

Abramo viene allora invitato ad alzare gli occhi lui stesso: “Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente” (13,14). A questo punto, Dio riformula la sua promessa: “Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti” (13,15-16). Abramo condivide con Mosè il dono della vista lungimirante (vedi Dt 32,48-52; 34,1-4), secondo i quattro punti cardinali. La scoperta lungimirante è tuttavia anche una scoperta nell’immediata vicinanza: la terra è qui, e si offre allo sguardo. È tipico del Dio biblico riannunciare le sue promesse in presenza del dono. È un momento cruciale, poiché può sempre accadere che colui che beneficia del dono, si focalizzi solo su di esso dimenticando il donatore. La terra non è quella che l’uomo vede con i suoi occhi, nella sua avidità, ma è quella che Dio fa vedere, inserendolo nella sua promessa, nella sua gratuità e nella sua fedeltà.

“Alzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te” (13,17). Se Dio ci pone dinanzi un dono, investe allo stesso tempo colui che ne beneficia di una responsabilità attiva. La terra deve essere esplorata, in tutte le sue dimensioni, poiché supera di gran lunga l’idea che l’uomo si è fatto di essa. È ciò che succederà nel libro dei Numeri 1­3-14, quando alcuni uomini saranno sul punto di entrare nella terra promessa: bisognerà innanzitutto esplorarla (vedi Nm 13,1) per prendere atto della sua bontà, aldilà di ogni attesa. Tuttavia, ad eccezione di due di loro, Caleb e Giosuè, gli esploratori reagiscono con diffidenza; questo dono non è per noi, pretenderà troppo da noi. Abramo viene chiamato a percorrere questa strada con fiducia: l’imperativo “percorri” riprende il verbo che ha caratterizzato Noè e Enoch, i quali hanno camminato al ritmo di Dio.

Il dono della terra ad Abramo è il prototipo di tutti i doni che Dio ci fa. “Io ti dono questa terra”, afferma Dio, “e ora va ad esplorarla e a marcarla con la tua presenza”. E così accadrà per il popolo d’Israele che a sua volta riceverà la terra promessa e sarà chiamato a conquistarla (vedi Giosuè, 1-11). Nella sua generosità, Dio si aspetta da noi che ci impegniamo generosamente nel dono ricevuto. Che si tratti di un amore inaspettato, di una guarigione, di una vocazione e di un cammino che si apre per la vita, il dono metterà in moto una risposta da parte nostra, creativa e coraggiosa. Ma il primo passo corrisponde allo “spingi lo sguardo”: il dono allarga il nostro sguardo e il nostro desiderio di rispondergli.

 

 

Traduzione del testo a cura di Arianna Barile.