N.02
Marzo/Aprile 2020

Humor

«Sapete perché gli angeli volano? Perché si prendono alla leggera!» (G. Chesterton). Intrecciare umorismo e vocazione, a prima vista può apparire decisamente bizzarro. Eppure, la parola latina humor porta con sé il significato di succo, liquido, liquore e deriva da humere, essere bagnato, umido. In fondo, la medesima radice di humus, quel miscuglio di sostanze organiche che impregnano il terreno rendendolo fecondo. 

 

Come non pensare all’acqua nella quale siamo stati immersi il giorno del nostro Battesimo e nella quale la nostra terra polverosa – la nostra adama – si è inzuppata dello Spirito di Dio come un biscotto per colazione. Come non ricordare quello sputo divino (Gv 9,6) che ha guarito gli occhi al cieco impastando il fango di una nuova creazione; come non immaginare quel vento caldo e umido – così il sapore del termine ebraico – soffiato nelle radici del primo fantoccio di uomo (Gen 2,7) per renderlo vivente. 

 

Anche umiltà viene dalla stessa radice: rimanda alla terra. Proprio scoprendosi terra, mischiandosi nella comune pasta del mondo, sentendosi «intimamente uniti a tutto ciò che esiste» (cf. Francesco, Laudato si’, 11) riconosceremo la nostra vocazione: il contributo originale che ciascuno di noi può dare, la missione che siamo, il piccolo o grande tassello che nella storia va a comporre – insieme agli altri – il grande mosaico dell’opera di Dio. 

 

Sentirsi parte del tutto – fatti di terra – ci permette di guadagnare la giusta misura di noi stessi: un’idea né troppo grande, né troppo piccola di sé, per imparare a non presumere di se stessi ma anche a non esimerci dall’assunzione delle nostre responsabilità, dalla nostra vocazione. «Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è gioia nello Spirito Santo (Rm 14,17) […] per cui alla carità segue la gioia» (FrancescoGaudete et exsultate, 122).  

 

Coraggio, allora! La giusta misura di se stessi è anzitutto quella del riconoscersi figli. La scoperta che da soli o gli uni contro gli altri la vita torna ad essere fatta di polvere soltanto, si secca, si inaridisce, muore. Si tratta di coltivare il Buon Umore, lasciarsi versare nel grembo (Lc 6,38) della nostra persona e delle nostre comunità l’acqua buona dello Spirito senza avvelenarla o renderla nuovamente stantia con il peccato, l’ambizione, la solitudine, la divisione.