N.02
Marzo/Aprile 2020

Margherita Catez

Virtuosismo a quattro mani con Elisabetta della Trinità

Margherita Catez nasce, tre anni dopo la sorella Elisabetta (oggi santa Elisabetta della Trinità), il 20 febbraio 1883. Presto orfane di padre, vengono cresciute in modo esigente dalla mamma, che le aiuta ad aprirsi al bello e ne facilita l’inserimento in un ambito relazionale ampio, contraddistinto da numerose e qualificate amicizie. Pianiste, si distinguono nella Digione del tempo per il virtuosismo tecnico. Entrata Elisabetta al Carmelo il 2 agosto 1901, si prepara per Margherita un futuro di sposa e madre. Vive un matrimonio felice con Giorgio Chevignard, conoscendo però, quarantaduenne, il dramma della vedovanza e numerose prove familiari. Muore il 7 maggio 1954, accompagnata da qualificata fama di santità. Per conoscerla: Jean Rémy, Guite. La sorella di Elisabetta della Trinità (Mimpe Docete, Pessano [MI] 2004). Inoltre: le Lettere di Elisabetta alla mamma e alla sorella (in Id., Scritti, OCD, Roma 20135) o i libri dedicati a santa Elisabetta della Trinità da Conrad De Meester.

 

 

Margherita Catez: virtuosismo a quattro mani con Elisabetta della Trinità.

 

Il 9 agosto 1899 parte da Carlipa, piccolo comune del Sud della Francia, una lettera che quasi parrebbe destinata alla Société de Géographie, ma è in realtà il resoconto di una vacanza movimentata, fatta da una ragazza di diciannove anni: vi si racconta delle tappe di viaggio, da Lourdes a Pau, da Cauteret «che è delizioso» a Luchon «che merita il suo titolo di “regina dei Pirenei”», lì dove si rischia di ritrovarsi «al parossismo dell’entusiasmo», tanto «sono belle quelle montagne!». Poi, ancora, la valle della Lys e, infine, Carlipa, a fare vita di campagna con un formidabile giro di amicizie: la lettera, destinata a una “Francesca”, è di Elisabetta Catez – oggi santa Elisabetta della Trinità, carmelitana scalza canonizzata da Papa Francesco il 16 ottobre 2016 –. Ad un’intensa vita di preghiera – Elisabetta è già orientata alla consacrazione – si intreccia il turbinio delle amicizie e il confronto sui fatti di attualità cede talvolta posto alle ultime novità in materia di moda. Compagna inseparabile di avventure, c’è sempre la sorella più giovane : Margherita, mite, dolce, aperta all’ascolto, così diversa da Elisabetta che era diventata mansueta anche a forza di sforzi, ma manteneva tutta la reattività di un carattere definito nell’infanzia «violento e collerico».

Margherita ed Elisabetta hanno quattro anni di differenza. Orfane di padre, vivono con la mamma esuberante, ma severa. Hanno un futuro diverso, le sorelle: Elisabetta al Carmelo, dove potrà entrare solo a 21 anni; Margherita, un giorno, forse con una famiglia sua. Le unisce però una grande passione: il pianoforte. A Diogione, si sono distinte al conservatorio. Suonano a casa. E in pubblico. Sono molto ammirate: richieste, persino. Di Margherita si dice sia ancora più dotata della sorella e un giornale cittadino, Le Bien Public, ne parla in termini lusinghieri: «Premio d’eccellenza, premio d’onore del ministro delle Belle Arti, è una pianista fuori dal comune. Questa bambina […] è un piccolo prodigio; ha suonato la rapsodia spagnola di Liszt con una sicurezza, una maestria, un accordo con le intenzioni del compositore assolutamente stupefacenti. Ciò con nessuna contorsione, nessuno sforzo, un contegno semplice e corretto». Margherita, giovane virtuosa del piano, a casa, però, non veniva applaudita: né a lei né a Elisabetta era riservato alcun complimento. Erano brave? Allora era un dono da coltivare, da mettere a servizio. Mentre gli altri applaudono, a casa vige – severissima – la disciplina delle scale, degli esercizi, dei pezzi ripetuti mille volte sino a cesellare le più piccole sfumature. È una prassi, a tratti estenuante, che allena in loro l’attenzione ai dettagli e, insieme, la grandezza accogliente di un cuore costitutivamente aperto al bello: le Lettere di Elisabetta della Trinità, dalle quali trapela anche la vita di Margherita, dicono anzitutto questo bello cercato nella natura, condiviso nelle amicizie, diffuso con la buona musica e, infine, contemplato nella misteriosa bellezza dell’Ecce homo e nella sublime nudità della Croce. La loro bravura – praticata anche eseguendo Liszt senza sforzo e con contegno semplice e corretto, diventa così eleganza nel tratto, stile nell’esercizio della carità. Il loro affiatamento, del resto, resiste alla separazione della grata e permette a Elisabetta e Margherita di continuare a crescere insieme: sia quando la maggiore entra al Carmelo (Margherita si sposerà con un banchiere, più appassionato però al violoncello che agli affari), sia quando Elisabetta stessa si ammala e muore, ma lascia alla sorella quella sua dottrina dell’inabitazione trinitaria – per la quale è oggi universalmente nota – che la conferma nella certezza di essere “casa di Dio” e poter dialogare, dunque, con Lui nella gioia e nel dolore, nei momenti di preghiera e nelle fatiche del quotidiano. Un quotidiano che, per Margherita, diventa presto impegnativo: la madre rimasta sola da assistere; un matrimonio felicissimo, ma stroncato dalla morte prematura del marito; 9 figli da crescere; infine un dissesto finanziario che rende la famiglia, già provata, del tutto povera. Lei, un tempo ammirata per i bei vestiti, vive d’inverno con 12°C in casa perché non può permettersi il riscaldamento. Le sue figlie, che avrebbero avuto diritto a una giovinezza spensierata, devono dare lezioni di pianoforte. Odette, la secondogenita, rinuncerà coscientemente al tanto desiderato matrimonio per aiutare Margherita in una vita di intenso sacrificio. Si mette in pratica quello che Elisabetta aveva trasmesso: «Bisogna amarsi al di sopra di ciò che accade», «Dimoriamo nel suo Amore».

In cosa è consistita la vocazione di Margherita, donna di raffinata semplicità che sarebbe potuta diventare una pianista di grido mentre era restata prima accanto alla madre facilitando a Elisabetta la scelta carmelitana, poi accanto al marito Giorgio incontrato nella semplicità di un viaggio insieme – un uomo più maturo di lei, restio a sposarsi e che si sarebbe arreso solo a una donna «che fosse pianista per accompagnarlo al violoncello» –? Forse il suo segreto stava tutto in questo: nell’accompagnare gli altri, al loro passo e non al proprio, pronta a nascondersi perché essi risaltassero. Aveva fatto tempo a capirlo anche Elisabetta, in una rara occasione in cui la sorella e il cognato avevano suonato al Carmelo: «È molto commovente pensare che il modo in cui Guite e Giorgio facevano musica fu come il modello di ciò che Elisabetta voleva vivere con Gesù: “[…] vennero una sera per esercitarsi in cappella. Suor Elisabetta della Trinità fece notare con quale dolcezza la sua cara Margherita accompagnava suo marito e cercava di farlo risaltare, scomparendo in qualche modo ella stessa. Diceva: È così che io devo essere uno strumento da cui il divino Maestro possa trarre il suono che preferisce. Secondando semplicemente la sua azione con la cooperazione alla sua preghiera, io devo ritirarmi per lasciargli tutto il posto”». Elisabetta, che aveva concorso a iniziare Margherita a una più consapevole vita di fede, ne riceve ora una lezione impagabile: quel suo lasciar spazio all’amato diviene in Elisabetta consapevolezza nuova, che più tardi Hans Urs von Balthasar sintetizzerà dicendo: «Alla Parola ella lascia intatta la sua forza originale e mentre la pronuncia con spirito di adorazione, le si spalancano le sue dimensioni infinite»; un “lasciar fare” e “lasciar essere” che nulla hanno di passivo. È dunque la sposa e la madre di famiglia che saprà, in molte cose, insegnare alla carmelitana.

Il segreto di Margherita ed Elisabetta, alla fine, era semplice: avevano appreso a corrispondere. Di Margherita (che metteva il proprio talento a servizio degli altri) si dice: «Sono sempre stata persuasa che fosse una santa. Non le ho mai trovato un difetto. Era sempre serena, sempre di buon umore»; «La sua famiglia, i suoi amici erano influenzati da questa santità discreta». La sua, così, diventa una santità-insieme, che riemerge nei figli: soprattutto in Odette, considerata santa già in vita; e nel figlio Pietro diventato sacerdote, soprannonimato «il sorriso del vescovado» e di cui la diocesi custodirà grata memoria. Margherita «suonava il piano senza avere l’aria di toccarlo. Era una vera virtuosa», attesta l’amica di sempre Marie-Louise Hallo. Lo era stata al pianoforte e nella vita.

 

 

Nella loro grande sala di musica […] i melomani si riunivano. Margherita vi teneva la partitura di piano con un talento e una disinvoltura fuori dal comune.

Cf. Jean Rémy, Guite. La sorella di Elisabetta della Trinità, ed. cit., 83.

La sala di musica è quella di Margherita e del marito.

 

Sgranava delle perle quando suonava il piano. In più accompagnava tutto ciò che voleva, i pezzi più difficili, con semplicità, con modestia, facendo risaltare gli artisti perché fossero loro attribuite le lodi.

Cf. Jean Rémy, Guite…, ed. cit., 83.

 

 

«Poi, bisogna che tu sia molto bella!»

«Raccomando a Guite la pettinatura di mamma: non si deve dimenticare il pettine di strass […]» (raccomandazioni di santa Elisabetta alla sorella)

 

Sotto un aspetto riservato, la mamma nascondeva una tenerezza profonda per ciascuno dei suoi figli.

Cf. Jean Rémy, Guite…, ed. cit., 85.