N.06
Novembre/Dicembre 2021

Bisognava fare festa (Lc 15,32)

“Bisognava”, “era necessario”, in greco “δει”: un termine legato al destino e alla predestinazione, legato agli annunci della Passione fatti da Gesù ai discepoli. Legato quindi a morte e Passione annunciate, alla luce del rifiuto umano di accogliere il messia e di convertirsi da un cuore malvagio. In questa parabola, la necessità a cui non ci si può sottrarre è invece la festa, l’accoglienza del figlio perduto, la gioia del ritrovamento e della riconciliazione. Viene detta però al primo figlio, risentito, che la festa non la vuole fare, che vuole ritrarsi dal contatto con chi considera ormai un estraneo. 

La festa si può fare solo con i vicini e le vicine, i più prossimi. E così, infatti, viene descritta nelle prime due parabole di questo capitolo 15 di Luca, quella della donna con amiche e vicine di casa e quella del pastore con amici e vicini. Due parabole parallele in cui la gioia del ritrovamento fa scaturire la gioia di ringraziare insieme, far festa, scherzare. Il ritrovamento lì è poi accostato al perdono e alla festa “nel cielo”. 

L’ultima parabola, un lungo racconto su un giovane che si perde alla ricerca della libertà e un padre che lo attende a lungo, non parla di perdono e pentimento. Parla però di un amore che non pone più confini e di una festa gratuita, persino eccessiva, che interrompe il ritmo quotidiano. Musiche e canti delle danze di questa festa si sentono da lontano e il figlio maggiore se ne accorge per strada, rientrando dal suo lavoro. Chiuso al fratello, arrabbiato con il padre e deciso a non lasciarsi trascinare nella festa, il figlio maggiore resta fuori. Il padre, che già era andato incontro al figlio minore, ora esce per pregarlo, convincerlo che fare festa è più importante di tenere il punto del proprio orgoglio, che la generosità viene prima di rivendicazioni sterili. Il padre usa il verbo della necessità, “δει -edei”, legata al passaggio dalla morte alla vita. Un riferimento forte alla Passione e alla Resurrezione. La festa è dunque legata alla Pasqua, inizio di vita nuova riconciliata con Dio. 

Ecco perché anche il fratello maggiore è invitato a cambiare cuore, atteggiamento, a convertirsi. La Pasqua spinge, obbliga, rende necessaria una apertura di cuore verso tutti e tutte. La comunità si rinnova diventando un luogo dell’accoglienza incondizionata, un luogo in cui i pregiudizi cadono. Nessuno e nessuna può essere escluso o esclusa. 

Qui capiamo che la parabola di Gesù è rivolta a quei suoi interlocutori che, all’inizio del capitolo, lo rimproverano di mangiare con i peccatori e di accoglierli (Lc 15,2). Avversari di Gesù, critici della sua prassi, lo giudicano a partire dalla sicurezza di essere dalla parte giusta. Il loro è il comportamento di chi, sicuro della propria interpretazione della verità, esclude tutti coloro che non stanno dentro le loro categorie. Gesù li provoca, lasciando che il padre rimanga senza risposta: la sua affermazione sulla festa necessaria e la gratuità dell’amore non sappiamo se smuoverà nel figlio maggiore una apertura del cuore. Sappiamo però che a quella affermazione siamo chiamati a rispondere noi, insieme agli ascoltatori critici di Gesù. Noi che facciamo fatica a non dividere il mondo in categorie, a non entrare in logiche escludenti e giudicanti. 

Uno dei portati più pesanti della pandemia da cui stiamo lentamente uscendo è proprio la divisione del mondo in categorie, la poca pazienza che abbiamo per le posizioni divergenti di altri e altre, l’intolleranza basata sulla convinzione di essere nel giusto. E allora restiamo fuori, evitiamo le relazioni in cui temiamo discordanze di opinioni, cacciamo fuori dal nostro mondo gli altri e le altre. 

Questa parabola sorprendente ci invita a riconsiderare le nostre posizioni. Ci invita a interrompere il ritmo di una vita produttiva ed efficiente, per lasciarci andare alla gratuità della festa. Una festa quanto mai necessaria, che riguarda il nostro fratello, la nostra sorella. La festa dell’amore di un Dio inclusivo e generoso, senza condizioni.