N.02
Marzo/Aprile 2022

Un’emozione condivisa: la solitudine

Essere connessi non è sinonimo di comunicare né tantomeno di essere in relazione. Essere connessi tuttavia è una condizione tecnica e tecnologica che facilmente e per lo più impercettibilmente diventa dimensione dell’intelletto, della psiche, perfino dello spirito.  

Ridurre o azzerare distanze temporali e spaziali nella comunicazione non coincide affatto in modo automatico con una facilitazione e una moltiplicazione delle relazioni, ma con una moltiplicazione dei contesti nei quali ci si trova coinvolti, e, almeno potenzialmente, anche con una moltiplicazione degli stimoli e dei processi emotivi.  

 

Per chiunque, in qualunque modo si usi la rete, la prima e più vasta emozione condivisa della quale si fa esperienza al primo affacciarsi on line è la solitudine. E questo non solo nei contesti più freddi e impersonali: in un certo senso nel web, così come si è sviluppato negli ultimi dieci anni, ogni utente connesso è prima di tutto un potenziale consumatore/acquirente/fornitore di dati monetizzabili e per far sì che le sue azioni siano il più possibile profittevoli per quanti in rete offrono beni e servizi la solitudine è un punto di partenza e uno sfondo costante fondamentale.  

 

Microeventi e microdiscorsi 

 

Anche pensando al contesto che si sarebbe portati a credere come meno solitario e più emotivamente “caldo”, i social network (o “reti sociali” per gli autarchici della lingua), è in realtà la solitudine a fornire la base per un’interazione quanto più possibile massiccia, prolungata e a basso regime di razionalità. L’informazione come lo shopping, il gaming (l’applicazione a videogiochi on line) come l’accesso alle piattaforme d’intrattenimento sono tutte attività che fondano il proprio maggior successo (economico) sull’esistere e sul perdurare nell’utente medio dell’emozione della solitudine. Sentirsi soli, sentire l’incapacità, l’impossibilità, l’inadeguatezza all’incontro, alla vicinanza, alla relazione, alla condivisione, alla comunione con l’altro genera la spinta forte di un bisogno che invece che essere assecondato, corrisposto e soddisfatto,  nell’esperienza dell’essere connessi viene al contrario confermato, rafforzato, anche se coperto e quasi sedato dal costante, frastornante succedersi di microeventi, dall’intreccio inestricabile e caotico di microdiscorsi, dalla rassegna senza fine di pseudoincontri e fatue scoperte.  

 

Stanze e profitto 

 

Nel senso comune, la rete è un luogo vago fatto di numerose, ma non innumerevoli stanze, rimasto sostanzialmente immutato negli ultimi vent’anni. La rete di oggi invece è molto diversa da quelle degli anni Novanta, ma anche dal web dei primi anni Duemila. Essere connessi non significa solo avere accesso a internet naturalmente, e le “stanze” raggiungibili e accessibili sono ben più di quante l’utente medio sia solito ritenere, la connessione è ormai di gran lunga debordata oltre la sua semplice natura di condizione tecnica, invadendo la sfera psicologica ed esistenziale.  

Nel web del nostro tempo c’è molta più uniformità e molta meno libertà di circolazione, interazione e uso di quanto non ci fosse anche solo dieci anni fa. Il potere economico e di controllo si è andato accentrando; alle idee e agli ideali che hanno costruito il prototipo della rete si sono sostituiti sempre più universalmente i più bassi e uniformi principi del profitto.  

Le emozioni sono dunque diventate uno degli strumenti utili ai fini della massimizzazione del profitto.  

 

Individuale e impersonale 

 

La solitudine è al contempo presupposto, affezione emotiva endemica e obiettivo della rete interconnessa. La maggior parte dei contesti in rete si costruisce come gioco in cui l’individuale si specchia nell’impersonale e la natura frammentaria di qualsiasi costrutto è il correlativo oggettivo di un inevitabile disorientamento della mente e del cuore. In questo gioco – il ludico ha ormai sopravanzato quasi tutti gli altri registri e le altre sfere fino a sommergere uniformemente il privato e il pubblico, il profano e il sacro – la solitudine è una molla sempre in tensione che spinge l’utente connesso a cercare e tentare sempre nuovi modi di rispondere al bisogno che essa esprime, cosicché molte delle azioni in rete, molte delle mosse dentro questo enorme e continuo gioco di giochi che è oggi l’universo digitale interconnesso hanno origine da questo orizzonte emotivo e a questo orizzonte emotivo tentano di dare soluzione.  

  

Tempo: flusso senza apici 

 

La solitudine è anche una delle dimensioni emotive che di più consente la lucida percezione del tempo. Anche a questo la rete contrappone non una soluzione, ma un palliativo: il tempo in rete è un flusso senza apici, senza accelerazioni o rallentamenti, una distesa di esperienze frammentarie che sembra rimandare all’infinito l’avvento di un elemento di cesura, di un evento cardinale, di un inizio o di una fine.  

Né ciclo, né linea, il tempo, nel quale la solitudine viene come imbrigliata e alimentata perché si conservi costante, è un precipizio, la corrente di un fiume di dati gettato senza sosta nei flutti inesauribili di una cascata che seguita a scorrere furiosamente sempre uguale e sempre diversa.  

Nel tempo, ritratto in questa continua caduta, si offre l’inebriante, ipnotizzante esperienza dell’immersione e dell’abbandono.  

 

 

 

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