N.04
Luglio/Agosto 2022

Il desiderio di Dio

Un testo di Pseudo-Dionigi Areopagita

Quando si parla di mistica nei Padri, c’è subito come una catena di “perle” che si snoda davanti ai nostri occhi. Inizia con Origene (III secolo), fa una biforcazione al IV secolo, prendendo una via che si chiama Gregorio di Nissa (+ dopo il 394) e un’altra Evagrio Pontico (+399). La via di Gregorio prosegue fino a un’opera di cui non conosciamo l’autore e che è giunta a noi sotto il nome di Dionigi dell’Areopago, uno dei personaggi che accolsero la predicazione, non andata benissimo, di Paolo nell’Areopago di Atene (At 17, 32-34). Il testo è, in realtà, almeno della fine del V secolo; l’autore scrive in greco, ma da alcuni elementi si potrebbe pensare che fosse comunque di ambiente siriaco. Egli scrive alcuni trattati che diverranno delle pietre miliari della mistica, soprattutto in occidente, ma anche in campo liturgico e teologico. Basti pensare che nella Summa di San Tommaso d’Aquino, lo Pseudo Dionigi, come lo si chiama oggi comunemente, è una delle opere più citate e usata dal Doctor Angelicus.

Il testo che presentiamo è tratto da una delle sue opere più estese, Sui Nomi divini, dove affronta la questione se si possano attribuire a Dio, e come, nomi quali Bontà, Sapienza, Forza, etc., come fa la Scrittura. Lo Pseudo Dionigi scrive anche un trattato sulla Concezione mistica, La teologia Mistica. Considera l’amore-desiderio (erōs) e l’amore di benevolenza (agapē), e se questi possano essere attribuiti anche a Dio. Per l’uomo può sembrare ovvio, ma attribuirli a Dio… e invece lo Pseudo Dionigi lo fa, senza paura. L’amore “fa uscire Dio da se stesso”, perché ogni amore è ek-statico, perché chi ama non appartiene a se stesso, ma a colui che ama. Ecco perché Dio è Trinità, ecco perché Dio viene a cercare ognuno di noi andando “fuori di sé”.

 

L’amore (erōs) divino è anche estatico, in quanto non permette che gli amanti appartengano a se stessi, ma a quelli che essi amano. E dimostrano che le cose superiori sono fatte per provvedere a quelle inferiori e le uguali per contenersi a vicenda e quelle inferiori per una conversione più divina verso le superiori. Perciò anche il grande Paolo, tutto posseduto dall’amore divino e sotto la partecipazione della sua forza estatica, dice con parola ispirata: non vivo più io, ma è Cristo che vive in me, come un vero amante che, come lui stesso dice, è passato in Dio e non vive più la sua vita, ma quella dell’amato perché infinitamente amabile (agapētēn).

Io oso anche dire, per la verità, che la Causa di tutte le cose, per l’amore bello e buono verso tutte le sue opere, nell’eccesso della sua bontà amorosa va fuori di sé per provvedere a tutti gli esseri ed è per così dire allettato dalla bontà (agathotēti), dalla predilezione (agapēsei) e dall’amore (erōti) e, da un luogo appartato che sta sopra tutto ed è staccato da tutto, si lascia condurre verso ciò che è in tutti…

 

(testo tratto da Dionigi Areopagita, «Sui Nomi divini», 712 A-B, in Id., Tutte le opere, trad. di P. Scazzoso, Bompiani, Milano 2009)