N.02
Marzo/Aprile 2004

“Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5)

 

“Crispiano, terra del Sì”

Cari amici, forse qualcuno sa che mi trovo qui per una sorta di scherzo giocatomi dal Direttore del Centro Nazionale Vocazioni, il caro don Luca: l’estate scorsa fu invitato da don Michele Colucci, a Crispiano, mio paese d’origine, per presentare un libro un po’ curioso, che raccoglie 34 storie vocazionali, metà di sacerdoti diocesani e metà di religiosi e religiose, nate appunto nel nostro Comune ed ancora viventi. Per tutta risposta don Luca mi disse subito, dopo l’incontro nella sala consiliare, che aveva scritto il mio nome per questo appuntamento. Ed eccomi qui, tra voi.

La “Terra del Sì” – questo il nome dato alla raccolta – ha preso corpo in circa due anni, prima che io fossi nominato Vescovo proprio nella mia Provincia, a Castellaneta. In questo contesto non posso ovviamente parlarvi del libro, come ha fatto credere la segnalazione fatta da Avvenire nei giorni scorsi. Devo tuttavia dire che il tema della “terra del sì” si è rivelato utile metafora per parlare di ogni nostra esistenza, che si apre alla chiamata del Signore. I protagonisti del libro non avevano l’ambizione di fare pastorale vocazionale in senso pieno; pensavano, piuttosto, di aprire le loro storie per raccontare alle nuove generazioni i loro sì appassionati al Signore, alla Chiesa, all’umanità. Avevano ben presente l’insegnamento di Giovanni Paolo II circa l’importanza di sacerdoti come autentici testimoni per la nascita di nuove vocazioni[1]: perciò non hanno avuto timore di raccontarsi con tutti i pregi e le nudità di ogni storia, con tutti i pregi e le nudità delle loro famiglie e della loro parrocchia. Sullo sfondo e ‘è una figura di parroco – Giuseppe Maria Caforio – che amava la sua vocazione e che ha messo la nostra comunità parrocchiale in condizione di generare tante volte la vocazione di speciale consacrazione dei figli.

Un caso non unico, quello del mio paese. So di altri centri che hanno preso iniziative simili. Voi stessi forse ne conoscete, in Sicilia o nel Veneto, in Campania o nel Bergamasco. Dio continua a scegliere le stesse vie: ama la terra con cui plasma i suoi figli, in modi e tempi diversi la coltiva, inviando uomini e donne a “seminare, accompagnare, educare, formare e discernere”. La Grazia del Signore – di cui celebriamo in questi giorni il mistero della manifestazione — si fa paideia, insegnamento, guida e nutrimento, affinché tutti diciamo gradualmente e definitivamente il nostro sì generoso. È Lui che ci spinge ad aprirci ad una “docilità” che diventa “docibilità”, facilità a far si condurre fino al dono supremo di noi stessi. Come ha fatto Maria, come ha fatto con Maria. Come ha fatto con Giovanni Paolo II, che ci dice: “Questo è un tempo meraviglioso per essere prete!”[2]. Un tempo meraviglioso per essere cristiani, ciascuno con la propria stupenda vocazione.

 

 

Zaccheo e Gesù

In questa veglia, prima di concludere il Convegno sul volto vocazionale della parrocchia oggi, il nostro sì vuole lasciarsi illuminare dalla pagina evangelica di Zaccheo, terreno fertile che accoglie l’iniziativa sorprendente di Gesù. Cerchiamo di scoprire cosa può dire anche a noi, oggi, questo personaggio lucano, generalmente molto simpatico ai lettori del vangelo, a noi presentato in questa bella veglia, sulla scorta dell’approfondimento esegetica-pastorale di don Giuseppe De Virgilio.

Ciascuno di voi potrebbe raccontare i motivi, i tempi e forse anche i modi dello sviluppo di una sintonia speciale per Zaccheo. Nel mio ministero in parrocchia e a scuola, in seminario ed in diocesi, questo ricco – così uguale e così diverso dagli altri ricchi – si è sempre rivelato utile e “narrabile”. Se è vero – come ammonivano i greci – che con i ricchi bisogna avere amicizia, ma non lodarli se sono immorali[3], il ricco Zaccheo si rivela interessante e degno di lode, perché mantiene un animo giovane, capace di mettersi alla ricerca di Gesù e di lasciarsi da Lui sorprendere e trasformare. Gesù raccoglie la sfida del suo desiderio e va oltre le sue piccole misure: lo rilancia nel mistero della salvezza, gli svela la sua figliolanza da Abramo, gli apre gli occhi sulla grande famiglia di cui è parte ed in cui egli si sente provocato dolcemente ad occuparsi dei poveri. Ripercorriamo il brano in tre momenti.

 

“E cercava di vedere il Gesù chi è” (v. 3)

Così, alla lettera! Già, chi è questo Gesù, che se ne viene nelle città di Israele e mette la folla come muro tra sé e chi è “piccolo di statura”? Chi è questo Gesù che san Luca descrive come un conquistatore? E chi è questo abitante di Gerico che, alla fine, va oltre la folla e la precede nel discepolato? Gesù mette piede in Gerico e la percorre con sicurezza: non trova alcun ostacolo. Di fronte a lui spunta un uomo di cui ci viene detto il nome, la professione, il livello economico e, curiosamente, i limiti. La folla marca l’impossibilità di Zaccheo: “Non poteva, non riusciva a vederlo a causa della folla” (Lc 19,3). È curioso constatare quante parole sono usate – diremmo sprecate -per descrivere il co-protagonista della vicenda, che dentro Gerico balza in scena all’improvviso. È chiamato Zaccheo. Subito si sparano due grosse caratteristiche: e lui era arcipubblicano (capo di coloro che organizzano la raccolta delle tasse per conto della potenza occupante) e lui era un ricco. Apparteneva a quella categoria di cui più avanti san Luca dirà “che deponevano le loro offerte nel tesoro “ (Lc 21,1); ma, a differenza delle vedove, deponevano del loro superfluo (v. 4). È la categoria che non rischia: fa gesti clamorosi, ma si tutela! Sia con il potere politico che con quello economico.

Nella descrizione del personaggio, il prestigio economico figura dopo il nome e dopo la professione: la ricchezza genera grandi desideri, grandi ambizioni. Zaccheo, come tutti i ricchi che si rispettano, ha le sue “trovate”: si è ficcato in testa un grosso obiettivo (o forse un semplice sfizio), quello di vedere Gesù. “Cercava di vedere quale fosse Gesù” (v. 3). Cercava, ma non riusciva. Eppure sembrava onnipotente, uno di quelli a cui nulla è impossibile! Ed invece san Luca non ha timore di descrivere i suoi limiti, che sono di due tipi: uno aggettivo ed esterno, la folla; l’altro soggettivo e – per così dire – interno, la sua piccolezza di statura. Bisogna dare atto, però, che non si scoraggia: forse la sua non è semplice curiosità. C’è qualcos’altro. Eccolo allora giocare d’astuzia: pensa lo stratagemma per superare la difficoltà. Detto fatto: si mette a correre in avanti e sale su di un sicomoro, un albero di fico, con la sola finalità di vedere “lui”. Deve aver avuto le informazioni sufficienti per sapere che Gesù “doveva passare di lì” (v. 4). Ecco, dunque, la soluzione: la notizia del percorso di Gesù ed un albero sopra il livello medio della folla, proprio lungo quel percorso.

 

“Oggi nella tua casa è necessario che io mi fermi” (v. 5)

Entriamo ora nella seconda parte dell’azione. Gesù è protagonista indiscusso, domina la scena con i passi, con gli occhi e con la parola. San Luca segnala l’arrivo “al luogo”, come se tutto sin dall’inizio mirasse lì: sembra essere il luogo dell’ appuntamento. Lì Gesù alza gli occhi verso Zaccheo: è il momento dell’incontro personale. Per vedere un “piccolo di statura” Gesù non esita ad alzare i suoi occhi. Sembra quasi un rito: come quando alzerà gli occhi verso il deh per pronunciare la benedizione che moltiplica i pani (cfr. Lc 9,16). Gesù sconvolge i piani di Zaccheo già solo guardandolo. Poi va oltre e gli rivolge la parola: lo chiama per nome – Zaccheo!- e lo invita a scendere in fretta. Colui che si era affrettato – correndo – a salire, è invitato a scendere in fretta. Sembra non trapelino sentimenti, eppure tutta la scena è densa di relazioni profonde. La situazione è ribaltata per un motivo semplice e indecifrabile: “Oggi infatti nella tua casa è necessario che io mi fermi” (v. 5). Di quale necessità si tratta? Perché la curiosità deve evolvere verso l’intimità? Come può pretendere, questo Gesù, di sconvolgere i progetti di un uomo che lo aveva sì cercato, ma che si era anche tutelato contro la folla e contro di lui? Come è possibile passare dai verbi di movimento dell’inizio del brano, in cui tutti si muovono (Gesù, Zaccheo, la folla), a questo stranissimo importante verbo, fermarsi, anzi “rimanere”? Come può entrare nella logica della sosta e della comunione chi è abituato a correre avanti e a guardare dall’alto?

 

L’alloggio del peccatore e del Salvatore (v. 7)

La terza scena spiega il cambiamento. Zaccheo scende in fretta e lo accoglie con gioia:passa insperatamente dal desiderio di vedere Gesù alla possibilità reale di accoglierlo in casa. Di qui la gioia: il verbo chairein indica la gioia di ogni incontro con il Messia nel Nuovo Testamento. Ma qui spunta il contrasto con la folla, che mormora. Genericamente e iperbolicamente san Luca annota: tutti mormoravano. La critica è rivolta a Gesù, non più al pubblicano: “È andato ad alloggiare da un peccatore! “ (v. 7). Gesù, stai attento all’alloggio, al luogo che scegli per pernottare! “Alloggiare” per san Luca è parola pressoché esclusiva: rimanda al luogo del rifiuto che ricevette Gesù alla nascita (“non c’era posto per loro nella locanda-alloggio”: Lc 2,7); la stessa parola designa l’alloggio-sala in cui poter mangiare la Pasqua con i discepoli (22,11) e, infine, il luogo verso cui devono orientarsi per cercare cibo (“vadano nei villaggi ad alloggiare e a cercarvi cibo”: Lc 9,12). Orbene, Gesù chiede alloggio proprio al pubblicano. La casa di Zaccheo si apre: è come se Gesù vi rinascesse, come se vi trovasse riposo nel suo pellegrinaggio missionario, come se trovasse una nuova sala per celebrarvi la Pasqua della salvezza.

L’iniziativa di Gesù, accolta prontamente, crea una situazione nuova nella casa: san Luca annota che Zaccheo si alza, si mette in piedi! La posizione conta: è il segno della risurrezione. In quella posizione egli rivolge la parola al Signore, al Kyrios. Implicitamente san Luca ci dice che Gesù è il Risorto, entrato nella casa di un peccatore, per farlo risorgere. Potremmo azzardare e dire che, ora, quell’alloggio diventa luogo della Natività, della Pasqua e della Missione. Quale sarà il segno? L’attenzione nuova di Zaccheo verso ipoveri. Ora il ricco Zaccheo vede i poveri. E non solo la categoria in generale, ma anche le singole persone che egli ha danneggiato. Gesù interviene e rivolgendosi a Zaccheo da una risposta che riguarda tutti – discepoli e spettatori -: “Oggi la salvezza in questa casa si è realizzata, dal momento che anch’egli è figlio di Abramo” (v. 9). Gesù svela l’identità profonda di Zaccheo, la sua vocazione: figlio di Abramo, membro del popolo chiamato alla salvezza. In questo si svela la missione di Gesù: cercare e salvare ciò che era perduto (v. 10).

 

 

Contagiare la gioia di Zaccheo

Cosa possiamo imparare da questa pagina evangelica per la pastorale vocazionale? Come la Chiesa di oggi, nel suo insieme e nelle sue unità di base, la famiglia e la parrocchia, può ridefinire il suo “volto vocazionale” partendo da Zaccheo? Forse possiamo tentare un percorso in tre tappe, seguendo i momenti della crescita di Zaccheo in rapporto a Gesù. Zaccheo si presenta come l’uomo della curiosità, l’uomo della sorpresa e l’uomo dell’integrazione. Tre tappe legate da uno stesso filo: la gioia, anzi il “rallegrarsi” per la presenza di Gesù nella nostra casa, nella nostra storia, nella nostra comunità (v. 6). Pastorale vocazionale, perciò, diventa contagiare la gioia di Zaccheo.

 

L’uomo del desiderio

San Luca ci consegna la tensione inferiore di Zaccheo con la parola correre prima (prodramòn): Zaccheo “corse”. L’idea è rinforzata con l’indicazione di luogo: “avanti”. Zaccheo precede la folla, precede Gesù. Mi pare di vedere in questa situazione lo scarto che c’è, forse oggi più che mai, tra Gesù ed i nostri contemporanei: vanno avanti, anzi corrono avanti. Gesù e la “sua” folla rimangono dietro. Il passo di Gesù può essere facilmente superato dai giovani del nostro tempo, dagli uomini di cultura e di economia, da quanti sanno le cose che contano e non si mescolano alla folla. Anche se sono piccoli di statura, si sentono furbi e corrono avanti sicuri per raggiungere il duplice obiettivo: soddisfare la curiosità e non cambiare il proprio sistema di vita. In questa situazione, prima di criticare, siamo chiamati, mi sembra, ad accettare la sfida del desiderio “umano” che muove i nostri contemporanei – nelle diverse età e situazioni della loro vita – verso il Gesù. Un desiderio spesso riduttivo, discutibile, disarmonico. Addirittura da alimentare. Sì, bisogna alimentare la curiosità per Gesù, con tutti i mezzi a nostra disposizione in arte, letteratura, solidarietà, tempo libero. Obiettivo: far sapere a tutti – nelle nostre società anonime — da “dove deve passare Gesù” (v. 4)1 Certamente lo Spirito del Signore, che ha mosso Zaccheo a uscire di casa per gestire a suo modo il desiderio di vedere Gesù, non manca di suscitare carismi e ministeri per far sapere “dove passa Gesù”. Qui ci vuole molta fantasia. Dobbiamo chiederci: di fronte a coloro che “corrono avanti” sappiamo dire il percorso di Gesù? Sappiamo valorizzare e articolare le tappe antropologiche della crescita dei singoli e delle comunità in modo da suscitare l’attenzione a Gesù e al suo passaggio? Forse Zaccheo ci chiede non di livellare la strada su cui deve passare Gesù, ma di arricchirla di alberi, tanti sicomori che diventano luogo di incontro tra i nostri contemporanei e Gesù.

 

L’uomo della sorpresa

Zaccheo sale su di un albero, né alto né basso. Gli sembra sufficiente per vedere Gesù. Ma qui avviene la sorpresa, espressa da san Luca con un gioco di parole: dopo essere salito, deve scendere. Il verbo è lo stesso, cambiano le preposizioni: anebe -katebe. Non basta salire, bisogna anche scendere: sale per sua iniziativa, scende su invito di Gesù. Alla corsa del desiderio umano subentra la fretta del cuore invitato; al movimento di ascesa e realizzazione di sé, succede il movimento di discesa e di sequela. Zaccheo che cercava di vedere Gesù si scopre da Lui cercato e visto da sempre. Questa dinamica viene dal mistero dell’Incarnazione e della Pasqua: l’uomo che si propone diventa l’uomo che risponde. Gli occhi di Zaccheo sono cercati e incontrati dagli occhi di Gesù: è un dialogo di amore che cambia tutto. L’invito diventa l’inizio di un cammino insieme, che toglie Zaccheo dall’isolamento e lo porta nella sua casa, ormai prossima a diventare la casa dei fratelli del Risorto.

Questa dinamica “innalzamento -abbassamento”, nonostante la gradevole, sorprendente impressione iniziale, è in realtà un’esperienza dolorosa. Una sorta di morte: è la rinuncia a sé stesso. È difficile descriverla. Fabio, un giovane adulto che ha partecipato alla veglia di preghiera nella notte di Capodanno, l’ha espressa con un’immagine efficace: io ho visto “il funerale di me stesso”. Da lì l’ha liberato la fede, l’iniziativa di Gesù che si è fermata davanti alla sua vita e l’ha liberata dalla dispersione e dall’anonimato. Ed è stato subito gioia: la stessa di Zaccheo. Come si deve fare per spingere tutti coloro che sono impegnati in pastorale – in ogni forma e livello – non solo ad essere coscienti ma anche a far conoscere questa dinamica pasquale? Etty Hillesum, l’ebrea olandese morta a 29 anni nei campi di concentramento, l’ha fatto a suo modo. Nel suo diario leggiamo: “Dentro di me c’è un pozzo molto profondo. E in quel pozzo c’è Dio[4].

 

L’uomo dell’integrazione

L’ultima fase ci porta in casa di Zaccheo. Con lui entriamo nella fase della maturità, dell’integrazione di tutte le dimensioni della crescita: emozioni, motivazioni e decisioni. Anche qui troviamo una parola chiave, un termine che dice tutta la novità teologica che riempie ormai Zaccheo e la sua casa. E la parola “alzatosi” (statheis) nel v. 8. Dopo le mormorazioni contro Gesù, che va a pernottare in casa di un peccatore, proprio il peccatore non si vergogna di “alzarsi in piedi” davanti al Signore e di parlargli. E una parola rivolta anche a noi. Non ci sono più verbi di movimento, non più ricerca reciproca, ma comunione di identità. Dopo la morte con Gesù, dopo la discesa, anche Zaccheo partecipa della vita di Gesù Risorto. Non per niente usa la parola “Signore” (Kyrios)per chiamare Gesù, che gli da l’identità e la vocazione, la forza per stare in piedi e per donare i suoi beni. La metà ai poveri e il quadruplo a quelli che ha frodato. Gesù – direbbe Santa Teresa di Lisieux – “ha gettato un velo su tutti i miei difetti inferiori ed esteriori”[5]. Gesù da di partecipare alla sua generosità salvifica non solo a Zaccheo, ma anche a tutta la sua casa, che possiamo assumere come icona della Chiesa. Ora, di fronte all’Israele che mormora all’uscita dall’Egitto per la perdita dei beni (!) della schiavitù, si trova il popolo nuovo, che gode e condivide i beni ricevuti dal nuovo Mosè, dal Salvatore, venuto per salvare ciò che era perduto.

 

 

La vocazione del Figlio e la nostra

Nel solco di Abramo, Gesù ristabilisce l’alleanza tra Dio e gli uomini: ora la casa di Zaccheo è la nuova arca dell’alleanza, è la nuova terra da cui è bandita la frode del peccato. Non solo il peccato contro la giustizia sociale, economica e politica, ma anche il peccato contro Dio, l’idolatria. Nella parte finale del brano campeggia la duplice ripetizione della parola Signore: a Lui, il Risorto la nostra lode, ora e sempre, nei secoli dei secoli. A Lui diciamo: “Tu che da Maria Vergine/prendi forma mortale/ricordati di noi! / … /Redenti dal tuo sangue, / adoriamo il tuo nome / cantiamo un canto nuovo”.

 

 

Note

[1] Giovanni Paolo II.

[2] L. Sapienza, Se fossi tu? Antologia di scritti sul sacerdote, Corbo Editore, Ferrara 2003. Il volume è corredato di un autografo di Giovanni Paolo II, in calce alla frase sopra riportata.

[3] Sette Sapienti, Cit in F. Della Corte, Antologia degli scrittori greci, n. 146, Loescher editore, Torino, 1982.

[4] Cit. in I. Grandstedt, Ritratto di Etty Hillesum, Edizioni Paoline, Milano 2003, p. 175.

[5] S. Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Storia di un’anima. Manoscritti autobiografici, Editrice Ancora, Milano 1993, p. 319.