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La forma vitale

La vocazione come “forma vitale” che un’esistenza può assumere, forma intima nella quale indentificarsi e crescere.

Riportiamo qui un breve testo di Von Balthasar.

 

Cos’è un uomo senza la forma che lo segna, che lo circonda come corazza inesorabile e che tuttavia lo rende malleabile, libero da qualsiasi insicurezza e dallo sgomento che inceppa, libero per se stesso e per le sue possibilità più alte: cos’è l’uomo senza tutto ciò? Cos’è l’uomo senza forma vitale, cioè senza forma che egli abbia scelto per la sua vita e nella quale egli riversa e fonde questa vita, perché possa diventare anima di questa forma e la forma possa diventare espressione della sua anima, una forma non già estranea, ma così intima che val la pena identificarsi ad essa, una forma non costretta, ma scelta liberamente e interiormente donata, una forma non arbitraria, ma irrepetibile e personale, legge individuale? Colui che spezza questa forma non curandosene è indegno della bellezza dell’essere e sarà bandito come un volubile dalla durezza e dalla gloria della realtà. Egli atrofizza il proprio corpo vivente nell’inespressività infeconda ed è quel legno secco che, secondo il detto evangelico, deve essere ammassato per essere gettato nel fuoco. Tuttavia, per vivere nella forma originaria, è necessario averla intravista. Occorre avere un occhio dell’anima capace di percepire, nel rispetto profondo, le forme dell’esistenza.

 

(Hans Urs Von Balthasar, La percezione della forma, Jaca Book, 1985, pp. 15-16)