N.01
Gennaio/Febbraio 2019

«La realtà è di Cristo» (Col 2,7)

In un mondo dedito al culto dell’apparenza e all’ossessione spasmodica per la conquista dei diritti, l’aspirazione più alta è essere liberi dai legami e le relazioni, che richiedono invece radicamento e stabilità, fanno paura. I cristiani, che vivono nel mondo senza essere del mondo, sanno di essere pellegrini verso un’altra patria, ma sanno anche che la vita chiede loro cura e coinvolgimento e invoca l’impegno di abitare il mondo e la storia con responsabilità per farli crescere in vista del Regno. La vita chiede alleanza piena con la realtà: senza legami non si può vivere. Persino il Figlio di Dio si è legato a una terra, a un popolo, a una famiglia, abitando la storia e facendosi carico della realtà degli uomini e delle donne del suo tempo.

La realtà invoca considerazione e attenzione e invita tutti a considerarla più importante di ogni singola idea (cf. Evangelii Gaudium, 231-233). Mentre l’idea è astratta, la realtà è concreta e chiede incarnazione, radicamento, relazionalità. La realtà è lo scenario della manifestazione di Dio il quale ama la concretezza, desidera che le parole si traducano in fatti, sceglie di legarsi alle sue creature per essere solidale con loro e invitarle a essere altrettanto solidali verso i fratelli e le sorelle in umanità. La realtà è Dio stesso nel quale «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28). Al cuore della vita battesimale, infatti, non vi è un’idea, ma un’esperienza, una realtà: l’incontro con una Persona, Gesù, che ha assunto la storia tanto da farci abitare in Lui.

Dal momento in cui siamo stati battezzati, abbiamo acquisito, infatti, un preciso domicilio: siamo «in Cristo Gesù», spazio mistico del nostro parlare, pensare, operare. La forza motrice dei credenti è dunque il legame intimo e inscindibile con Cristo, nel quale ci è dato di vedere il Padre, di essere salvati e di rinascere alla vita nuova dei figli di Dio. È grazie a questo vincolo che possiamo dirci «cristiani», uomini e donne che gli appartengono e che vivono in Lui, “luogo” dove ha sede la realtà più grande che si possa pensare: il disegno d’amore del Padre per l’umanità.

Di questo vincolo speciale tra Cristo e i credenti si fa cantore l’apostolo Paolo. Nella Lettera ai Colossesi, che è tutta incentrata su Cristo, la sua persona e la sua azione viva ed energica per la vita del mondo, della chiesa, di ogni battezzato, viene riconosciuta con forza la sua unica e imprescindibile mediazione universale in ordine alla creazione, alla salvezza e al compimento di tutta la realtà. Egli è l’immagine del Dio invisibile; il primogenito della creazione e dei risorti nel quale e in vista del quale è stata creata ogni cosa; il mistero stesso di Dio nel quale «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (Col 2,3); il capo del suo corpo che è la Chiesa in cui si trova il fermento di ogni maturazione.

Paolo invita i Colossesi e i credenti di ogni tempo a rimanere saldi nella fede e radicati in Cristo, mettendoli in guardia da ciò che è vuoto e fuorviante. Cristo ha compiuto l’opera più grande che nessun rito di circoncisione e nessun adempimento di precetti umani sono mai riusciti a realizzare: con la sua croce, ci ha liberati dalla condanna e, con il battesimo, ci ha fatti tornare alla vita grazie alla fede, comunicandoci la pienezza della vita divina che è in lui. Di fronte a questa abbondanza, appaiono del tutto inutili quelle pratiche che distolgono dalla centralità della sua opera salvifica universale, come un tempo potevano essere certe prassi alimentari, alcune festività, il culto degli angeli e altri precetti mondani, e come oggi possono essere le rigidità che emergono da un pensiero di tipo gnostico o il volontarismo di stampo pelagiano (cf. Gaudete et Exsultate, 36-62).

Tutto ciò è solo «ombra» dei beni escatologici, qualcosa di fugace destinato a finire, mentre la realtà concreta e tangibile, definita sōma (cioè «corpo»), è di Cristo (cf. Col 2,17). Come già espresso da Platone nella Repubblica, sōma rimanda a ciò che è «reale» rispetto a ciò che è «figura». Anche nel lessico paolino il termine sōma rimanda a ciò che è concreto, alla concretezza relazionale della persona. La realtà, dunque, appartiene a Cristo che conferisce ai suoi stabilità, solidità, durata. Vivere in Cristo è scegliere la vita vera, concreta, fatta di relazioni autentiche che dall’alleanza fondante con lui raggono il loro nutrimento e maturano in rapporti di comunione.

Se poi per parlare della realtà che è Cristo, Paolo sceglie la parola «corpo» è perché forse, oltre a far passare l’idea della concretezza della realtà che è Cristo, egli vuole alludere al corpo di Cristo che è la Chiesa, come a dire che la realtà è la crescita e la comunione del corpo di Cristo. Per noi questa crescita è un’idea o una realtà? E come viviamo noi oggi il nostro essere «corpo di Cristo»? Serviamo la comunione ecclesiale oppure le muoviamo guerra, attaccati alle idee piuttosto che innestati nel dinamismo fecondo di una Chiesa in cammino incontro ad ogni figlio e figlia di Dio e incontro allo Sposo che viene?