N.04
Luglio/Agosto 2019

I videogiochi: esperienza immersiva

I videogiochi sono una delle produzioni culturali più articolata, varia e complessa del contemporaneo; un medium che connette, combina e confronta al suo interno una gran quantità di fonti espressive e artistiche, di dimensioni tecniche e di strumenti tecnologici: la pratica videoludica offre ai “giocatori” una sempre più vasta, complessa e raffinata galleria di azioni, interazioni, pensieri ed emozioni all’interno di un campo in continua trasformazione che dal semplice – ma tutt’altro che banale – livello del gioco, si spinge sempre più arditamente verso un’esperienza di immersione completa.  

 

Evoluzione sofisticata 

La storia del videogioco inizia alla metà del secolo scorso, all’incrocio tra le varie forme di evoluzione delle teorie e tecnologie elettroniche, del cinema, del fumetto, della pittura, del gioco analogico e, in fondo, anche della meccanica applicata alla robotica.  

Dopo la prima fase bidimensionalmente essenziale, “simbolica”, negli anni Ottanta si apre la seconda era, quella del primo più elaborato figurativismo, fino al cruciale approdo, nei primi anni Novanta, alla tridimensionalità della grafica poligonale.  

Il sempre più rapido raggiungimento di nuove frontiere tecnologiche ha accelerato il ritmo con il quale le nuove fasi si succedono una dopo l’altra. Così, dai primi computer per videogiochi di massa (Commodore, Amiga) e dalle prime console (Odissey e poi Atari VCS e Intellivision) che processavano la grafica a 8 bit di una serie, siamo oggi di fronte all’industria audiovisiva in assoluto più ricca e prolifica che, accanto ai sofisticati dispositivi per il gioco da casa e in movimento, si è da tempo riversata in rete, esplorando l’online gaming e il cloud-based gaming 

La pratica e l’esperienza del videogiocatore si evolve così dalla sua dimensione isolata e solitaria, lineare e monodirezionale verso un universo sempre più vasto e complesso, multiplo e aperto. Si connette all’interno di “comunità” numerose, diffuse, virtuali, in una parabola che da Pong – capostipite mai dimenticato – si inarca fino ai MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-playing Games) e alla VR (Virtual Reality). 

 

Autori e fruitori  

Il videogioco, nonostante la sempre più complessa elaborazione tecnica e artistica che lo produce, è considerato un medium non narrativo o post-narrativo.  

I videogiocatori sono al contempo autori e fruitori che esplorano uno spazio potenziale, una serie di problemi da risolvere, non di rado, effettivamente ordinati intorno allo schema di una storia, ma, proprio in virtù della componente d’interattività libera che contraddistingue il videogioco, oggetto di una rielaborazione almeno parzialmente imprevedibile (tutte le opzioni possibili sono previste a monte dalla scrittura del codice di programmazione) e, fino a un certo punto, sempre nuova. Il videogiocatore compie così le sue scelte e produce quella che, sempre più propriamente, può essere considerata una performance nello spettro che va dall’identificazione rispetto ai personaggi del gioco – introiettando le loro caratteristiche, i loro destini, le loro vicende – alla proiezione su di essi delle proprie emozioni, percezioni, dinamiche consce e inconsce.  

La gamma dei modi di uso e approccio ai videogiochi va dal più ingenuo e pragmatico passatempo, alla dimensione agonistica, artistica, perfino a una pratica variamente professionistica.  

La più diffusa esperienza di uso quotidiano da parte di adolescenti e giovani adulti (anche se la platea dei videogiocatori è andata gradualmente invecchiando, allargando i propri confini verso limiti anagrafici fino a pochi anni fa impensabili) riguarda e coinvolge dimensioni e processi sorprendentemente centrali e non di rado profondamente radicati non solo nella mente, ma più in generale nel corpo del giocatore, nella sfera emotiva, in quella razionale oltre che meramente percettiva.  

La “violenza giocata” è al contempo effetto e causa: nella violenza agita virtualmente, prima ancora che nel sangue e nel truculento sempre più credibilmente rappresentati, si trova la risposta diretta, almeno in parte catartica, a una forte e diffusa frustrazione – sociale, relazionale, espressiva, emotiva che contraddistingue le più recenti generazioni.  

D’altra parte, è innegabile l’effetto di normalizzazione che l’immersione frequente, intensiva e coinvolgente in scene di violenza esplicita, produce sui videogiocatori, soprattutto su quelli più giovani.  

 

Esplorare o eludere 

Di tutte le molte riflessioni che si potrebbero produrre analizzando l’universo videoludico, è forse possibile contrapporre due prospettive: da una parte l’enorme potenzialità di uno spazio diverso e ulteriore rispetto alla realtà, nel quale esercitare funzioni mentali e fisiche, esplorare dimensioni consce e inconsce, pulsioni, attitudini, emozioni; dall’altra la virtualità, sempre più realisticamente alternativa al reale, offre – o sembra poter offrire – vie di fuga, opportunità di eludere o, più semplicemente, di rinviare le questioni della vita quotidiana.  

Proprio come succede nella più banale delle funzioni di un qualunque videogioco che elude la morte, pospone la fine, rimanda la conclusione, rendendo accessibile una rigenerazione, potenzialmente infinita, delle opportunità per risolvere il gioco.  

 

 

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