Moda
Un codice condiviso
Tra i codici condivisi, le pratiche tradizionali, le categorie trasversali ancora in uso nel contemporaneo, tra quelli più frequentati e tenuti in maggior considerazione, c’è la “moda”. Che la si intenda riferita all’ambito circoscritto del costume e dei riti sociali, o che la si intenda più ampiamente legata ai fenomeni culturali, alle produzioni artistica e intellettuale, la “moda” è certo uno dei vènti che spirano più forti attraverso il nostro tempo.
La moda intesa come “fenomeno sociale del mutamento ciclico dei costumi e delle abitudini, delle scelte e del gusto, collettivamente convalidato e reso quasi obbligato”, ovvero come insieme di codici e di fenomeni legati alla presentazione e rappresentazione sociale della propria identità attraverso il particolare modo di vestire e “allestire” il corpo, si può far risalire addirittura al tardo medioevo, anche se è solo prima nel Cinquecento e poi nell’Ottocento, in coincidenza con l’ascesa del cosmo urbano e dei primi sviluppi della classe borghese, che la moda assume dinamiche e dimensioni “moderne” nell’ambito dell’orizzonte occidentale.
Con l’industrializzazione e l’accelerazione dello sviluppo tecnico e tecnologico, con l’introduzione dell’economia di mercato, l’avvento della società dello spettacolo e l’ingresso nell’era della globalizzazione la moda cresce rapidamente in rilevanza economica, centralità culturale, influenza sociale e infine anche psicologica.
Manifestazione di un’identità
La moda, che inizialmente concepisce il vestimento come materiale simbolico per trasmettere significati attraverso il corpo, diventa oggi il codice che intende e tratta il corpo stesso come materiale sul quale operare in funzione della manifestazione di un’identità – sessuale, sociale, etnica – e, un po’ oltre, dell’espressione di un carattere, di un profilo emotivo, di un atteggiamento psicologico. Il vestito e l’accessorio tanto quanto il corpo stesso, considerato ormai alla stregua di complemento di moda (e non di rado trattato come tale, arrivando a modificarlo nella struttura oltre che nella forma, sempre più spesso con interventi profondi e permanenti), sono spogliati della loro dimensione simbolica, scardinati dal regno dell’invisibile, concepiti e usati come territorio materiale aperto alla sperimentazione estetica e più latamente culturale.
È nella moda che passa oggi molta della complessità residuale, dell’espressione più attivamente costruita, della necessità e della capacità di comunicazione, dell’aspirazione al senso. È nell’ambito della costruzione e del montaggio del proprio aspetto – che sempre più esplicitamente coincide con e significa una messa in scena di sé – che si produce e si realizza anche la definizione del maschile e del femminile e del loro reciproco rapporto, dunque anche della sessualità e del desiderio, secondo un costante e sempre più frequente processo di fluida rimodulazione di dinamiche, marche distintive e confini.
Tra imitazione e distinzione
Oggi come ieri la moda si muove ondeggiando tra i due poli opposti dell’imitazione e della distinzione: se da una parte è sempre inevitabile il riferimento e l’adesione – più o meno diretti – a un modello, a un canone, allo schema tipico di un gruppo o alla cifra caratteristica di un singolo, dall’altra – soprattutto nelle generazioni più giovani e in quelli più coinvolti nella dimensione culturale del consumismo urbano occidentale – c’è sempre, magari implicito, il bisogno o il tentativo di marcare la propria soggettiva differenza, l’unicità della propria identità.
Questa dinamica dialettica funziona ora in un mondo del tutto diverso anche solo da quello di dieci, quindici anni fa: la diffusione della comunicazione in rete, la moltiplicazione degli schermi e la proliferazione delle immagini ha prodotto un orizzonte in un certo senso schizofrenico, aprendo per un verso una platea sulla quale rappresentarsi potenzialmente ampia quanto il mondo intero, frammentando e aumentando a dismisura la quantità di “nicchie”, comunità, contesti; per l’altro verso intensificando allo stremo la condizione psicologica e culturale dell’individuo perso nella massa indistinta, condannato all’anonimato e all’indifferenza.
Passione e ossessione per il nuovo
La moda, che fin dalle sue origini si definisce anche e forse soprattutto come passione e ossessione per il nuovo, nel nostro tempo ripetitivo e desacralizzato dell’età consumistico-materialistica, caratterizzato tra l’altro dall’impossibilità della Rivoluzione e della Festa, diventa aspirazione impossibile, desiderio inappagabile dello straordinario quotidiano, dell’eccezionale ripetibile, culto pagano della nostalgia per un’irraggiungibile dimensione oltre il contingente.
In questo senso il vestito inteso come ludico travestimento, come travisamento festivo e anarchico occupa ormai stabilmente il quotidiano, l’ordinario, e – uscito inequivocabilmente dal rito, religioso e sociale – rischia di convertire l’eccezionale infrazione della norma a regola della permanente conformazione allo standard informale proposto dal mercato.
Uno spazio libero di ricerca
Qui, nella zona di passaggio tra il fenomeno collettivo e la pratica individuale, tra l’analisi sociologica e l’ermeneutica della singola scelta estetica, tra significati universali e pratiche espressive individuali, si trova forse lo spazio libero per la ricerca, la soggettività, l’esperienza.
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