N.05
Settembre/Ottobre 2020

Quel Dio che dobbiamo cercare

Un Santuario, un monastero, un’abbazia abbandonata: costituiscono il ‘triangolo spirituale’ in questo territorio di Lombardia, sulle sponde del lago di Como. Uno spazio geografico particolare nella distesa diocesi. Uno spazio dove è in atto il tentativo di innestare l’esperienza monastica sui rami longevi e già fecondi di una chiesa locale.

Qui, presso il Santuario della B.V. del Soccorso in Tremezzina, vive un prete diocesano che, dopo un’esperienza presso il monastero benedettino camaldolese dell’Eremo san Giorgio a Bardolino (Vr), ha compiuto la scelta dell’oblazione monastica, legandosi spiritualmente e concretamente a quella specifica comunità di monaci Camaldolesi, assumendo il loro stile di vita e vivendo questo legame in Diocesi a servizio della chiesa locale e del suo vescovo. È da dieci anni che questa esperienza ha avuto inizio sostenuta dal desiderio di portare in mezzo alla gente una vita cristiana che sappia trarre dal monachesimo tutta la sua bellezza, essenzialità e vivacità.

Oggi sono diversi coloro che mettono in rilievo come la tradizionale vita monastica abbia bisogno di rinnovarsi se vuole essere ancora capace di dare il suo specifico contributo alla comunità degli uomini. Emergono così nuove forme di vita monastica o di vita di fraternità cristiana che, dal monachesimo, ereditano una serie di valori antichi e sempre nuovi. Valori che, in particolare oggi, è necessario riscoprire e vivere per la ‘salute’ dell’uomo contemporaneo: il cammino di ricerca di Dio e il Suo primato; la vita nuova di figli di Dio a immagine del figlio amato Gesù sotto la guida dello Spirito; il silenzio, l’ascolto della Parola, la preghiera, l’accoglienza e la carità fraterna, la sobrietà e la povertà di vita, il lavoro come custodia del creato e generatore di condivisione e giustizia, l’amore per il bello e per tutto ciò che vi è di autenticamente umano. Come non riconoscere in questi valori un bisogno e un’esigenza dell’uomo di oggi?

Occorre quindi un’opera di ‘mediazione’ intesa proprio come possibilità di rendere i valori e l’esperienza monastica alla portata di tutti, di ogni battezzato. Nasce così questa esperienza denominata “La Tenda di Mamre”: un’esperienza spirituale, un luogo dove fare sosta nel silenzio, nell’ascolto, nella fraternità. Uno spazio di accoglienza per chiunque, vicino o lontano, è pellegrino nel cammino della vita. Un luogo di incontro per tutti coloro che desiderano cercare il Buono, il Bello, il Vero, quel Dio che dobbiamo cercare ancora, cercare sempre, cercare insieme (B. Calati). Uno spazio di sostegno e confronto per quanti svolgono la loro testimonianza e il loro servizio nelle comunità cristiane e nel mondo.

Un’esperienza che si caratterizza per una proposta di vita fraterna secondo il Vangelo, nel riferimento ai valori monastici proposti da san Benedetto e attuati in particolare nella regola di san Romualdo.
Il legame alla comunità monastica è essenziale per riuscire ad attuare quel connubio tra vita monastica e quotidianità. Riprendendo la ‘novità’ della riforma che san Romualdo attua alla regola benedettina, questa esperienza la assume rifacendosi esplicitamente a quel “triplice bene” che Romualdo propone ai suoi monaci. Infatti, peculiare della riforma di Romualdo, monaco ed eremita vissuto tra il 952 e il 1027 è l’innesto, all’interno della tradizione comunitaria benedettina, di strutture istituzionali che consentissero di vivere il carisma di una vita di solitudine a edificazione di tutti. Come la comunità è il luogo dell’esercizio della carità fraterna, perché “chi non ama suo fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20), così la solitudine e il silenzio sono il luogo del confronto personale con Dio che chiama ciascuno a una risposta d’amore unica e irripetibile. Dimensione cenobitica e dimensione eremitica costituiscono pertanto, nella vita dei singoli e delle comunità camaldolesi, una realtà unitaria, all’interno della quale si esprime una dialettica di tensioni che in un testo della primitiva tradizione romualdina è espresso come un “triplice bene“: “La vita cenobitica che i novizi desiderano, la solitudine per i maturi assetati del Dio vivente e l’annunzio evangelico tra i pagani nella prospettiva dei martirio per chi anela alla liberazione e all’essere con Cristo”[1].

Vita eremitica, vita cenobitica, missione nel mondo. Tre aspetti che si coniugano bene anche con quanto propone il monaco Benoit Standaert nel suo libro Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo (ed. Qiqajon); un agile libretto che parte dal seguente detto: «Il mondo poggia su tre colonne: lo studio della Torà, la ‘avodà [cioè il culto, la preghiera]
e le opere di misericordia»[2].

La “Tenda di Mamre” cerca di proporre un’esperienza che poggia sulle colonne della preghiera, dell’ascolto, della carità. In esse la proposta monastica di Romualdo vuole trovare attuazione. Ascolto, preghiera, carità, da coniugare nella solitudine, nella comunione, nella missione e che aprono a una vita spirituale profonda. Attuare e vivere queste ‘colonne’ chiede: il silenzio come atmosfera-clima necessario per incontrare e conoscere Dio e se stessi; l’essenzialità e sobrietà della vita; la condivisione vissuta con quanti, ospiti o di passaggio, vengono alla Tenda; il lavoro quotidiano per riscoprire il valore delle cose, la fecondità della fatica nel rispetto e nella custodia del creato; l’apertura alla vita dell’intera umanità, a ogni cammino religioso e di ricerca, attraverso l’informazione, la formazione, il dialogo, la concreta solidarietà; non per ultimo il seguire il Vangelo di Gesù, quale unica regola di vita, per imparare a vivere come Lui ha vissuto e ad amare come Lui ci ama, verso una comunione sempre più piena col Padre nello Spirito.

Questa proposta cerca, senza clamore e con pazienza, di dare anima alla vita di un Santuario che da anni la diocesi ha dedicato in particolare alla preghiera per le vocazioni, aiutando così ogni battezzato a riscoprire la vocazione originaria e a declinarla nelle concrete scelte di vita, lì dove Dio continuamente chiama.

E così, insieme al monastero di san Benedetto, luogo di esperienza eremitica, il Santuario, attraverso l’esperienza fraterna della Tenda di Mamre, diventa spazio che vuole offrire l’opportunità di un ritorno alle radici battesimali per una vita che, fondata sulle colonne della preghiera, dell’ascolto e della carità, si apre al futuro di Dio dentro la storia di oggi.

 

 

Alcuni testi per approfondire

–  Le tre colonne del mondo di Benoit Standaert 

–  Ancora tempo di monaci? di Padre David Maria Turoldo 

 

 

Libri utili

   –  “Il primato dell’amore – La spiritualità benedettina camaldolese”  di A.Barban e J. H. Wong – Cittadella Editrice.
In particolare: cap. 4 “Il triplice carisma camaldolese” Origini e attualità (pag. 105)

   –  “Le tre colonne del mondo. Vademecum per il pellegrino del XXI secolo” di Benoit Standaert (ed. Qiqajon)

 

 

Informazioni sulla Comunità monastica di Camaldoli 

La Comunità monastica di Camaldoli consta del Sacro Eremo e del Monastero di Camaldoli e fa parte della Congregazione Camaldolese dell’Ordine di San Benedetto. Vita comunitaria, solitudine e missione: è il carisma cosiddetto plurale del triplex bonum nel quale la molteplicità non va a scapito dell’unità e l’armonizzazione progressiva è assicurata dal primato evengelico dell’amore. Tutte e tre le componenti vivono così in una relazione complementare, ricca e feconda, in applicazione dell’art. 3 delle Costituzioni: “La Congregazione Camaldolese consta di eremi e di monasteri. Elemento caratteristico della tradizione camaldolese è l’unità della famiglia monastica nel triplice bene di cenobio-solitudine-evangelium paganorum”. Il fondatore, san Romualdo, nato a Ravenna nella seconda metà del X secolo, professò a vent’anni la Regola di san Benedetto nel monastero di Sant’Apollinare in Classe. In continuità con la tradizione benedettina, s’ispirò anche alla spiritualità orientale (Padri del deserto e Cassiano). Ne scaturì una nuova proposta: l’eremo accompagnato da un monastero (cenobio = vita comune). Romualdo riprende così in Occidente l’esperienza antica della meditazione delle Scritture nel silenzio della “Cella eremitica”, che genera la feconda operosità del monastero. A sua volta, questo sostiene la vita dell’eremo perché non finisca in un isolamento totale. Romualdo dedicò gli ultimi trent’anni della sua vita a un’opera intensa di viaggi e di fondazioni. Assecondò la missione verso i popoli dell’Europa orientale appena battezzati, mentre riceveva l’adesione da parte di diversi eremi e monasteri maschili e femminili. Alla fine della sua vita Romualdo si ritirò in una Cella accanto all’abbazia di Val di Castro, vicino a Fabriano (Ancona), dove morì il 19 giugno 1027. L’ultima sua fondazione è Camaldoli, eremo e monastero, che ha trasmesso lungo i secoli il suo ideale monastico. Oltre alla tradizionale ospitalità programmata dalla Comunità e a regolari presenze, a vari livelli, nelle parrocchie della Diocesi, fin dall’epoca del rinnovamento postconciliare la Comunità di Camaldoli ha inserito il dialogo ecumenico nelle sue Costituzioni: “Il mondo intero è testimone di un clima ecumenico nuovo che facilita o crea spazi di dialogo tra i credenti delle grandi fedi viventi. Cattolici, cristiani di diverse confessioni, ebrei, musulmani, indù, buddhisti e uomini di buona volontà cercano strade nuove di crescita nella verità e nella comunione” (art. 125). 

 

 

[1] Bruno di Qerfurt, Vita dei cinque fratelli, 2

[2] Detto di Simeone il Giusto, II° sec.a.C. in Pirqè Avot 1,2