N.06
Novembre/Dicembre 2020

L’esercizio fisico

Un corpo “in forma” rispetta in realtà una forma standard. Lo sport come gioco, sfida, confronto, disciplina psicologica, morale e comportamentale, per come è inteso oggi, si è diffuso presso le masse solo nell’era del consumismo capitalistico, della civiltà urbana postindustriale in cui è la dimensione immateriale a prevalere su quella concreta, quella economica a soppiantare quella spirituale.  

 

Corpo inorganico 

 

Il corpo è entrato a far parte degli status symbol – oggetti da rappresentare, desiderare, mostrare e raccontare – tanto da diventare nel breve volgere di qualche stagione uno dei soggetti/oggetti più comuni e sfruttati della pubblicità.  

Gli anni Ottanta possono essere in questo senso considerati l’origine e l’apice di una trasformazione radicale che ha messo il corpo al centro di una rete di discorsi della cultura (non solo di quella popolare), sradicandolo in diversi modi e a più livelli dalle sue connessioni organiche con l’idea complessa di persona.  

Mentre le prime fasi di questa trasformazione si sono svolte seguendo soprattutto forme e registri legati a un’idea di festa normalizzata, svuotata della sua carica di evento rituale e straordinario (dal dionisiaco/carnevalesco all’edonistico/simulatorio), quello che viviamo oggi è già il tempo del corpo alla soglia dell’inorganico.  

 

Performance e autorappresentazione 

 

L’esorbitante dilagare della performance come stile di vita – come dimensione produttivistico-agonistica dell’esistenza ridotta a prestazione misurabile portata oltre l’estremo – trova nel corpo il suo primo e più diffuso campo di battaglia: oltre la farmacologia terapeutica, è ormai largamente sviluppata la farmacologia “migliorativa” del doping, non solo di quello legato ai muscoli o alla resistenza allo sforzo, molto spesso in perfetta consonanza con le leggi vigenti.  

Accanto alla necessità di applicare e praticare una disciplina per i suoi effetti sulla mente oltre che sul corpo di accrescimento della conoscenza e di consapevolezza su di sé, l’attività fisica, definita o meno da una specifica declinazione sportiva, riguarda sempre più spesso lo sviluppo di uno strumento di controllo e di determinazione della fisiologia e dell’aspetto del proprio corpo come veicolo dell’autonarrazione, palcoscenico dell’autorappresentazione.  

 

Una gara di produttività 

 

Da anni è ormai stata individuata una nuova forma di dipendenza dall’attività fisica che non può essere esclusivamente ricondotta all’incremento della produzione di endorfine, ma che è piuttosto da intendersi come sintomo dell’assuefazione al desiderio di trasformazione dell’organismo imprevedibile e fuori norma in meccanismo conformato al rispetto di uno standard eterodeterminato 

L’esercizio fisico, dunque, sarebbe inteso sempre meno come esercizio di educazione del corpo (e della mente insieme con esso, secondo una prospettiva organica e articolata), e sempre più come sforzo bruto di adeguamento a parametri stabiliti al di sopra e indipendentemente dai precisi limiti connaturati all’organismo umano.  

Interessante in questo senso notare alcuni dei riferimenti più comuni nell’orizzonte del giovane “sportivo” contemporaneo: al piacere dell’atto in sé si sostituisce il senso di un obbligo simile a quello che spinge un lavoratore ad aumentare la propria produttività più ancora che per il proprio vantaggio, per un implicito e indicibile bisogno di non sfigurare nella gara con l’altro; la ricerca di una maggiore armonia del gesto atletico o anche solo del movimento corporeo,  viene soverchiata e annullata dalla pulsione all’ottenimento di risultati quantitativi sempre maggiori, di esiti misurabili sempre più lontani ed evidenti. 

 

Perfezionamento, affinamento, lubrificazione 

 

Non va dimenticata un’altra accezione dello sport, diversa ma correlata alle precedenti, che ha contribuito considerevolmente ad allargare la platea dei soggetti coinvolti.  

La buona salute del corpo in esercizio è da molto tempo un assunto condiviso. Dentro questo, che è ormai un trito luogo comune, vanno però forse rintracciate alcune prospettive consistentemente diverse: la cura del corpo intesa come osservazione e “coltivazione” si alterna ora a una sempre più comune rincorsa al perfezionamento di un veicolo, all’affinamento di un meccanismo, alla lubrificazione di un’arma; veicolo, meccanismo e arma pensate come strumenti di lotta e di conquista, o perlomeno di quotidiana contesa nel recinto del consesso sociale.   

Sembra quasi che quanto più l’attività fisica si diffonde tra le pratiche quotidiane nel tempo libero, tanto più essa venga tagliata via dalla rete dei suoi significati più raffinati e complessi. Non si tratta solo del modo in cui lo sport s’intreccia sempre più vastamente e profondamente con la tecnologia, la moda e con molti altri dei pilastri delle culture giovanili nel contemporaneo: lo sport sembra quasi esser stato eletto il terreno sul quale il corpo – sradicato e sconsacrato – viene messo a “reddito”, viene reso produttivo, viene usato per guadagnare quantificabili vantaggi sul fronte del “posizionamento sociale”.  

 

Un vuoto che interpella 

 

Se alcune pratiche artistiche e discipline filosofiche indicano strade alternative, resta vuoto il posto di un discorso culturale e religioso prodotto per tutti e a tutti rivolto che ricolleghi il corpo e i modi di esercitarlo alla rete di significati e implicazioni che a essi appartengono e che da essi rimandano alle altre componenti della persona.  

 

Vita condivisa 

Marcello, 29 anni – commesso 

 

Quando ho cominciato con la palestra, il pensiero era per il mio peso. All’esame di maturità mi capitò di sentire d’essere “sbagliato”, mi sentivo in imbarazzo, in soggezione, e allora ho deciso di cambiare. La decisione ha portato con sé una disciplina alimentare nuova per me; prendevo anche degli integratori. Quella prima fase drastica l’ho superata dopo un anno o due: ho smesso gli integratori e ho smesso la palestra come luogo del dovere.  

Un mio ex compagno di scuola mi ha invitato una volta a partecipare a una maratona per non professionisti e da lì ho iniziato a correre, prima con questo amico, poi anche da solo. È diventata la mia nuova routine – meno dovere, più piacere -, sempre legata al bisogno di ordine e di dimostrare una costanza nell’impegno.  

C’è un mondo di appassionati che passano molto tempo a scegliere abbigliamento tecnico, a studiare l’alimentazione, a cercare sempre nuove strategie per migliorare i risultati di velocità e resistenza.  

Ogni tanto mi lascio tirare dentro, ma in linea di massima mi basta concentrarmi sul mantenere l’impegno quotidiano della mia ora di allenamento, anche quando piove, anche quando fa caldo da star male.  

 

 

 

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