N.06
Novembre/Dicembre 2021

Una ecologia della visione 

 

Un inquinamento visivo 

Se ha senso ragionare, come stiamo facendo su queste pagine, di un’ecologia della comunicazione, può esser ancora più utile proporre, all’interno della stessa cornice, un’ecologia della visione. La comunicazione, lo abbiamo scritto più volte, usa e abusa delle immagini al punto da trasformare radicalmente il paesaggio materiale, culturale ed emotivo nel quale ci muoviamo ogni giorno, modificando perfino la natura stessa, il senso e il peso di tutte le immagini, anche di quelle teoricamente esterne ed estranee ai suoi flussi.  

Si potrebbe iniziare da una constatazione quasi paradossale: da tempo l’inquinamento acustico è ormai considerato fenomeno scientificamente certificato e comunemente accettato e condiviso anche nella considerazione del cittadino medio. Un sovraccarico sonoro, un accumulo di suoni  in caotico e disorganico assortimento, caratteristici del contesto urbano industrializzato, è riconosciuto come elemento di aggravio della salute e del benessere fisiologico dell’essere umano; un impedimento certo alle sue funzioni percettive e alla sua efficienza cognitiva.  

Non è ancora altrettanto evidente e di pacifica accettazione invece l’inquinamento visivo che aggredisce non solo la percezione ottica ma l’intera sfera psichica della persona nel suo complesso, influenzandone e intaccandone non solo la dimensione fisiologica ma anche e forse soprattutto quella psicologica, culturale fino a raggiungere e perturbare quella spirituale. 

 

Comunicazione e immagini 

 Le immagini sono per la comunicazione un veicolo e uno strumento, quasi contemporaneamente un codice e un livello d’esperienza: le immagini colpiscono immediatamente e ampiamente i sensi, raggiungendo facilmente e assai rapidamente una dimensione profonda della psiche. Dall’antica patristica fino ai più recenti studi della neurologia, passando attraverso l’elaborazione dei più grandi teorici delle arti visive e audiovisive nel Novecento, le immagini sono riconosciute come oggetto mentale di cruciale importanza perché centro di alcune facoltà caratteristiche dell’essere umano: la memoria, l’astrazione, l’immaginazione, la riflessione, la proiezione nel futuro, la pianificazione. Le immagini colpiscono la percezione arrivando presto all’emozione che a sua volta conduce verso una dimensione immediatamente profonda, intellettuale e spirituale; la dimensione della comprensione, della riflessione, della scelta consapevole. Nella comunicazione contemporanea l’immagine non è più semplice attrazione, costruita, secondo una concezione elementare, come trucco per catturare e convogliare l’attenzione dello spettatore: gli ormai quasi infiniti e ininterrotti momenti visivi e audiovisivi della comunicazione sono sempre più raffinate – anche se sconnesse ed evanescenti – “stanze” di un’esperienza complessiva, un’esposizione quasi incessante che dagli schermi dei dispositivi digitali ma anche dalle “superfici significate” che affiorano tra gli elementi dell’orizzonte urbano, perfino dagli apparati della segnaletica stradale, aggrediscono e coinvolgono sempre più numerosi spettatori sempre meno consapevoli e attivi.  

 

Aggressioni visive 

Una tale massa di stimoli e aggressioni diretti sul piano della visione ha forse due principali effetti negativi. Il primo riguarda il rapporto, l’equilibrio e la reciproca influenza tra immagini esteriori e immagini interiori, inquadrati dalla fondamentale finestra di definizione che viene fornita dalla dimensione del tempo. La costante e soverchiante pressione dall’esterno, in assenza di tempo per la decantazione, l’analisi, la mediazione, rischia di costringere in un sempre più angusto spazio la produzione d’immagini interiori proprie, e di impedire una rielaborazione autonoma di quelle ricevute dall’esterno. Ci si trova così davanti a una potenziale desertificazione interiore.  

Il secondo effetto riguarda invece il problema della natura e della qualità delle immagini della comunicazione: immediate, impressionistiche e prodotte dal più radicale utilitarismo, sono costruite in base a un ineludibile principio di semplificazione, di riduzione della complessità, di standardizzazione. Con la loro quantità e la loro aggressività, queste molte immagini finiscono per intralciare e contrastare un sano confronto con l’unicità della persona, la coltivazione della sua indispensabile differenza, la costruzione autonoma di un articolato paesaggio interiore.  

L’interazione di questi due fronti collegati tra loro conduce facilmente a un’ulteriore conseguenza, particolarmente diffusa e allarmante nelle generazioni più giovani: l’incrinarsi della capacità di riconoscere e provare emozioni, perfino di individuare il desiderio e di gestirlo conoscendo e modulando il piacere. 

 

Partecipi e consapevoli  

Tutto questo non può essere evitato semplicemente sottrandosi ai flussi e agli influssi della comunicazione e delle sue immagini. È utile e necessario iniziare con l’assunzione di un coerente e costante approccio critico, e poi considerare le opportunità e i vantaggi: la familiarità con le dinamiche di senso connesse alle immagini ad esempio, uno strumento assai prezioso non solo sul piano culturale; e poi le facoltà del pensiero rapido esercitate inavvertitamente dall’immersione in un sistema comunicativo come quello che siamo andati descrivendo. 

Perché non si passi dalla fase dell’edonismo a quella – per certi versi assai peggiore – dell’anodina, sarà fondamentale saper cercare modi sempre nuovi per partecipare al grande gioco della comunicazione senza dover rinunciare alla propria salute personale.  

 

 

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