N.03
Maggio/Giugno 2019

Social network

Social network

 

Nei primi anni del secolo ventunesimo, inizia a diffondersi nel mondo una formula che esisteva già prima, ma che proprio in quei mesi assume un significato nuovo: social network.

Letteralmente “rete sociale”, l’espressione inizia a indicare una serie di piattaforme sul web che permettono agli iscritti di interagire con altri utenti, costruendo un proprio profilo virtuale attraverso la condivisione di dati personali, accedendo e riutilizzando contenuti caricati da altri, producendo e diffondendo da soli contenuti originali o, semplicemente, “linkando” materiali di vario genere recuperati sul web. Il centro, la posta in gioco, l’idea di fondo è appunto costruire una rete di relazioni virtuali.

 

Da MySpace a Facebook

 

La prima grande piattaforma è MySpaceche si afferma proprio nei primi anni Duemila. Lascia presto il posto al suo successore, Facebook, un sito che, in breve tempo, ne soppianterà il modello, ampliando lo spettro delle opzioni disponibili per l’interazione ed espandendo a dismisura i collegamenti con altri siti e piattaforme di servizi on line (soprattutto ma non esclusivamente a fini commerciali).

Facebooksi svilupperà nell’arco di meno di un decennio in quello che fin qui è il più articolato e ramificato social network in rete. In origine si basava sul modello dell’annuario universitario: un ritratto fotografico, un breve profilo, una linea biografica. Il successo è stato immediato. Per i primi anni sono le giovani generazioni a popolarne le pagine, ma, con l’ampliamento della platea e l’innalzamento dell’età media, si è trasformato in un social anagraficamente e culturalmente “generalista”.

Nel 2006 sembrava che Twitter– concentrato sulla micronarrazione in poche linee di testo – dovesse soppiantare Facebook: invece, dopo una iniziale rapida crescita, il nuovo social si ridimensiona e specifica, attraendo soprattutto un pubblico non giovanissimo, professionalmente o politicamente impegnato, di solito culturalmente ben attrezzato, concentrato sulla diffusione o sulla raccolta d’informazioni in tempo reale.

I più giovani abbandonano Facebook– dove temono, tra l’altro, di agire sotto il controllo di genitori e parenti adulti – e subiscono, solo tangenzialmente, il fascino della comunicazione via tweet: un “cinguettio”, messaggio di testo sintetizzato e compresso in soli duecentottanta caratteri, prevede comunque una padronanza, una familiarità e una predilezione per la parola scritta che forse non riguarda più le recenti generazioni.

 

Instagram e Twitter

 

Arriva così il momento di un nuovo exploit che non soppianta né sostituisce i precedenti, ma allarga l’orizzonte del possibile, concentrandosi sulla forza delle sole immagini. Instagram– lanciato nell’autunno del 2010 e acquistato due anni più tardi da Facebook– è basato sull’immagine fotografica (anche se è stato presto reso disponibile il servizio che permette di caricare anche brevi video) come strumento di autorappresentazione, espressione emotiva, narrazione condivisa.

Le “stories” – uno dei dispositivi più in uso tra quelli offerti – sono proprio racconti costruiti caricando immagini registrate con il telefono, raccolte in serie e poi condivise. La parola scritta è ridotta sostanzialmente ai tag, etichette usate solitamente per accumulo che servono da stringata, laconica didascalia (lanciati per la prima volta da Twittere presto introdotti da tutte le altre piattaforme).

 

Interazioni e scambi ipermediati

 

Dopo più di quindici anni d’esistenza, l’universo dei social network non è solo vasto: si allarga e spinge a coprire quasi tutti i possibili ambiti della vita di un cittadino medio nel mondo globalizzato contemporaneo (tant’è che si parla ormai di social media per indicare proprio l’intreccio debordante di siti, appe dispositivi costruiti usando come matrice tecnico-culturale le logiche e le dinamiche comunicative del social network).

Esistono social per cercare l’anima gemella (Meetic, Badoo), per condividere interessi culturali e hobby (Mubi per il cinema, Anobii per la lettura, Pinterest per le più svariate applicazioni tecniche e artistiche, dalla cucina al bricolage), per viaggiare o sperimentare scambi culturali (Couchsurfing), per trovare lavoro o migliorare la propria carriera professionale (dal più generico Linkedin, al più specifico Academia, rivolto a chi lavora nell’ambito universitario e della ricerca), e così via per molti altri temi. La comunicazione via social sta di fatto surclassando per quantità qualsiasi altra modalità d’interazione umana.

L’orizzonte degli “scambi virtuali”, sempre più complesso, vasto e diversificato, presenta rischi e opportunità tanto quanto qualsiasi altro pezzo del sistema mediale contemporaneo. Più che altrove, però, emergono chiare – oltre ai rischi materiali e immateriali, diretti e indiretti – marche caratteristiche delle attitudini, dei desideri e delle frustrazioni degli utenti.

I socialnon hanno tempo: nonostante il principio cronologico che ordina i contenuti sulle “bacheche” digitali – la serie dei post ordinata in ordine temporale è detta comunemente “cronologia” – in rete non esiste mattina, pomeriggio, notte, esistono solo un prima e un dopo che s’inseguono all’infinito. D’altra parte è da questo flusso continuo di interazioni e di scambi ipermediati e potenzialmente senza soluzione di continuità (se non ci fosse la fisiologia a richiedere soste obbligate) che, forse, proviene la tendenza degli utenti a dedicare più tempo del dovuto alla navigazione sui social, finendo facilmente in una spirale di concentrazione continuamente interrotta, di operatività ed emotività frantumate e distratte.

Più di tutto, la spinta all’origine della partecipazione, o come si dice di solito, della presenza sui social network, riguarda proprio il presentarsi, il rendersi presenti, l’esserci rispetto alla scena globale: una sorta di riduzione parodistica di società in miniatura, costruendo la propria postazione di visibilità, più che d’osservazione, che attiri e accumuli visite, contatti, apprezzamento e, in fin dei conti, una platea, un pubblico di spettatori, di dispensatori dilike.

 

Isolamentovsopportunità

 

In questa cornice psico-percettiva, la rapidità, la facilità e l’ipermediazione di questi contatti virtuali, per un verso favoriscono la scarsa responsabilità e la bassa vigilanza sulla condotta generale e sulle singole azioni, amplificano l’isolamento dei soggetti, la natura effimera degli scambi e delle condivisioni (per non parlare delle relazioni); per l’altro offrono tuttavia – soprattutto all’utente psicologicamente e culturalmente ben guarnito -, una galleria di opportunità d’informazione, di aggiornamento culturale e una palestra gratuita e rifornita di molti diversi “attrezzi” per addestrare strumenti linguistici e arricchire le competenze relazionali.

 

 

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