N.02
Marzo/Aprile 2020

Il fumetto

 

Un’origine lontana 

 

I più ambiziosi ne fanno risalire l’origine addirittura agli anni della Roma paleocristiana, i più realisti alla seconda metà del secolo diciannovesimo. Il fumetto è, comunque, senza dubbio, una delle produzioni culturali di massa più longeve. La sua principale caratteristica di narrazione che combina disegni e testi – non necessariamente dialoghi – si fa risalire ad alcuni esperimenti pubblicitari sulle pagine delle prime edizioni dei periodici per il vasto pubblico urbanizzato, poco dopo la metà del 1800.  

L’inizio vero e proprio della narrativa a fumetti è tuttavia convenzionalmente fissato nei primi anni del ventesimo secolo, quando la narrazione d’intrattenimento in serie comincia la sua prima fase pienamente industriale e dal romanzo d’appendice passa alle nuove forme centrate sul visivo: soprattutto il cinema e il fumetto.  

 

Parabola in corso 

 

Per qualche anno i fumetti – ad eccezione quasi solo per la produzione satirica – restano principalmente un genere rivolto all’infanzia e all’adolescenza, ma gradualmente si vanno producendo due diverse trasformazioni, la parabola delle quali è oggi del tutto evidente ancorché non ancora conclusa: da una parte il fumetto – soprattutto dopo gli anni Settanta – inizia a guadagnarsi un posto tra i prodotti culturali “alti” o, perlomeno, a non essere più relegato nella sfera del puro intrattenimento a basso costo; dall’altra parte – con il moltiplicarsi dei generi e dei soggetti trattabili dalle strisce disegnate – si va ampliando anagraficamente la platea dei lettori, sempre meno centrata sulle giovani e giovanissime generazioni, sempre più adulta, dotata di strumenti critici autonomi, intellettualmente ed esteticamente esigente.  

L’approdo in libreria sul fine degli anni Ottanta – soprattutto in Italia – coincide con la fase più matura di emancipazione e diversificazione delle pubblicazioni riconducibili al fumetto, fase che, almeno nel nostro Occidente, è descrivibile soprattutto con la comparsa e il successo del graphic novel, narrazione di solito svincolata dalla serialità, materialmente più vicina all’oggetto-libro, improntata al linguaggio visivo-testuale del fumetto.  

 

Un’offerta vasta e varia 

 

Superati preconcetti e ghettizzazioni, vincoli tematici, tabù per alcuni soggetti e argomenti ritenuti, fino a pochi anni fa, inavvicinabili dal troppo frivolo approccio fumettistico, come per le altre produzioni culturali di massa, anche per il fumetto esiste ormai un’offerta vasta e varia che attraversa non solo generi e formati differenti (dall’albo di piccolo formato, al libro con dorso e copertina rigidi), registri e livelli disparati (dalla storia classica, alla biografia, fino al saggio e dal comico al tragico, passando per l’erotico e il grottesco), ma anche culture e immaginari lontani e incomparabili tra di loro (basti pensare alla tradizione del fumetto statunitense e al manga giapponese).  

 

Guardare il fumetto 

 

Si dice “leggere un fumetto”, eppure diversi specialisti hanno più volte suggerito che sarebbe più logico e appropriato dire “guardare un fumetto”, come si dice “guardare un film”. Montaggio e intersezione tra arti visive e letteratura, il fumetto è forse l’unica forma artistico-espressiva di massa che usi ancora in modo vitale ed efficace la parola scritta. Nato come prodotto commerciale per soddisfare la richiesta di svago di un pubblico ampio e generico – potenzialmente poco provvisto di strumenti culturali avanzati – il fumetto è oggi un sistema espressivo che intreccia codici complessi e che richiede spesso un bagaglio minimo di conoscenze tutt’altro che banali, si rivolge dunque, per lo più, a un pubblico avvertito quando non effettivamente specializzato.  

L’esperienza che offre al lettore/spettatore è in effetti un unicum e, se si va oltre la scrittura più classica legata alla semplice ricostruzione di una storia raccontata lungo una serie di scene illustrate, ci si ritrova in una galleria di testi che non di rado affrontano fatti di cronaca, temi filosofici, eventi storici, offrendone una rielaborazione e riscrittura che nessun altro linguaggio potrebbe produrre, sfruttando lo specifico e speciale congegno espressivo fondato sul montaggio di codici e culture – dalle diverse tradizioni letterarie al cinema (dal quale non di rado il fumetto mutua l’idea d’inquadratura e di sequenza), fino alla citazione del più recente universo videoludico -, riconducendo le immagini all’interno di un gioco di significazione e narrazione contrario e opposto alla proliferazione caotica audiovisiva prodotta dalla comunicazione digitale.  

 

 

Il racconto di Giacomo (montatore video) 

 

Ho iniziato a leggere fumetti che ero già grande. Finito il liceo, nella prima estate libera, per tenere gli occhi lontani dai libri e far riposare un po’ la mente dallo studio, mi sono lasciato incuriosire dal tomo che mi volle prestare un amico: era Watchmen di Alman Moore e Dave Gibbons. Non sono un lettore tipico: non ho mai pensato a collezionare con metodo, e neppure mi sono concentrato esclusivamente su un solo titolo.  

Leggere fumetti mi piace perché è un modo più libero più arioso della letteratura di raccontare storie anche complesse. Il centro può essere il disegno di un dettaglio o il colore dominante.  

I manga non mi piacciono, faccio fatica a entrare nelle storie, nella psicologia del personaggi, vengono da un mondo che non mi appassiona. Mi piace Dylan Dog, forse l’italiano che leggo più volentieri. Poi qualche fumetto Marvel ammetto di seguirlo: Spiderman soprattutto.  

In effetti, le cose che mi sono rimaste più impresse le ho trovate nei graphic novel che mi piacciono particolarmente forse anche perché usano la pagina in modo meno codificato, ogni volta diverso.  

  

 

 

Se hai trovato interessante questo articolo, leggi anche l’approfondimento Il fumetto!