N.04
Luglio/Agosto 2019

In costante evoluzione

Diversamente in cammino/4

Come persona autistica direi che la precarietà mi fa immediatamente pensare alla bellezza della vita umana. Nel nostro mondo questa parola ha assunto un significato negativo in quanto la si usa in relazione a realtà umane che si vorrebbero stabili, sicure, affidabili e così purtroppo non sono.

 

Ci si duole perché oggi il lavoro è precario e molto spesso lo sono anche i matrimoni, mentre un tempo non era così o almeno lo era molto meno.

 

Ma se riflettiamo più a fondo, non dovrebbe essere difficile convergere sulla percezione che ogni forma di vita è precaria e la nostra vita umana non fa eccezione. È precaria non solo nel senso di costantemente esposta al rischio della morte ma più profondamente in quanto tutto in ogni forma di vita è in costante trasformazione. In senso biologico la vita è materia in costante trasformazione e sul piano esistenziale è situazioni e relazioni in costante evoluzione.

 

Solo l’essere umano sogna che la vita possa essere stabilità in alcuni suoi aspetti almeno, probabilmente per riposare dalla fatica del continuo cambiamento e difendersi dalla paura dell’incertezza del domani.

 

Ma perdere la visione della vita come percorso e quindi come cammino esistenziale per rifugiarsi nell’illusione di un eterno presente, l’illusione della stabilità, può avere esiti rovinosi come ci mostra la parabola evangelica del ricco che accumulava risorse economiche nel sogno di un futuro di opulenza e non sapeva che stava per morire.

 

La morte è stabile, la vita è precaria per lo meno in quanto in costante trasformazione.

 

Ma siamo sicuri che la precarietà sia qualcosa di necessariamente negativo?

 

Una realtà precaria potrebbe venir meno ma perché non potrebbe essere sostituita da qualcosa di meglio ma necessariamente da qualcosa di peggio?

 

La società passata in cui ci si sentiva più stabili, tutelati, era solo una società a più alto tasso di illusione dove era purtroppo molto semplice vivere tranquilli e morire inconsapevoli, dove forse la probabilità di perdere un lavoro era più bassa ma infinite sciagure restavano comunque possibili.

 

Che fare allora? Io direi rinunciare ad ogni illusione di stabilità e quindi di eterno presente. Maturare che la vita è un percorso che non si può fermare, che non siamo padroni di nulla ma al massimo amministratori di alcune cose per un po’ di tempo, che non abbiamo potere assoluto su nulla ma su tutto possiamo provare ad influire.

 

Basta avere timore dei rischi. In questo immane divenire che chiamiamo cosmo ci conviene vedere solo opportunità e credendoci sarà conseguente attivare tutti i comportamenti utili a conseguirle.

 

Ogni giorno un mondo vecchio muore ed un mondo nuovo nasce. Nascondere la testa sotto la sabbia aumenta solo il rischio di essere consegnati alla storia.

 

 

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